brunopepi
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giovedì 26 novembre 2020
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lei e poi...tutto il resto è noia
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Se questo è un lavoro per sale cinematografiche (più fiction che film) significa che la carenza di idee originali è grave, oltretutto, adattamento cinematografico del romanzo omonimo del 1975 e già presentato al cinema nel '77.
Mamma, mamma...mi interpreti il personaggio femminile così mi dai una mano? E non poteva di certo dire no al figlio la carismatica Loren che dopo molti anni senza attività si è dovuta riproporre, e anche bene, per amor di madre.
Recensirlo? Mi sembra troppo per un soggetto misero e frugale, sfruttato e rimpastato, ennesimo lavoro indirizzato a sensibilizzare gli spettatori con le innumerevoli vicende sui casi di integrazione nel vecchio continente che ormai si ammontonano onerose e lapalissiane nella recente cinematografia europea.
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Se questo è un lavoro per sale cinematografiche (più fiction che film) significa che la carenza di idee originali è grave, oltretutto, adattamento cinematografico del romanzo omonimo del 1975 e già presentato al cinema nel '77.
Mamma, mamma...mi interpreti il personaggio femminile così mi dai una mano? E non poteva di certo dire no al figlio la carismatica Loren che dopo molti anni senza attività si è dovuta riproporre, e anche bene, per amor di madre.
Recensirlo? Mi sembra troppo per un soggetto misero e frugale, sfruttato e rimpastato, ennesimo lavoro indirizzato a sensibilizzare gli spettatori con le innumerevoli vicende sui casi di integrazione nel vecchio continente che ormai si ammontonano onerose e lapalissiane nella recente cinematografia europea. Ma l'idea del regista, figlio della veterana coppia cineasta, di ricorrere al mito, fa centro. L'incanto e la tenerezza di vedere di nuovo all'opera la nostra diva lascia soddisfatti e ripaga, e nonostante la noia e la bonomia del film, la quasi novantenne, con il suo carisma e bravura, riesce a coinvolgere ma...unicamente con il suo personaggio.
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robert de nirog
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lunedì 16 novembre 2020
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una grande loren in un piccolo film
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Il soggetto di questo film è un grande romanzo di Romain Gary, scritto negli anni '70 che già fu un film vincitore di un oscar. Però questa pellicola non regge il soggetto. Diventa un altro film dal cannovaccio già scritto: un piccolo bambino immigrato e le sue difficoltà e il pericolo di cadere nella criminalità. L'aiuto di una persona di cuore, una reduce dell'Olocausto, tormentata dall'Alzheimer e dall'infanzia negata gli illuminerà la via. Troppo scontato, troppo già visto e già sentito. La regia è impeccabile e mi è piaciuta molto la fotografia: Bari diventa una multietnica Parigi o qualsivoglia altra città aperta al mondo e alle sue incompresioni e incongruenze. Sofia Loren è incredibilmente brava.
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Il soggetto di questo film è un grande romanzo di Romain Gary, scritto negli anni '70 che già fu un film vincitore di un oscar. Però questa pellicola non regge il soggetto. Diventa un altro film dal cannovaccio già scritto: un piccolo bambino immigrato e le sue difficoltà e il pericolo di cadere nella criminalità. L'aiuto di una persona di cuore, una reduce dell'Olocausto, tormentata dall'Alzheimer e dall'infanzia negata gli illuminerà la via. Troppo scontato, troppo già visto e già sentito. La regia è impeccabile e mi è piaciuta molto la fotografia: Bari diventa una multietnica Parigi o qualsivoglia altra città aperta al mondo e alle sue incompresioni e incongruenze. Sofia Loren è incredibilmente brava. E da sola vale il film. Perfino i giovanissimi attori reggono molto bene il loro ruolo. Quello che a mio parere manca è una narrazione forte, originale. Non lascia il segno.
Consigliato: a chi non vuol perdersi un'altra grande sublime prova della Loren.
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vanessa zarastro
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giovedì 19 novembre 2020
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un remake utile solo a sophia
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Netflix ha prodotto l’ennesima versione cinematografica del romanzo La vie devant soi di Romain Gary, scrittore lituano francesizzato che si firmò Emile Ajar e ricevette il premio letterario Goncourt nel 1975. Due anni dopo fu girato il film omonimo interpretato dall’indimenticabile Simone Signoret (Mamma Rose) e diretto da Moshé Mizrahi che vinse l’Oscar 1978 come miglior film straniero.
La vicenda aveva luogo nel quartiere parigino multietnico di Belleville e Momo, il ragazzino protagonista interpretato da Mohamed Zinet, era algerino. Mamma Rose era (ed è) un’ebrea sopravvissuta all’Olocausto, che ha vissuto come prostituta e adesso raccoglie e accudisce i bambini delle sue “colleghe” che non riescono a far crescere.
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Netflix ha prodotto l’ennesima versione cinematografica del romanzo La vie devant soi di Romain Gary, scrittore lituano francesizzato che si firmò Emile Ajar e ricevette il premio letterario Goncourt nel 1975. Due anni dopo fu girato il film omonimo interpretato dall’indimenticabile Simone Signoret (Mamma Rose) e diretto da Moshé Mizrahi che vinse l’Oscar 1978 come miglior film straniero.
La vicenda aveva luogo nel quartiere parigino multietnico di Belleville e Momo, il ragazzino protagonista interpretato da Mohamed Zinet, era algerino. Mamma Rose era (ed è) un’ebrea sopravvissuta all’Olocausto, che ha vissuto come prostituta e adesso raccoglie e accudisce i bambini delle sue “colleghe” che non riescono a far crescere. Edoardo, figlio di Sophia Loren e Carlo Ponti, ha scelto questa vicenda per fare recitare di nuovo la sua splendida madre ottuagenaria (finalmente senza lifting”!). Come molti critici rilevano, però “il talento non è ereditario” (Mancuso) e il film si regge solo sulla presenza di Sophia. Il regista assieme a Ugo Chiti ha preferito trasformare l’orfanello dodicenne in senegalese. L’arrivo di Momo dal carattere problematico - un ladruncolo che sembrerebbe davvero ineducabile - comporta fatica, difficoltà, ma anche un po' di guadagno per l’anziana. Tra la donna burbera, ma di gran cuore, e il ragazzino delinquente, ma in fondo bisognoso di affetto, nascerà dunque una storia che il regista carica di sentimentalismo.
La vicenda è stata trasposta dalla periferia di Belville alla mediterranea Bari, nel quartiere ottocentesco Murat che, con le strade a reticolo, si estende tra la ferrovia e la costa e costituisce, assieme alla città vecchia, l'attuale centro della città. Ma molte scene sono state girate sul lungomare in una parte più recente (anni ’50), altre ancora nell’Antica Masseria Brancati alle porte di Ostuni con le architetture bianche a calce circondate da ettari di ulivi. Infine, altre scene sono girate nel quartiere ebraico di Trani dove vanno tutti insieme a festeggiare il compleanno di Lola (Abril Zamora) una prostituta transessuale, ex pugile, alle prese con un figlio e con un padre, il quale mal digerisce la sua sessualità. Un personaggio che ricorda molto i protagonisti dei film di Ozpeteck e di Almodovar.
Grande presenza scenica di Sophia che riconosciamo nei ruoli proletari dei suoi film migliori, anche se, a mio avviso, la sua espressione è più o meno la stessa per tutto il film.
“La vita davanti a sé” è stato accolto probabilmente meglio all’estero che in Italia. Forse noi abbiamo troppo vivo il ricordo della Loren in coppia con Mastroianni diretta da Ettore Scola (“Una giornata particolare” del 1977) o da Vittorio De Sica (“La ciociara” del 1960, “I girasoli” del 1970).
Ciononostante si parla già di nomination agli Oscar 2021 per Sophia Loren.
Belle sono la fotografia e le scene urbane spesso omaggio ad altri film. La terrazza con i panni stesi ad esempio sembra essere un tributo a “Una gionata particolare” di Ettore Scola.
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eugenio
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venerdì 20 novembre 2020
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un nuovo adattamento del romanzo di gairy
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Ho avuto qualche difficoltà nella lettura di un testo famoso come La vita davanti a se, di Emile Ajar (pseudonimo di Romain Gary), premio Gouncourt, uno dei più prestigiosi riconoscimenti letterari che uno scrittore può ricevere in vita.
Certo, la psiche del suo autore, perseguitato dalla critica letteraria, incapace dopo l’attribuzione del premio di cui sopra con il romanzo Le radici del cielo, di non essere stato capace di ripetersi con libri di eguale valore, non lo aiutò. Eppure, ironia della sorte, proprio questo libro vinse non solo nuovamente il prestigioso premio ma anche l’entusiasmo della critica che prima aveva “massacrato” Gary per esaltare Ajar, il suo pseudonimo, salvo poi ricredersi.
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Ho avuto qualche difficoltà nella lettura di un testo famoso come La vita davanti a se, di Emile Ajar (pseudonimo di Romain Gary), premio Gouncourt, uno dei più prestigiosi riconoscimenti letterari che uno scrittore può ricevere in vita.
Certo, la psiche del suo autore, perseguitato dalla critica letteraria, incapace dopo l’attribuzione del premio di cui sopra con il romanzo Le radici del cielo, di non essere stato capace di ripetersi con libri di eguale valore, non lo aiutò. Eppure, ironia della sorte, proprio questo libro vinse non solo nuovamente il prestigioso premio ma anche l’entusiasmo della critica che prima aveva “massacrato” Gary per esaltare Ajar, il suo pseudonimo, salvo poi ricredersi.
E devo dire che in effetti, il suono artefatto di alcune affermazioni, la distonia, la duplice natura di un romanzo di formazione di un ragazzino arabo, Momò (abbreviazione di Mohammed) orfano nella banlieue francese di Belleville “allevato” da Madame Rosa, ex prostituta ebrea, mi ha lasciato da un lato affascinato “terribilmente” dalla sua epopea triste, dall’altro contrastato da riserve per via di frasi o affermazioni artificiose non propriamente appartenenti a un bambino quanto a un uomo maturo.
Eppure, nella vita periferica di emarginati e immigrati, clandestini, travestiti e tira a campare, la storia semplice di due solitudini, dell’amore perché di questo tratta La vita davanti a sé, tra una prostituta e un orfano, mi ha commosso, devo ammetterlo.
E lo stesso ha fatto l’adattamento, prosaico e ben equilibrato di Edoardo Ponti, il figlio di Sofia Loren cui l’attrice aveva già lavorato nell’esordio di lui Cuori estranei, con protagonista appunta la stessa Loren, che traspone la vicenda, colma di amarezza e disillusione nella Bari Vecchia dei nostri giorni.
Perché non c’è solo il racconto di un ragazzino di dieci anni, cresciuto da una vecchia ebrea che ha subito gli orrori del nazismo, segnandola indelebilmente nella sua psiche e nelle relazioni con altri figli di puttana, in quel quartiere di Belleville (nel romanzo), che qui invece traspare nei vicoletti ma la lucida ed implacabile disamina (volutamente sgrammaticata in alcuni punti o quasi favolistica per riflettere il pensiero di un bambino) di un giovane uomo sui rimpianti e le riflessioni di chi si guarda alle spalle (un paradosso ma è così!) e si accorge che il tempo, inesorabilmente e implacabilmente, è passato e, allora in qualche modo bisogna chiedersi il perché di certi fallimenti e soprattutto capire come cercar di andare avanti. Anche se si è bambini, anche se il dolore può essere traumatico.
Nel seguire le vicende di questa sorta di famiglia d'anima “allargata” costituita da Madame Rosa, “l’ex puttana tornata dalla deportazione nelle comunità ebree in Germania”, il nostro Momò, Madame Lola (un travestito senegalese carissima amica di Madame Rosa), il Signor Hamil (un vecchio arabo che si occupa dell'istruzione di Momò, interpretato da un bravo Renato Carpentieri) il pensiero va non solo a Pennac, ma soprattutto a quella vita schifa del giovane Holden di Salinger su cui però vive la freschezza di un testo che dimostra ancora un’attualità sorprendente benchè scritto quaranta e passa anni fa.
Nella vita davanti a sevive infatti uno stile originale frutto di una parlata ibrida fatta dell'yiddish, del gergo derivante dal quartiere così multiculturale e da espressioni altisonanti in un equilibrio tra dolcezza, ironia ed amarezza.Permeato da una vena poetica su cui affiora, il palcoscenico di un legame privo di vincoli di sangue, il film di Ponti è un elogio della joy de vivre, nonostante tutto, picassiana, un ossimoro in uno scrittore Gairy, cavaliere della legion d’onore, morto suicida.
Non era facile adattare un romanzo così strutturato (dai riferimenti con l’omonimo del ’78 vincitore oscar come miglior film straniero) ondivago nell’ambientazione, tra vie periferiche, e personaggi, rappresentanti un mondo di reietti in cui abbondano “prossineti”, drogati, prostitute, nel letame da cui nascon fiori, direbbe De Andrè, come Momò; eppure Ponti c’è riuscito senza retorica ma preservando, come nel romanzo, una dolcezza di fondo, un sentimentalismo, toccato dalla grazia di un’attrice come la Loren, esposto a una rudezza che non lo intacca ma lo lavora, levigandolo e rendendolo diamante scintillante, perla rara talentuosa a cui si perdona tutto. Anche la falsità di quel baluginio accecante.
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gaia pulliero
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mercoledì 18 novembre 2020
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un''interpretazione ricca di ironia e drammaticità
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La vita davanti a sé (2020) con la regia di Edoardo Ponti, é il film che vede il ritorno di Sophia Loren dopo undici anni passati lontani dalla cinepresa.
Che dire? Sophia Loren non solo ritorna, ma ritorna attuale più che mai con questo nuovo lungometraggio lanciato direttamente sulla piattaforma digitale Netflix.
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La vita davanti a sé (2020) con la regia di Edoardo Ponti, é il film che vede il ritorno di Sophia Loren dopo undici anni passati lontani dalla cinepresa.
Che dire? Sophia Loren non solo ritorna, ma ritorna attuale più che mai con questo nuovo lungometraggio lanciato direttamente sulla piattaforma digitale Netflix.
La pellicola inizia con uno splendido Effetto Kulešov che troverà soluzione solo al termine del film, intervallato da sequenze che trattano tematiche sociali affrontandole in maniera talmente delicata da riuscire a normalizzarle ed ovviare così il cliché dello sguardo voyeuristico (fin troppo sfruttato dalla cinematografia moderna).
Prostituzione, spaccio, immigrazione, transessualitá, vecchiaia e segregazione razziale sono gli argomenti toccati da questa narrazione intrisa di gestualità, in grado di accarezzare i sentimenti di ogni spettatore in un periodo, questo, che ci vede quanto mai distanti.
Le scene si susseguono in una dialettica cromatica di toni freddi e toni caldi, che contraddistinguono i luoghi sicuri da quelli della perdizione. Da osservare sono le scene di spaccio, caratterizzate da un alternarsi psichedelico di colori quasi a volersi plasmare sulla base degli effetti causati dalla droga.
Soltanto la casa di Madame Rosa (Sophia Loren) è abbracciata calorosamente dalla luce, tranne che per una scena, quella sul balcone che, segnata dalla pioggia, dá inizio al rapido declino della protagonista e non può che rivelarsi uno splendido omaggio a Una giornata particolare (1977).
La Loren (premio Oscar nel 1962 per La ciociara) ancora una volta si dimostra in grado di caratterizzare il suo personaggio con ironia e comicità per accompagnarlo, infine, verso il dramma che lo attende.
Una grande interprete che non smetterà mai di meravigliarci e che con il suo carisma (e la linea di eye-liner alla quale più che comprensibilmente non vuole rinunciare) riesce a ovviare anche il problema, l’unico a mio parere degno di nota, di una regia fin troppo scontata.
“L’umanità é solo una virgola nel grande libro della vita, ma quando Madame Rosa mi guardava con i suoi grandi occhi gialli, non era una virgola: era quel grande libro, tutto intero”
Momò - La vita avanti a sé
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marilla
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giovedì 26 novembre 2020
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un bel film
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Una bel film. Condivido quasi tutto ciò che viene scritto da Gaia Pulliero tranne che Il suo giudizio, un poco tranchant, sulla regia, definita "troppo scontata". Ritengo infatti che essa non sia "scontata" ma rispettosa della complessità della trama e dei suoi significati. Oggi siamo fin troppo abituati agli esercizi di stile dei nuovi ed emergenti registi, che usano la macchina da presa e il montaggio per dar prova di quanto abbiano imparato la lezione dei grandi maestri ( non posso che innervosirmi pensando al fin troppo acclamato Parasyte, dove il regista ripete a memoria Tarantino) Qui, invece, tutto è equilibrato, pacato, elegante, vieppiù elegante se pensiamo che il contesto non lo è, la Bari raccontata è un meeting pot di antica bellezza e degrado, così come lo sono gli ambienti ( molto interessante la casa dello spacciatore, che incredibilmente appare proprio come il salotto di Nonna Speranza, di Gozzaniana memoria - " le buone cose di pessimo gusto" ) e gli stessi personaggi, che ruotano dolcemente intorno all'idea di ciò che è bene e ciò che è male.
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Una bel film. Condivido quasi tutto ciò che viene scritto da Gaia Pulliero tranne che Il suo giudizio, un poco tranchant, sulla regia, definita "troppo scontata". Ritengo infatti che essa non sia "scontata" ma rispettosa della complessità della trama e dei suoi significati. Oggi siamo fin troppo abituati agli esercizi di stile dei nuovi ed emergenti registi, che usano la macchina da presa e il montaggio per dar prova di quanto abbiano imparato la lezione dei grandi maestri ( non posso che innervosirmi pensando al fin troppo acclamato Parasyte, dove il regista ripete a memoria Tarantino) Qui, invece, tutto è equilibrato, pacato, elegante, vieppiù elegante se pensiamo che il contesto non lo è, la Bari raccontata è un meeting pot di antica bellezza e degrado, così come lo sono gli ambienti ( molto interessante la casa dello spacciatore, che incredibilmente appare proprio come il salotto di Nonna Speranza, di Gozzaniana memoria - " le buone cose di pessimo gusto" ) e gli stessi personaggi, che ruotano dolcemente intorno all'idea di ciò che è bene e ciò che è male. La Loren? Un gigante. Momò ? Bravissimo. E tutti gli altri? Pienamente all'altezza. Che bel film.
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