Il segreto di una famiglia

Il legame assoluto tra due sorelle

"Amor inquieto, amor drogado, amor completo": sono i versi di una canzone melodica che risuona all'inizio e sui titoli di coda. E solo alla fine si comprende che l'unico amore vero, totalizzante, assoluto, è quello tra le due sorelle protagoniste, legate a doppio filo da un rapporto morboso ai limiti dell'incesto. Parliamo del nuovo film di Pablo Trapero, che dopo El clan torna a concentrarsi su quel groviglio di non detti, ambiguità, misteri, che caratterizzano le famiglie, anche quelle apparentemente più normali. Ma se nel lavoro precedente, Leone d'argento a Venezia 2015, la vicenda era tutta declinata al maschile (Arquímedes Puccio, con la complicità dei figli, conduceva una vera e propria impresa di rapimenti dell'Argentina degli anni Ottanta), in Il segreto di una famiglia, fuori concorso alla scorsa Mostra del Cinema e in uscita dopodomani, sono le donne al centro della narrazione. Eugenia e Mía, tanto simili fisicamente quanto diverse nel carattere introversa e più morbida la primogenita, tormentata, infelice e melo-drammatica la seconda - si ritrovano nella splendida tenuta La Quietud (titolo originale, fortemente ironico) al capezzale del padre Augusto, in fin di vita per un ictus. Dopo un'infanzia e giovinezza in cui hanno condiviso giochi, esperienze e persino flirt, si sono separate: se Mia ha scelto di vivere coi genitori, Eugenia è rimasta a Parigi, e ha sposato il vecchio compagno di scuola Vincent. Le relazioni parentali sono subito chiare: la più piccola è attaccatissima a papà, l'altra è la cocca di mamma Esmeralda, dama eccentrica, egoista, piena di risentimento. Non a caso la scena di maggior impatto è quella della violenta ed estenuante disputa tra lei e la figlia poco amata sull'anno in cui venne scattata una vecchia foto: era il '96 o il '97? A poco a poco la convivenza fa emergere episodi nascosti e inquietanti. Il segreto non è uno soltanto, ce ne sono parecchi e non riguardano solo l'anziana coppia e i suoi loschi traffici: Eugenia sa che Mía non ha mai smesso di avere una storia con suo marito ma finge di esserne all'oscuro, e a sua volta fa sesso con un amico di gioventù. Tradimenti che allontanerebbero chiunque, ma dai quali però il sodalizio tra le due esce rafforzato: anzi, si confessano, è questo il loro modo per sentirsi più vicine, nonostante l'oceano che le divide. Si arriva così al finale un po' inverosimile, che però si ricollega a una delle prime sequenze: quella della masturbazione in contemporanea delle sorelle ritrovate, come accadeva quando erano adolescenti. Non c'è dubbio che Trapero metta troppa carne al fuoco, affrontando temi diversi tra gravidanze isteriche, rivelazioni sconcertanti, scene madri, funerali, tentativi di suicidio e persino un omicidio, con uno stile che pare mutuato dalle telenovelas sudamericane. Aggiungendoci già che c'è anche i riferimenti al passato dittatoriale dell'Argentina: retroscena che funzionava alla perfezione in El clan, e che qui invece risulta più pretestuoso. Da Trapero ci si poteva aspettare di più (interessanti erano anche Carancho ed Elefante bianco), ma resta comunque impressa la prova delle due bellissime attrici Bérénice Bejo, argentina trasferita in Francia che per la prima volta recita nella sua lingua d'origine, e Martina Gusmn, musa e moglie del regista. Senza dimenticare la veterana Graciela Borges..
Da La Repubblica, 2 luglio 2019


di Paola Zonca, 2 luglio 2019