Furie

Nella vita Hai Phuong ha sbagliato tutto, ma ha pagato il prezzo delle proprie scelte. Ritiratasi in campagna con la figlia Mai, per sbarcare il lunario utilizza le proprie arti marziali nella riscossione dei debiti. Finché Mai viene rapita e Hai è costretta a una corsa contro il tempo per ritrovarla ancora viva.

Già protagonista delle nostre rubriche di box office come il maggiore incasso di sempre del cinema vietnamita, Furie, titolo internazionale di Hai Phuong, ha il merito di non pretendere mai di essere diverso da ciò che è.

Chi si sintonizza su Netflix per vedere il film di Le-Van Kiet si aspetta un action a base di colpi marziali proibiti e con il portato di pathos tipico del revenge movie. E Furie questo offre, senza lasciare nulla al caso. Veronica Ngo, già modella e protagonista di The Rebel - accanto al compagno di vita e di lotta marziale Johnny Tri Nguyen - e Once upon a Time in Vietnam, si conferma un corpo action senza pari, tanto minuta e delicata nei lineamenti quanto letale nelle mosse di vovinam (arte marziale vietnamita) inflitte ai suoi nemici.

Le-Van Kiet attorno a lei costruisce il più classico dei canovacci action, che fa leva sull'affetto familiare per giustificare la violenza del vigilante. In sostanza gli stessi elementi su cui si basa la carriera recente di Liam Neeson, ma convertiti al femminile, per soddisfare le esigenze dell'era post #MeToo. Difficile pensare a un caso se si considera che tutti i ruoli principali sono femminili, dall'infermiera che aiuta la protagonista alla rapitrice implacabile da sconfiggere, passando per la madre apprensiva, ma solidale più con l'eroina che con il figlio. Gli uomini sono delinquenti di mezza tacca, deboli pedine oppure arrivano sempre troppo tardi, come il detective Luong, che per tempismo ricorda lo Zenigata di Lupin III.

Dopo il coreano The Villainess o il filippino Buy Bust, quindi, si assiste a un altro caso di action al femminile del sudest asiatico: segno che la tendenza anticipata con Chocolate da Jeeja Yanin qualche anno fa (aspetto gradevole da damigella in pericolo, ma botte che non lasciano scampo) è diventata norma.

Il resto lo fanno le coreografie di Kefi Abrikh (Lucy, Jason Bourne, Mission Impossible: Fallout) e le verdi terre sterminate del Vietnam, di una bellezza a prova di ogni effetto cartolina. Al termine di cento adrenalici minuti di azione, lotta e affetti materni e dell'appagamento che ne deriva, le ragioni del successo di Hai Phuong diventano più che autoesplicative. 