Anno | 2018 |
Genere | Drammatico |
Produzione | Egitto, USA, Austria |
Durata | 93 minuti |
Regia di | A.B. Shawky |
Attori | Rady Gamal, Ahmed Abdelhafiz, Shahira Fahmy, Mohamed Abdel Azim, Osama Abdallah Shehab Ibrahim. |
MYmonetro | 3,02 su 1 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. |
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Ultimo aggiornamento giovedì 10 maggio 2018
Un viaggio incredibile per cercare se stessi e quello che è rimasto della propria famiglia.
CONSIGLIATO SÌ
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Beshay, un lebbroso da molto tempo non più infettivo, non ha mai lasciato il lebbrosario nel deserto egiziano in cui vive fin da quando era piccolo. In seguito alla morte della moglie decide di andare a ricercare suo padre che, dopo aver promesso di tornare a trovarlo, non si era più interessato a lui. Con un carretto trainato da un somaro l'uomo parte ma non può abbandonare Obama, il bambino nubiano orfano di cui si è sempre preso cura. Il viaggio per i due ha inizio.
A.B. Shawky, figlio di un egiziano e di un'austriaca è alla sua opera prima e bene ha fatto il 71° Festival di Cannes a scegliere questo film come unica opera di un esordiente nella competizione ufficiale.
Perché si avverte in ogni inquadratura l'empatia che lega il regista ai suoi 'attori' che non sono professionisti ma che, come Rady Gamal, portano sul proprio corpo i segni di una vita dura. Perché Gamal non ha avuto alcun bisogno di trucchi per portare sullo schermo un corpo segnato da cicatrici indelebili che il suo personaggio cerca a tratti di mascherare con un velo. Così come l'interprete di Obama non ha una grande dimestichezza con la lettura e la scrittura.
La camera li accompagna in un viaggio che compiono con un asino per il quale a un certo punto si soffre come si soffriva per il bressoniano Balthazar ma non per le sofferenze subite bensì per l'amore condiviso. Entrambi desiderano e al contempo temono di sapere per quali vie e ragioni chi li aveva generati li ha lasciati.
L'Egitto che attraversano non ha niente di turistico ma ha molto di povertà di mezzi, a partire da quella discarica in cui Beshay va a cercare oggetti da rivendere. La lebbra è ancora un segno di discrimine perché incide sull'aspetto di chi non ha smesso di proclamarsi un 'essere umano' a dispetto di tutti i rifiuti che riceve dai cosiddetti 'normali'.
Shawky non si limita però a raccontare il viaggio di due reietti che non hanno rinunciato alla loro dignità ma aggiunge annotazioni anche di carattere religioso. Beshay infatti è copto, a marcare una presenza cristiana che si fa ancora più forte nell'ambito dell'assistenza ai lebbrosi che ha visto le varie confessioni cristiane in prima fila anche in Egitto.
Una chiave di lettura che va oltre la contingenza terrena e che si evince sin dal titolo. Yomeddine infatti in arabo significa "il giorno del giudizio". Il giorno cioè in cui tutti gli esseri umani verranno giudicati per quello che sono stati e non per il loro aspetto. Gli esseri umani ma non gli animali perché, come afferma Beshay, loro andranno direttamente in Paradiso.