Favolacce

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Un film di Fabio D'Innocenzo, Damiano D'Innocenzo. Con Elio Germano, Tommaso Di Cola, Giulietta Rebeggiani, Gabriel Montesi.
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Titolo originale Favolacce. Drammatico, Ratings: Kids+13, durata 98 min. - Italia 2020. - Vision Distribution uscita lunedì 15 giugno 2020. MYMONETRO Favolacce * * * * - valutazione media: 4,06 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
   
   
   

Mamma, papà e il professore sono gli orchi delle Favolacce

di Marco Lodoli Il Venerdì di Repubblica

Fabio e Damiano D' Innocenzo, fratelli gemelli nati a Tor Bella Monaca, Roma, sono ambiziosi, inventivi, audaci. Il loro primo film, La terra dell' abbastanza, era di sicuro un buon esordio, ma ancora legato a quelle tematiche della marginalità che hanno spopolato in questi ultimi anni: muraglie di palazzoni, adolescenti senz' arte né parte, delinquenza onnivora che abbraccia e inghiotte la vita dei più deboli. Ora è arrivato on demand, vista la chiusura dei cinema, Favolacce, che al Festival di Berlino ha vinto l' Orso d' argento per la migliore sceneggiatura. Lo spunto è quello del "manoscritto ritrovato", frequente in letteratura ma pressoché inedito nel cinema: si tratta del diario di una ragazzina, scritto a penna verde su un quadernetto, e una voce fuoricampo all' inizio del film racconta di aver recuperato per caso queste pagine slegate e interrotte, e di aver voluto proseguire tutto quello che suggerivano e avevano lasciato in sospeso, per «una storia falsa ispirata a una storia vera, e una storia vera ispirata a una storia falsa». dai palazzoni alle villette L' originalità del film sta proprio nella struttura narrativa, frammentaria e scomposta come il diario di un' adolescente, che non cerca e non vuole mettere in fila gli avvenimenti secondo una tranquilla logica narrativa. Non siamo più tra palazzoni e coatti aggressivi, ma in mondo che somiglia a quello di tanti film americani: villette a schiera, pick-up, casupole prefabbricate in mezzo al nulla, microborghesi in crisi totale, famiglie apparentemente unite e invece traversate da cre pe profonde. Il tema è chiaro: la distanza assoluta tra padri e figli, tra genitori sbandati, infelici, spaventati e spaventosi e ragazzini ancora puri, silenziosi e attoniti di fronte all' orrore della vita. Scriveva Anna Maria Ortese in Corpo celeste: «Ogni cosa che il ragazzo tocca o vede passare, lo fa piangere; chiede inutilmente alla ragione o ai superiori (maestri e genitori) una spiegazione sul perché e il come di tali magnificenze, ma di solito i superiori non sono più informati e attenti di un calamaio. Il ragazzo è solo. Il suo approssimarsi - e poi la caduta, spesso uno scontro con la terra e il mondo cosiddetto reale - avviene così: è un' estasi o un impatto».Quanto erano vere queste parole e quanto lo sono ancora oggi, forse più tragicamente. Qualcosa si è spezzato nella trasmissione di un sapere, di un sentimento della vita, di una partecipazione commossa agli eventi: i genitori raccontati dai fratelli D' Innocenzo sprofondano in un' ignoranza letale, sembrano usciti da caverne tecnologiche senza nemmeno un pensiero autentico nella testa. I loro problemi sono i soldi, il sesso rapace, una sopravvivenza che non diventa mai veramente vita. Vanno avanti alla cieca, accumulando giorni come pietre, con un linguaggio ridotto alla pura rappresentazione di bisogni primari. Non hanno memoria storica, non hanno uno straccio di tensione ideale, procedono nell' inconsapevolezza assoluta come sonnambuli disperati. Non sanno cosa insegnare ai loro figli perché sono scatole vuote, o piene solo di rancore. E non li sanno nemmeno vedere, i loro figli, non li capiscono e forse nemmeno li amano. Un mondo di naufraghi aggrappati a un telefono o a una rata del mutuo da pagare. L' unico professore che il film ci mostra di sfuggita è un uomo disturbato che spiega ai suoi studenti come costruire bombe o dove comprare un concime agricolo capace di devastare e uccidere. Tra le villette di queste famiglie spira invisibile il vento della follia: ancora non si è posato, ancora non ha scelto le sue vittime, ma le avvolge, le avvinghia poco alla volta. E di fronte a questo sfacelo esistenziale e sociale ci sono i ragazzini: guardano e non dicono quasi nulla, osservano, sembra che attendano la catastrofe finale. gli appunti spezzati Come i piccoli nelle feroci favole dei fratelli Grimm, sanno che i genitori non sono una protezione dai pericoli del giorno e della notte, che anzi sono il vero pericolo. E tra i coetanei i ragazzini cercano affetto, contatti erotici, mute complicità fatte di gesti sospesi, mancati, di parole taciute. Sanno che saranno le vittime di un mondo crudele, fatto di piscinette e grigliate in giardino, di botte e minacce, di soprusi e miserie. I bambini guardano senza giudicare, quasi storditi di fronte allo spettacolo osceno degli adulti: non ridono, non giocano, non corrono, stanno immobili come pecore al mattatoio. Quello che colpisce del film è senz' altro lo stile: i fratelli D' Innocenzo rimangono fedeli all' idea dei fogli del diario, appunti spezzati, bruciacchiati, spesso incoerenti, come se non fosse più possibile oggi raccontare una storia in una progressione e in un crescendo narrativo, cucendo psicologie, eventi, personaggi. È come se volessero dirci che il nostro mondo non ha più binari che portano da un punto a un altro, ma tutto è sparpagliato dalla mano sudata dell' assurdo. Sono schegge taglienti, frammenti che è impossibile ricomporre, un puzzle rovesciato sulla terra desolata del presente. Lo spettatore cerca il filo rosso che unisca gli episodi, e non lo trova perché non esiste più alcun filo, solo gesti scomposti di naufraghi, grida d' aiuto, violenze insensate. La famiglia è sempre stata una struttura narrativa fortissima, uno scivolo temporale tra il prima e il poi, tra i padri e i figli e i nipoti, e invece ora appare come un campo minato, dove le vite esplodono solitarie, dopo aver cercato salvezza muovendosi a zig zag come animali braccati dall'infelicità. Gli adulti non sanno cosa insegnare perché sono scatole vuote, o piene solo di rancore.
Da Il Venerdì di Repubblica, 15 maggio 2020


di Marco Lodoli, 15 maggio 2020

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