elfoscuro75
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lunedì 3 febbraio 2020
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un capolavoro assoluto che schiaccia sulla sedia.
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La responsabilità di fare un'opera quando hai l'ombra addosso di chi ti ha preceduto. Cosa si può dire di più?
Se vuoi fare un film sul nazismo cosa puoi dire di più di quanto hanno già fatto Chaplin, Kubrick e mille altri fino ad arrivare a Benigni?
Jojo rabbit è la risposta. Un film che probabilmente non sarebbe esistito senza opere come il grande dittatore, la vita è bella o bastardi senza gloria di Tarantino.
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La responsabilità di fare un'opera quando hai l'ombra addosso di chi ti ha preceduto. Cosa si può dire di più?
Se vuoi fare un film sul nazismo cosa puoi dire di più di quanto hanno già fatto Chaplin, Kubrick e mille altri fino ad arrivare a Benigni?
Jojo rabbit è la risposta. Un film che probabilmente non sarebbe esistito senza opere come il grande dittatore, la vita è bella o bastardi senza gloria di Tarantino.
Ma che va oltre , aggiungendo , citando ma infine brillando di luce propria. Un film perfetto, a mio avviso capolavoro vero: comico e emozionante; capace di farmi sorridere e piangere come nessun altro film negli ultimi 10 anni.
Una regia stupenda, attori in stato di grazia: da Scarlett Johansson nella parte della vita, a Sam Rockwell che alza il tiro anche rispetto a tre manifesti a Ebbing, ai due ragazzi capaci di farti venir voglia di ballare piangendo sulle note di Heroes di Bowie.
E poi ancora fotografia, gusto per il dettaglio, una grande colonna sonora.
Se non avete speso la vostra quota cinema per Checco Zalone, qui c'è il Cinema con la C maiuscola: da brividi.
"LASCIA CHE TUTTO TI ACCADA: BELLEZZA E TERRORE.
SI DEVE SEMPRE ANDARE:
NESSUN SENTIRE È MAI TROPPO LONTANO" Rainer Maria Rilke
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alfio squillaci
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sabato 18 settembre 2021
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favola nera? insomma...
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L'hanno definito un film da humour nero o favola nera che misura l'impatto della guerra e dei fascismi sugli spiriti innocenti, e hanno citato a (s)proposito Chaplin del "Grande Dittatore" o altre pellicole di Mel Brooks. Un film strano in verità, tutto giocato sul sentimento del contrario; una rappresentazione allegorica del Male, ma tutta dentro i codici di rappresentazione anglosassoni che risalgono forse ai moralities, e che invitano pertanto ad allineare i codici decrittatori con quelli dell'emittente.
In Italia, con tutto il nostro carico di ipocrisa religiosa secolare siamo però adusi a scherzare coi fanti ma a lasciare stare i santi o comunque, detto brutalmente, a non confondere minchie e padrenostri.
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L'hanno definito un film da humour nero o favola nera che misura l'impatto della guerra e dei fascismi sugli spiriti innocenti, e hanno citato a (s)proposito Chaplin del "Grande Dittatore" o altre pellicole di Mel Brooks. Un film strano in verità, tutto giocato sul sentimento del contrario; una rappresentazione allegorica del Male, ma tutta dentro i codici di rappresentazione anglosassoni che risalgono forse ai moralities, e che invitano pertanto ad allineare i codici decrittatori con quelli dell'emittente.
In Italia, con tutto il nostro carico di ipocrisa religiosa secolare siamo però adusi a scherzare coi fanti ma a lasciare stare i santi o comunque, detto brutalmente, a non confondere minchie e padrenostri. Ne viene fuori un film ardito e in bilico sul crinale di rischio dell'equivoco permanente nonostante le buone (e furbe?) intenzioni del regista e interprete neozelandese Taika Waititi.
Per quasi due ore alla fin fine siamo stati in compagnia di nazisti, in un tripudio di simboli nazisti, soldati nazisti e lo stesso Hitler, seppur annegati in una parodia fredda, anzi raggelante. Perciò la pipa che noi vedevamo aveva una scritta immaginaria sotto: "Questa non è una pipa", sembra, o tali erano sicuramente le allusioni ellittiche sottotraccia. Oppure, ecco che altre indicazioni con occhiolino schiacciato dalla regia invitavano a leggere il tutto come involtato tra il virgolettato del "camp" e le allusioni del pop ... Bravo lui il regista e interprete Taika Waititi che sa schettinare su questa sottile lastra di ghiaccio senza, apparentemente, cadere nelle sottostanti acque gelide del velleitarismo più plateale.
E i Beatles in esordio? E il ballo finale? Ci suggeriscono di metterli in conto estetica pop. Ok. Ma i versi (Lascia che tutto ti accada: bellezza e terrore/Si deve sempre andare:/nessun sentire è mai troppo lontano) di Rilke nei titoli di coda? Ah no, questi in verità mi hanno ricordato quei cartigli appesi nelle anticamere dei dentisti che recano massime dalla "Repubblica" di Platone o altri con l'onnipresente poemetto "Se" di Kipling, e si prestano a tutte le letture ammonitorie sul disordine del mondo e alle migliori intenzioni per contrastarlo, ma che in verità sono quel che sono, povere cose piuttosto midcult. Bischerate.
Negli ultimi tempi esco frustrato dal cinema. Forse preferisco i film frontali o forse, visto che le pellicole che vedo piacciono a tutti (quest'ultima su Mymovies ha avuto il consenso del 93% degli spettatori) tranne che a me, è chiaro segno che sto invecchiando e, come i 90enni col cappello in testa su vecchie Simca, vado contromano nell'autostrada del gusto corrente...
Alfio Squillaci
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eugenio
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lunedì 6 gennaio 2020
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il coniglio dittatore
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Un ragazzino di dieci anni nella Germania di provincia hitleriana, Johannes Betler (soprannominato Jojo il “coniglio”, per via del suo temperamento non proprio coraggioso), indottrinato e infatuato del nazismo al punto da vestirsi sempre in divisa con svastica e coltellino e ad avere come amico immaginario Hitler che lo accompagna in ogni sua azione (alla stregua del coniglio di Donnie Darko).
Una ragazza di qualche anno più grande di lui, Elsa (Thomasin McKenzie) amante del disegno delle poesie di Rilke e con un fidanzato, Nathan, partigiano, nascosta segretamente in soffitta dalla madre di Jojo, Rosie (Scarlett Johansson) che segretamente fa parte di un partito contro il regime nascondendo al figlio la sua attività clandestina.
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Un ragazzino di dieci anni nella Germania di provincia hitleriana, Johannes Betler (soprannominato Jojo il “coniglio”, per via del suo temperamento non proprio coraggioso), indottrinato e infatuato del nazismo al punto da vestirsi sempre in divisa con svastica e coltellino e ad avere come amico immaginario Hitler che lo accompagna in ogni sua azione (alla stregua del coniglio di Donnie Darko).
Una ragazza di qualche anno più grande di lui, Elsa (Thomasin McKenzie) amante del disegno delle poesie di Rilke e con un fidanzato, Nathan, partigiano, nascosta segretamente in soffitta dalla madre di Jojo, Rosie (Scarlett Johansson) che segretamente fa parte di un partito contro il regime nascondendo al figlio la sua attività clandestina.
Intorno, lo sfondo ottuso della Gestapo, del nazismo imperante, della guerra entro cui i due dovranno per forza di cose, dallo scontro inevitabile iniziale, convivere per proteggersi vicendevolmente. Lei dai demoni nazisti pronti a ucciderla, lui da quelle maschere che gli impediscono di essere accettato e a cui si adegua palesando amore per il regime nella paura di non essere come gli altri.
Ecco Jojo Rabbit, nelle sale dal sedici gennaio, di una semplicità disarmante ma capace di colpire al cuore proprio evitando quel linguaggio violento proprio della tragedia nazista ma anestetizzandolo con l’arma (molto difficile) dell’ironia. Nell’intento del regista Taika Waititi (interprete tra l’altro dell’amico immaginario di Jojo, con citazione a quello che fu il capolavoro di Chaplin) non c’è quello di raccontare il dramma dell’olocausto, almeno non con il linguaggio realista a cui siamo abituati, ma di inserire, con esempi illustri da Train de Vie al Grande dittatore, sequenze quasi grottesche volte a sottolineare il travagliato quanto sofferto (perché il dolore comunque appare) cammino di un bambino verso la maturità oltre la propaganda del nemico ebreo da eliminare ad ogni costo.
Jojo non ha la spietatezza, né l’arroganza di soldato del Reich; tutt’altro. E’ così sensibile da non avere il coraggio di far male a un coniglio durante l’addestramento come “perfetto soldato del Reich” e il suo unico amico è un suo coetaneo sovrappeso e con gli occhialoni, che viene bullizzato almeno quanto lui. Si diverte a fantasticare sulle creature mostruose come possono essere gli ebrei, inserendo commenti creativi su un simpatico libro “Yooho Jew”, esaltando l’aura ariana del perfetto nazista (ripresa con il saluto Heil Hitler ripetuto in maniera pedissequamente ironica dinanzi a ogni soldato) e, contemporaneamente, venendo irretito sempre più da quell’adolescente sbarazzina senza un futuro chiaro di cui si innamorerà perdutamente.
Forse crescere significa anche questo accettare che quel “monte” che protegge la vallata della nostra insicurezza, abbia anche un altro versante nascosto.
Jojo cerca di esplorare cosa c'è dall'altro lato del nazismo e, grazie alle parole di Elsa, si ritroverà coinvolto in qualcosa che non si aspettava: il terreno. Quello su cui poggiano le ideologie non è tutto uguale: ci sono zone più fertili altre più aride alcune parti addirittura riscontrano frane o cedimenti come la maschera del nazismo che il ragazzino si porta addosso.
Ci sono scorci che il nostro protagonista non avrebbe mai potuto osservare dalla sua prospettiva iniziale senza il confronto con una nemesi ebrea, senza diventare cioè progressivamente “contaminato” e quindi “maturo”, perché la vera maturità si raggiunge solo col confronto, libero da pregiudizi e dietrologie macchiettistiche da fantoccio hitleriano.
Nella teatralità che Taika Waititi inserisce con garbo senza strafare sulla falsariga di Moonrise Kingdom (il ragazzino che guarda col binocolo ha lo stesso sguardo sognante di Jojo) con tanto di allenamento “formativo” hitleriano, il confine tra parodia e farsa non esiste più. Rimane solo una grande deflagrazione, una bomba scoppiata in una realtà buia che riesce a essere anche empatica, commovente, degna di Mel Brooks, con sequenze addirittura divertenti malgrado l’evidente tragicità di fondo (come quella della perquisizione da parte della Gestapo, irriverente e capace al tempo stesso di mantenere una tensione implacabile di fondo). I degni coprimari come il capitano Klenzendorf (interpretato da Sam Rockwell), sono ben caratterizzati e coerenti all’atmosfera da favola nera di cui la pellicola è permeata.
Forse Jojo Rabbit avrebbe potuto osare di più. Nella graffiante satira si accontenta di una scrittura compita e di una narrazione fluida con due ottimi interpreti, nella chiosa di una poesia di Rilke eterna quanto sfuggente:
Lascia che tutto accada
Bellezza e terrore
Continua ad andare avanti;
Nessuna sensazione è definitiva
Al contrario di questo film emozionante e dall’incerto finale sulle note di una celebre canzone. Da vedere.
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movieman
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lunedì 3 febbraio 2020
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il bambino nazista e la ragazza ebrea
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Fra tutti gli orrori del Novecento, il nazismo è stato quello che ha assunto il ruolo di simbolo del Male assoluto perché è stato l'apice ( la punta dell'iceberg, se preferite ) di tutto lo strisciante razzismo che stava alla base dei nazionalismi esasperati che avevano imperversato in Europa (e anche nel resto del mondo) durante gli anni precedenti e che, purtroppo, ancora oggi continuano a fare danni. Le cause che hanno portato a quell'abominio che erano i campi di sterminio sono, infatti, sempre ben presenti nella società e non a caso il cinema torna spesso a riflettere su quel periodo storico e, ormai, si può affermare perfino che i film sul nazismo e sulla Shoah sono un sottogenere a parte del cinema.
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Fra tutti gli orrori del Novecento, il nazismo è stato quello che ha assunto il ruolo di simbolo del Male assoluto perché è stato l'apice ( la punta dell'iceberg, se preferite ) di tutto lo strisciante razzismo che stava alla base dei nazionalismi esasperati che avevano imperversato in Europa (e anche nel resto del mondo) durante gli anni precedenti e che, purtroppo, ancora oggi continuano a fare danni. Le cause che hanno portato a quell'abominio che erano i campi di sterminio sono, infatti, sempre ben presenti nella società e non a caso il cinema torna spesso a riflettere su quel periodo storico e, ormai, si può affermare perfino che i film sul nazismo e sulla Shoah sono un sottogenere a parte del cinema. Nel mare formato da tutti questi film, molti anche banali, ogni tanto ne spunta qualcuno che non solo affronta un punto di vista inedito sull'argomento, ma è anche un gran bel diamante capace di emozionare fino in fondo. Uno è questo film, bellissimo e geniale, diretto da Taika Waititi, regista di origine ebraiche e neozelandesi che nella storia interpreta una versione immaginaria di un Adolf Hitler vivente soltanto nella fantasia del giovanissimo protagonista ( lo strepitoso esordiente Roman Griffin Davis ). Johannes (questo è il nome del bambino) ha dieci anni e vive nella Germania nazista. La storia si svolge nel 1945, al tramonto del regime nazista: gli Anglo-americani e i Russi sono ormai molto vicini, ma il nostro piccolo protagonista è un nazista convinto ( o almeno lui crede di essere convinto ) ed entra con un certo entusiasmo nella Hitlerjugend ( la gioventù hitleriana). Ma Johannes non è veramente un esaltato sostenitore del nazismo ed è fondamentalmente buono e ciò diventa evidente quando si rifiuta di uccidere un coniglio. Ha inoltre un rapporto conflittuale di amore e odio con la madre (una splendida e assai commovente Scarlett Johansson) e sarà costretto a rivedere tutte le sue idee quando si scoprirà costretto ad una convivenza forzata con una ragazza ebrea (Thomasin McKenzie, emozionante anche lei) che la madre nasconde in casa. E verso cui, a modo suo, comincerà a provare i primi turbamenti preadolescenziali . La bellezza di questo film consiste nel fatto che riesce ad unire la satira ( a farne le spese è l'ideologia nazista) con la storia e la comicità con il dramma, permettendo, al film, di pigiare, con rara grazia, su più tasti scivolando con grande intelligenza dai toni buffi ( ma squarciati da lampi sinistri: la già citata scena del coniglio, le esercitazioni dove si insegna ai bambini a lanciare le bombe, la stessa presenza dell'immaginario Hitler che assume toni sempre più dittatoriali quando il protagonista comincia ad aprire gli occhi sulla vera natura del nazismo) della prima parte a quelli più drammatici e malinconici della seconda riuscendo a regalare emozioni molto forti, umane e profonde attraverso personaggi mai banali e molto ben approfonditi (l'istruttore interpretato da Sam Rockwell nasconde più di una sfaccettatura) che insegnano ad andare oltre le apparenze e oltre i pregiudizi e scaraventare via le paure che portano all'odio. Nel finale, la stupenda "Heroes" esplode, insieme alla voce del compianto David Bowie, con il fragore di un tuono ed è la degna chiusura di un film molto umano, originale, intelligente ed emozionante. E che, attraverso una storia ambientata in quel tragico passato, invita a riflettere sul presente.
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taty23
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mercoledì 15 gennaio 2020
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il ritorno di waititi
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Torna l’irriverente Taika Waititi con il film JoJo Rabbit.
Il film racconta la storia di Joharnez “JoJo” Betlezr nella Germania nazista. Jojo è un ragazzino di 10 anni che vive insieme alla madre e condivide le giornate con il suo amico immaginario, una versione fanciullesca e surreale di Adolf Hitler, data l’ammirazione per il regime politico in cui è cresciuto.
Dopo aver avuto un incidente al campo della Gioventù Hitleriana, JoJo scopre che la madre nasconde in casa una giovane ebrea. Il ragazzino prima diffidente e poi sempre più curioso di conoscere il “nemico” instaura con lei un particolare rapporto, mentre la guerra continua ad imperversare.
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Torna l’irriverente Taika Waititi con il film JoJo Rabbit.
Il film racconta la storia di Joharnez “JoJo” Betlezr nella Germania nazista. Jojo è un ragazzino di 10 anni che vive insieme alla madre e condivide le giornate con il suo amico immaginario, una versione fanciullesca e surreale di Adolf Hitler, data l’ammirazione per il regime politico in cui è cresciuto.
Dopo aver avuto un incidente al campo della Gioventù Hitleriana, JoJo scopre che la madre nasconde in casa una giovane ebrea. Il ragazzino prima diffidente e poi sempre più curioso di conoscere il “nemico” instaura con lei un particolare rapporto, mentre la guerra continua ad imperversare.
JoJo Rabbit - Un comedy drama satirico
Presentato al Toronto Film Festival e al Festival di Torino, il film JoJo Rabbit prende spunto dal libro il Cielo in Gabbia di Christine Leunens.
Il regista Taika Waititi sviluppa un film satirico contro la politica Hitleriana e l’antisemitismo. Insieme alla buffa figura di Hitler, che interpreta lo stesso Waititi, si ironizza e si estremizzano alcune situazioni, alcuni momenti funzionano più di altri, cercando di mantenere ben calibrato l’alternarsi di parodia, dramma e commedia. La colonna sonora risulta parte integrante del film.
Nella pellicola JoJo Rabbit da una parte ritroviamo la graffiante ed irriverente cifra stilistica di Waititi, dall’altra parte ci ritroviamo davanti ad una storia molto intima, di oppressione e desiderio di libertà.
Due prospettive diametralmente opposte; quella di Elsa relegata nel nascondiglio con solo la fantasia a poterle dare un minimo di evasione e quella del piccolo JoJo che fondamentalmente è libero, ma imbrigliato da preconcetti.
Interessante il percorso di evoluzione e di cambiamento che affronta il protagonista, lo sguardo di un bambino che man a mano diventa sempre più adulto, risulta convincente Roman Griffin Davis al suo debutto cinematografico.
Da citare nel cast Scarlett Johanson nel ruolo della madre, un personaggio forte ed intraprendente e il capitano Klenzendorf interpretato da un Sam Rockwell a suo agio nella parte.
In conclusione
Con JoJo Rabbit il regista porta sullo schermo uno spaccato di vita, una storia divertente, emozionante ed emozionale. Nello stesso tempo però non riesce ad essere così incisiva nel suo lato satirico e provocatorio, forse si poteva osare di più.
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[+] l'odio razziale in chiave di commedia satirica
(di antonio montefalcone)
[ - ] l'odio razziale in chiave di commedia satirica
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stefano p
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martedì 21 gennaio 2020
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allegorico
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Jojo, il protagonista, è un bambino di 10 anni caratterizzato da una passione innata verso l’ideologia nazista che caratterizza quasi tutti i tedeschi di quegli anni. Un’ideologia allegoricamente interpretata dalla presenza di Adolf Hitler nella mente del bambino che fa appunto pensare a come la sua figura di furher abbia influenzato e corrotto la mente del popolo tedesco durante la seconda guerra mondiale. Si scoprirà durante il film che, al contrario del figlio, il padre e la madre, interpretata da Scarlett Johansson, sono contro la guerra a tal punto che verranno uccisi, il padre come soldato disertore mentre la madre con l’accusa di fare propaganda a sfavore della guerra. Ma Jojo non vive solo con la madre, tra le intercapedini dei muri si nasconde un ragazzina ebrea di nome Elsa che dapprima suscita odio nel piccolo Jojo, ma poi non quest’ultimo si affeziona a lei vedendola come la sorella maggiore morta qualche anno prima.
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Jojo, il protagonista, è un bambino di 10 anni caratterizzato da una passione innata verso l’ideologia nazista che caratterizza quasi tutti i tedeschi di quegli anni. Un’ideologia allegoricamente interpretata dalla presenza di Adolf Hitler nella mente del bambino che fa appunto pensare a come la sua figura di furher abbia influenzato e corrotto la mente del popolo tedesco durante la seconda guerra mondiale. Si scoprirà durante il film che, al contrario del figlio, il padre e la madre, interpretata da Scarlett Johansson, sono contro la guerra a tal punto che verranno uccisi, il padre come soldato disertore mentre la madre con l’accusa di fare propaganda a sfavore della guerra. Ma Jojo non vive solo con la madre, tra le intercapedini dei muri si nasconde un ragazzina ebrea di nome Elsa che dapprima suscita odio nel piccolo Jojo, ma poi non quest’ultimo si affeziona a lei vedendola come la sorella maggiore morta qualche anno prima. Elsa cercherà di spiegare al bambino che gli ebrei perseguitati dai nazisti non sono poi così diversi da lui stesso com’egli crede. Personalmente consiglio vivamente la visione di questo film agli adulti mentre non sarei del tutto d’accordo a consigliarne la visione anche ai bambini dal momento che, sebbene abbia un profondo significato intrinseco ed una morale altrettanto profonda, il suo significato potrebbe essere travisato agli occhi dei bambini.
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loland10
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martedì 21 gennaio 2020
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corri jo, corri jo...
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“Jojo Rabbit” (id., 2019) è il sesto lungometraggio dell’attore, sceneggiatore e regista neozelandese Taika David Waititi (Taika Cohen).
Film salutare e inverecondo, intriso di riso e pieno di vero, scaraventato da un bambino in prima pagina e mandato indietro da un calcio alle idee distorte.
Il Coniglio Jojo apre le danze con il suo amico Fuhrer. Gli sta attorno, un mito, si fida e vuole essere forte. Con il sarcasmo e le vite distorte di un piccolo Chaplin il ragazzino si mette sull’onda della svastica per diventare grande subito.
Naturalmente i grandi sono macchiette e tutto avviene in uno stile fumettistico-surreale dove il colore della fotografia (in ambienti interni e in zuccherosi esterni) sembra pompato e posticcio, sarcastico e festante.
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“Jojo Rabbit” (id., 2019) è il sesto lungometraggio dell’attore, sceneggiatore e regista neozelandese Taika David Waititi (Taika Cohen).
Film salutare e inverecondo, intriso di riso e pieno di vero, scaraventato da un bambino in prima pagina e mandato indietro da un calcio alle idee distorte.
Il Coniglio Jojo apre le danze con il suo amico Fuhrer. Gli sta attorno, un mito, si fida e vuole essere forte. Con il sarcasmo e le vite distorte di un piccolo Chaplin il ragazzino si mette sull’onda della svastica per diventare grande subito.
Naturalmente i grandi sono macchiette e tutto avviene in uno stile fumettistico-surreale dove il colore della fotografia (in ambienti interni e in zuccherosi esterni) sembra pompato e posticcio, sarcastico e festante. Tutto mette in risalto il minimo intellettivo della storia e l’abbaglio vistoso del ragazzino Jojo verso un sogno, un’epopea tronfia e l’amicizia (fintamente vera e dolcemente dispettosa) dei ragazzi in divisa che vogliono superare lo sforzo fisico per rivestire dell’afflato del Sogno con i baffetti.
Tutto estremizzato e corrosivo, in un inizio folgorante e sagace, con scorribande di battute represse e di un popolo che ha la nuvola sopra come l’emblema di una vittoria sicura.
Si deve dire che le piazze rivestite di bandiere con palazzi arditamente lucidi e folgoranti fanno (ir)ridere e nello stesso tempo danno il tempo dei brividi per dei ragazzi ridanciani, con il Coniglio Jojo che vuole aprire le danze, verso una piazza tristemente disadorna, sconquassata e i ruderi che fanno a gara per farsi vedere (e nel pre-finale la carrellata dà il senso dei tempi storici e del cambio di registro del ragazzino che ritrova l’amico tra polveri e battute ‘mi sa tanto che siamo al capolinea’…’la sconfitta è certa’-).
Coniglio non demorde mai e l’attore dodicenne (all’esordio) Roman Griffin Davis ne dà le sembianze con una verve e un piglio davvero da discolo dirompente e da volto navigato nella bufera della storia. Una prova intensa con un volto semplice e vivo, fresco e disarmante.
Lo stesso regista (Taika Waititi) è anche attore nel personaggio di Hitler: goffo e sarcastico con toni da ‘maestro’ verso il ‘Coniglio’, ora leggeri, ora leggiadri, ora misti a segni di nervosismo. Il suo corpo appare acremente acceso e accadicamente intonso. I discorsi-sogni con Jojo sono uno spasso di velleità autorevoli e autoriali; una pomposità allegorica con corse e baldanze da avanspettacolo.
E Scarlett Johansson (la mamma Rosie di Jojo), candidata all’Oscar (come attrice non protagonista) è la terza parte del cast che magnificamente impersona la donna coraggio verso il figlio e la debolezza materna verso una crescita da grande ‘soldato’. Una sensibilità nascosta che va oltre al suo personaggio. E poi il personaggio scomodo rifugiato in casa Beyzler, Elsa (Thomasin McKenzie), una ragazza ebrea che è nascosta e nasconde il suo passato.
‘Ma che cazzo stai facendo?’ dice Adolf al ragazzino Jojo. ‘Fanculo Hitler’ dice Jojo mentre da un calcio (come si vede e in stile fumetti) al suo sogno con i baffi da scaraventare via. Uniche parole volgari che destano il pubblico dal risveglio di un sogno.
Ecco un film in cui l’ironia profonda, la risata ristretta, il sarcasmo da inghiottire, le velleità piatte, l’incanto di un bambino e le storie di una patria sono un excursus di vero godimento e dove il fare storia pare raccontato con arguzia e intelligenza.
Perché Adolf prima vola da solo forte della sua grandezza e comodità dall’alto. E poi viene scaraventato con forza da un calcio nel sedere. Il Fuher avrà anche quattro palle ma i fuochi oramai sono affievoliti....e le bandiere ammainate. È la storia di un bambino che non sa allacciarsi le stringhe delle scarpe...fino ad impararlo a spese sue. Sua madre ci pensa sempre per il suo figliolo....Poi arriva il momento di allacciarle ad altre scarpe
Titoli di testa con i Beatles che aprono lo schermo; canzone finale (‘Heroes’) di David Bowie che schianta l’ironia e la sua storia (scritta quando il muro di Berlino era ancora lì): un sottopasso di grande effetto tra la voce del ‘Duca’ e le movenze delle braccia. Comunque una colonna sonora di grande espressione tra canzoni e score originale di Michael Giacchino.
Prima parte dirompente e invettiva, acuta e di presa in giro; poi un po’ forzata dove il luogo di incontro è quello casalingo dove una madre vuole accudire il figlio di dieci anni e dove uno strano nascondiglio apre le parte a troppe spiegazioni, retorica arguta e sofismi cinematografici.
Regia allegra e irrispetosa, scapestrate e didattica.
Voto: 7/10 (***½) -cinema ficcanaso-
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fabio
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venerdì 24 gennaio 2020
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un commedia "contro"
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Un piccolo gioiello da vedere: un film che dietro la patina brillante si scaglia contro i pregiudizi, la guerra, il fanatismo.
Ma soprettutto è la storia di un drammatico percorso di crescita di un bambino; il bisogno di essere accettato, la mancanza del padre e la necesaria ricerca di un modello. Tutto questo e di più raccontato con leggerezza ma fuggendo dalla banalità.
Ottimi tutti gli interpreti e bravo il regista a dirigerli. Bella scelta musicale con i Beatles e David Bowie in tedesco.
I ragazzi in età adolescente potranno accostarsi e confrontarsi con gli adulti, un po' come avviene nel film; non consigliabile la visione ai bambini che potrebbero interpretare erroneamente le immagini.
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vincenzo ambriola
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domenica 26 gennaio 2020
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il grande tema dell'educazione dei giovani
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Per chi fosse nato in Germania negli anni trenta del secolo scorso il nazismo sarebbe stato la normalità e Hitler il grande Fürher, il condottiero della grande e potente Germania. A partire dai dieci anni avrebbe indossato obbligatoriamente la divisa della Gioventù Hitleriana (la Hitler-Jugend), partecipando a un sistema di addestramento militare e paramilitare. Se fosse nato nei primi anni trenta, sarebbe stato inviato in guerra, per rimpiazzare le enormi perdite subite dall'esercito nazista. Di questo scenario disumano fa parte Johannes Betzler, detto Jojo il coniglio, per un fatto accaduto durante un campo di addestramento in cui dimostrò di non avere il coraggio di uccidere un coniglio.
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Per chi fosse nato in Germania negli anni trenta del secolo scorso il nazismo sarebbe stato la normalità e Hitler il grande Fürher, il condottiero della grande e potente Germania. A partire dai dieci anni avrebbe indossato obbligatoriamente la divisa della Gioventù Hitleriana (la Hitler-Jugend), partecipando a un sistema di addestramento militare e paramilitare. Se fosse nato nei primi anni trenta, sarebbe stato inviato in guerra, per rimpiazzare le enormi perdite subite dall'esercito nazista. Di questo scenario disumano fa parte Johannes Betzler, detto Jojo il coniglio, per un fatto accaduto durante un campo di addestramento in cui dimostrò di non avere il coraggio di uccidere un coniglio. Jojo parla con il suo amico immaginario, Adolf Hilter, delle vicende che gli capitano, dei sentimenti che prova e dei sempre più frequenti dubbi sulla dottrina nazista. Lo fa con grande e infantile serietà, prendendosi sul serio quando argomenta e difende la sua fede, quando chiede maggiori dettagli sugli Ebrei, presentati dalla propaganda nazista come creature inumane, capaci di compiere crudeltà efferate oltre che azioni alquanto bizzarre. Le due figure femminili, la madre e la piccola ebrea, fanno da contraltare alla granitica struttura semantica di Jojo. Troppo intelligente per non vedere il rapido evolversi della situazione, alla fine liquida seccamente il suo amico immaginario, aprendo la strada a una nuova vita. Un film controverso (difficile da accettare nelle prime scene ma commovente e lirico nel finale) che richiede un grande sforzo di immedesimazione nella mente di un bimbo di dieci anni, per coglierne la distorsione cognitiva e l'ingenua fede negli adulti. Un film ottimamente girato, interpretato con leggerezza e ironia, che non da mai spazio a banalità romantiche o a ideologiche recriminazioni. Un film che solleva il grande tema dell'educazione dei giovani e dell'importanza della libertà da tutte le dittature.
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enzo70
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sabato 1 febbraio 2020
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waititi delizia lo spettatore con il piccolo jojo
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Jojo è un bambino, ha solo dieci anni. E nella Germania nazista è un bambino che ha un grande amico immaginario, Adolf Hitler. Jojo è fanatico come solo un bambino può essere, odia gli ebrei, anche se non ne ha mai visto uno. Quando scopre che, in realtà, uno, anzi una ebrea, le è molto vicina, in quanto è stata nascosta in casa dalla mamma, fa la cosa che sono un bambino può fare: prima la combatte con coltelli, scolapasta e mestoli; e poi si innamora. E’ difficile per il piccolo Jojo, che non sa neanche allacciarsi le scarpe, accettare che essere nazisti è più difficile se non si è capaci di uccidere un coniglio per il solo gusto di uccidere un coniglio.
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Jojo è un bambino, ha solo dieci anni. E nella Germania nazista è un bambino che ha un grande amico immaginario, Adolf Hitler. Jojo è fanatico come solo un bambino può essere, odia gli ebrei, anche se non ne ha mai visto uno. Quando scopre che, in realtà, uno, anzi una ebrea, le è molto vicina, in quanto è stata nascosta in casa dalla mamma, fa la cosa che sono un bambino può fare: prima la combatte con coltelli, scolapasta e mestoli; e poi si innamora. E’ difficile per il piccolo Jojo, che non sa neanche allacciarsi le scarpe, accettare che essere nazisti è più difficile se non si è capaci di uccidere un coniglio per il solo gusto di uccidere un coniglio. Quanto è difficile per il piccolo Jojo perdere le sue certezze da bambino per entrare nel mondo fantastico della madre, una bella quanto mai Scarlett Johansson, e nelle contraddizioni del capitano Klenzendorf, quanta umanità nel nazista gay interpretato da uno straordinario Sam Rockwell. Ma quanto è semplice per il piccolo Jojo innamorarsi della sua nemica perfetta, Elisa, l’ebrea. Taika Waititi, il regista che interpreta la parte del fuhrer immaginario, regala agli spettatori due ore di pura magia. Per ricordare quello che è stato, e che potrebbe ripetersi se si perde la memoria, va bene anche un piccolo nazista che si innamora di una piccola ebrea. Perché questo è un film che non si dimentica proprio per la sua irriverenza stilistica e narrativa.
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