Unfriended: Dark Web

La morte viaggia sui social

Un tempo, negli affrettati commenti televisivi, era uso dire che computer, smartphone e altri dispositivi avrebbero disabituato i giovani alla lettura. È avvenuto esattamente il contrario: non si è mai letto (e scritto) tanto come oggi: tramite messaggini, chat, scambio di testi e applicazioni varie. In Unfriended: Dark Web, addirittura, lo studente Matias ha inventato Papaya, un'evoluzione di Skype che gli permette di trasformare in scrittura ciò che dice, per poter comunicare con Amaya, la ragazza sordomuta di cui è innamorato. Senonché Matias ha commesso un grosso errore. Necessitandogli un hardware più potente del suo per realizzare il progetto, si è impossessato di un portatile abbandonato. Durante una chat di gruppo con coetanei più o meno "alternativi", il ragazzo scopre che il dispositivo non solo si collega di sua iniziativa con un profilo Facebook oscuro e misterioso, ma contiene anche una cartella di video snuff con omicidi reali, materiale di scambio tra utenti del dark web. Ed ecco che Matias e i suoi amici diventano candidati a una strage, perpetrata in vari luoghi o, anche, entrando nelle loro case mentre stanno comunicando su Skype. Sèguito a cinque anni di distanza di Unfriended prodotto dal Mida del cinema horror Jason Blum e dal russo Timur Bekmambetov, il film usa la stessa formula del prototipo (tutto ciò che vediamo si svolge sugli schermi condivisi di device, senza alcuna immagine "reale"), ma perdendo totalmente il pregio dell'originalità. Dal 2014 a oggi, ci sono stati altri horror basati sullo schermo-nello- schermo (alcuni con più solide ragioni narrative: tipo Searching, dove un laptop era strumento d'indagine): però quella del prototipo era il tipo d'idea che si logora in fretta e poco conta se qui, diversamente da quello, la minaccia non è metafisica ma umana. Però un dubbio incombe. Se un film come Unfriended: Dark Web ha un costo irrisorio (1 milione di dollari) e ricavi nove volte più alti, non sarà che sta per toccarci un franchise pieno di videochat con immagini multiple, motori di ricerca, messaggi e puntatori, come quelli che molti di noi usano per gran parte della giornata? Una simile ipotesi ci precluderebbe il benefico "rifugio" del cinema. Senza considerare un'aggravante: che lo schermo cinematografico, anche se "travestito" da monitor di computer, non consente l'interattività, ma lascia lo spettatore in un ruolo passivo. La cosa più probabile, comunque, è che si tratti di un'operazione di pura exploitation, da spremere finché funziona prima di passare ad altro. Sembra dimostrarlo una circostanza. Del film sono stati confezionati ben quattro finali diversi: uno alternativo per i cinema, altri due per la versione dvd.
Da La Repubblica, 16 maggio 2019


di Roberto Nepoti, 16 maggio 2019