Marioneta

Film 2019 | Drammatico 115 min.

Regia di Álvaro Curiel. Un film Da vedere 2019 con Rafael Ernesto Hernandez, Fátima Molina, Juan Manuel Bernal, Patricia Reyes Spíndola. Cast completo Titolo internazionale: Vagoneros. Genere Drammatico - Messico, 2019, durata 115 minuti. - MYmonetro 3,25 su 1 recensioni tra critica, pubblico e dizionari.

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Ultimo aggiornamento giovedì 21 marzo 2019

Un uomo entra in contatto con un'organizzazione criminale che gestisce una rete di finti mendicanti.

Consigliato sì!
3,25/5
MYMOVIES 3,50
CRITICA
PUBBLICO 3,00
CONSIGLIATO SÌ
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Trailer
Un'opera coraggiosa che indossa generi diversi per riflettere sull'atto della recitazione.
Recensione di Marco Lombardi
giovedì 21 marzo 2019
Recensione di Marco Lombardi
giovedì 21 marzo 2019

Ernesto fa l'attore ed è cubano. In cerca di quel successo che non ha trovato in patria, da tempo è emigrato a Città del Messico dove, peraltro, le cose non sono migliorate. Reduce dall'ennesimo provino fallito, in metropolitana incontra Belén, una bellissima ragazza che chiede l'elemosina e sta fingendo di essere invalida. Dopo averle dato dei suggerimenti di "recitazione", prima Ernesto viene minacciato dall'organizzazione criminale che gestisce le rete di finti mendicanti cui Belén appartiene, poi viene contattato dal suo boss, David Torrico, che gli chiede di organizzare un vero e proprio stage di recitazione diretto ai suoi falsi invalidi. Per Ernesto sembrerebbe essere l'inizio di una nuova vita, ma - dopo essersi innamorato di Belén, e dopo essere stato invitato a casa di Torrico, che l'ha preso in simpatia - scopre che i due sono stati amanti. La tragica morte di una giovane e finta mendicante la quale, grazie al "corso", aveva capito di voler fare l'attrice per davvero, e il cui padre è a capo di una banda in guerra contro quella di Torrico, fa precipitare le cose. Intanto è Belén che, grazie a Ernesto, sta per fare un provino vero.

Un film coraggioso che, surfando sui generi, considera il recitare come l'atto più autentico del vivere, e l'elemosina non un gesto filantropico, piuttosto il corrispettivo (teatrale) di un'emozione "rappresentata".

Perché decideremmo di dare del denaro a un mendicante che ce lo sta chiedendo? Si tratterebbe di solidarietà vera, oppure di una specie di contropartita "artistica" perché lui ci ha fatto vivere un'emozione, raccontandoci un pezzo del suo dramma? In tal caso, a prescindere dalla verità/non verità della sua storia, è come se pagassimo il biglietto di uno spettacolo teatrale in cui lui è l'interprete, e noi gli spettatori. È questa l'idea (potente, provocatoria) del film, vincitore del premio Fipresci all'edizione 2019 del FICG, il Festival Internacional de Cine en Guadalajara: un'idea che non poteva essere realizzata se non attraverso un'ottima direzione degli attori, dai principali ai secondari, visto che il filo conduttore del film (un po' pirandelliano, d'accordo) è appunto lo scarto (che esiste o non esiste?) fra il vivere e l'interpretazione del vivere, fra il viso e la maschera, fra l'essere e l'apparire.

Nel film, in effetti, tutti recitano le proprie vite, tutti: lo fa Ernesto che, ben al di là del suo essere attore, recita a sé stesso il talento che forse non ha; lo fa Belén, che ha recitato un amore (quello per Torrico) che forse mai c'è stato, e nascondendo il tutto a Ernesto; lo fa anche Torrico che, pur essendo una persona sensibile, recita innanzi a suoi sottoposti il ruolo di cane mastino che non è, e in famiglia una professione - quella di avvocato, titolare di una studio affermato - pur di non dover dichiarare a moglie e figlio e amici l'origine disonesta del denaro che porta a casa; lo fanno poi tutti i finti mendicanti interpretando - più dei drammi inventati - il ruolo dell'attore, visto che per loro, il vivere in mezzo alle difficoltà, è una condizione quotidiana, cioè vera.

Una delle tesi (paradossali) del film, infatti, è che s'imparerebbe a recitare innanzitutto vivendo: prova ne è Ernesto che, solo dopo aver attraversato delle vere traversie (l'attività illecita con Torrico; l'amore travagliato per Belén; la morte della ragazza, di cui si sente responsabile) riesce a portare in un provino quella "verità" che gli permetterà di "fingere" al meglio. E prova ne è anche Belén che, dopo aver perso - forse per sempre - il figlio avuto da Torrico, salendo sul suo palcoscenico, cioè sul metrò, non riesce più a recitare, essendo la vita (ancora una volta) il motore - questa volta ingolfato di emozioni - del recitare.

Persino il film "recita" a sé stesso delle identità via via diverse: inizia all'insegna della commedia; diventa poi dramma, con l'arrivo di Torrico, che è il personaggio più complesso dell'intera storia; ancora dopo diventa grottesco e poi farsa, per virare totalmente nel melodramma finale, pure con un'ultima sequenza aperta - cioè non risolta matematicamente, in termini narrativi - che lascerebbe uno spazio per un sequel, se non addirittura per una serie televisiva.

Non solo: la pellicola, nonostante il suo continuo indossare dei generi cinematografici diversi, mantiene sempre, sottotraccia, un coté sociale, quasi documentaristico, e questo grazie al suo essere pienamente "finzione realistica": se all'inizio viene denunciata la condizione discriminata dei cosiddetti "migranti" (Ernesto, che è dovuto fuggire da Cuba, e in Messico viene emarginato da tutta la casta dei cosiddetti artisti), successivamente viene fotografata la povertà di Città del Messico, così grande da consentire di non apparire finta la sua estesa interpretazione per mano dei finti mendicanti.

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