Esci dal cinema con la sensazione che i sopravvissuti siamo noi, noi che a quel concerto c'eravamo e oggi guardando in faccia i tuoi figli fai fatica a trattenerti dal volergli spiegare che cosa erano per noi quei rituali tribali che erano i concerti, lo stare dentro al mainstream della musica e delle parole d'ordine di quegli anni 70. Certo con gli occhi un po' umidi perchè se un merito ce l'ha questo documento è proprio quello di restituire la statura artistica di un immenso Fabrizio De Andrè, nel pieno della sua maturazione creativa.
L'ho già detto in altre occasioni, questo non è "cinema" perchè lo specifico documentaristico è un linguaggio che obbedisce ad altre regole che non sono quelle dell'arte cinematografica.
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Esci dal cinema con la sensazione che i sopravvissuti siamo noi, noi che a quel concerto c'eravamo e oggi guardando in faccia i tuoi figli fai fatica a trattenerti dal volergli spiegare che cosa erano per noi quei rituali tribali che erano i concerti, lo stare dentro al mainstream della musica e delle parole d'ordine di quegli anni 70. Certo con gli occhi un po' umidi perchè se un merito ce l'ha questo documento è proprio quello di restituire la statura artistica di un immenso Fabrizio De Andrè, nel pieno della sua maturazione creativa.
L'ho già detto in altre occasioni, questo non è "cinema" perchè lo specifico documentaristico è un linguaggio che obbedisce ad altre regole che non sono quelle dell'arte cinematografica. E' poi nel caso specifico più un documento di natura filologica che altro.
Nonostante gli sforzi di Veltroni, che hai sempre la sensazione, quando vedi le sue cose, che ti stia facendo la lezioncina su cosa è corretto e su cosa il pensiero dominanante ha deciso che è giusto vedere. Mi si perdoni la critica tagliente, ma il lungo prologo, non inutile, anzi decisamente necessario per inquadrare l'epoca di quell'evento artistico, ha un po' il sapore della recita a soggetto. Ma va bene, va bene ugualmente, perchè almeno Veltroni ha avuto l'intuizione geniale di lasciare il lunghissimo piano-sequenza del concerto integro e non interrotto, creando la magia di stare proprio dentro a quell'evento, dal tuo posto in parterre.
Un plauso al grandissimo lavoro di restauro, sia dell'immagine, ma qui evidentemente si poteva fare poco, sia sul suono, che a volte è un po' metallico, ma che ha il grande pregio di restituire l'originalità della voce di De Andrè, e l'energia degli arrangiamenti, compresi un paio di grandissi assoli di Mussida.
Quattro stelle perchè è comunque un evento da non perdere.
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