Il Signor Diavolo

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La paura è una questione di fede secondo Pupi Avati

di Emiliano Morreale La Repubblica

L'invenzione cinematografica più originale di Pupi Avati era stata, fin dagli inizi della sua carriera, l'idea di una pianura padana fantastica e gotica, che sorgeva dall'accentuazione del grottesco. Dai primi Balsamus, l'uomo di Satana e Thomas e gli indemoniati all'horror più netto di La casa dalle finestre che ridono, ormai un classico, questo filone è rimasto sotterraneo nel suo cinema che, dagli anni 80, si spostava invece verso la rievocazione nostalgica di un passato provinciale. La passione di Avati per l'horror è riemersa periodicamente: Zeder, L'arcano incantatore, Il nascondiglio e si aspettava con una certa simpatia questo Signor Diavolo, che nel prologo solletica noi appassionati del genere: primi piani di bambole inquietanti, pianto di bambino in culla un bambino più grande, in una specie di costume da paggio, si avvicina alla culla, si china su di essa e... Il resto del film è meno memorabile. Siamo nel 1952: un ispettore del Ministero di Grazia e Giustizia viene inviato nel Veneto cattolico e democristiano per indagare sull'omicidio di un bambino da parte di un compagno di classe. Il giovane omicida, forse istigato da una suora e da un sagrestano, ha agito convinto che il coetaneo fosse un'incarnazione del Maligno. Il fatto è che la madre dell'ucciso, potente dama cattolica, è diventata ostile al partito di governo, mettendo a rischio molti voti. Uno spunto del tutto pretestuoso, come si vede, che viene spiattellato all'inizio con un pesante "spiegone" al protagonista. Quando si arriva nei luoghi del delitto, una serie di piccoli episodi e andirivieni temporali si incrociano in una storia che lascia intravedere i fantasmi del sesso, della famiglia, del mondo animale. Incuriosisce l'uso insieme torvo e disinvolto della imagery cattolica, di un cattolicesimo tutto nostrano e popolare, da parte di un regista notoriamente credente, e che da quel mondo proviene. Lo stile è vecchiotto, con qualche scivolone (un tremendo flashback al ralenti), gli attori principali un po' ingessati. L'interesse si ridesta anche all'apparire di alcuni interpreti in ruoli secondari: del resto, uno dei talenti di Avati è sempre stato il sorprendente recupero o il contro-uso di attori. Qui ci sono Gianni Cavina sagrestano, Alessandro Haber esorcista, Chiara Caselli in gramaglie, Andrea Roncato in preda ai tormenti.
Da La Repubblica, 22 agosto 2019


di Emiliano Morreale, 22 agosto 2019

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