peergynt
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giovedì 6 settembre 2018
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come la necessità insegna a scrivere sceneggiature
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Intelligente e divertente commedia di un regista palestinese giunto al suo terzo lungometraggio, il film sa divertire ma anche far riflettere sul difficile rapporto fra palestinesi e israeliani. Con toni woodyalleniani (difficile non pensare a "Pallottole su Broadway"), si racconta la storia di Salam, giovane palestinese che fa l'assistente ai dialoghi per una notissima e seguitissima soap-opera antisionista, intitolata "Tel Aviv on fire". Fermato al checkpoint dai soldati israeliani, per non avere problemi fa credere ad Assi, il soldato israeliano che comanda il checkpoint, di essere lo sceneggiatore della soap-opera, che anche le mogli dei soldati israeliani guardano assiduamente.
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Intelligente e divertente commedia di un regista palestinese giunto al suo terzo lungometraggio, il film sa divertire ma anche far riflettere sul difficile rapporto fra palestinesi e israeliani. Con toni woodyalleniani (difficile non pensare a "Pallottole su Broadway"), si racconta la storia di Salam, giovane palestinese che fa l'assistente ai dialoghi per una notissima e seguitissima soap-opera antisionista, intitolata "Tel Aviv on fire". Fermato al checkpoint dai soldati israeliani, per non avere problemi fa credere ad Assi, il soldato israeliano che comanda il checkpoint, di essere lo sceneggiatore della soap-opera, che anche le mogli dei soldati israeliani guardano assiduamente. Ma il povero Salam invece di semplificarsi la vita se la complica, perché si trova ora a dover accontentare sia suo zio, il produttore della telenovela, che Assi, che vuole che la soap-opera diventi filoisraeliana. Eppure per Salam sarà una grande occasione, che gli insegnerà non solo a scrivere sceneggiature ma anche a comprendere meglio le persone e ad invitarle in qualche modo a dialogare. Dotato di una sceneggiatura brillante, il film si fa apprezzare anche per questo invito al dialogo, quanto mai necessario soprattutto in quelle terre.
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francesca meneghetti
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lunedì 20 maggio 2019
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tutti pazzi a tel aviv? basta un'idea geniale
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Siamo abituati ad apprezzare l’umorismo ebraico, un retaggio che si deve in parte alla raffinata educazione europea, in parte alla formazione religiosa che educa al rovesciamento delle prospettive (e l’ironia ha appunto a che fare con il suo opposto, ma si veda l’indovinello dei due spazzacamini raccontato da Primo Levi in “Se non ora quando”, e riassunto qui: http://moked.it/blog/2017/12/29/pagine-ebraiche-gennaio-2018-piotr-talmud-cosi/”. In questo film di Sameh Zoabi impariamo che anche gli arabi palestinesi sanno ridere. Salam, Il protagonista, visto con occhi italiani, è una via di mezzo tra Massimo Troisi (belli, tutti e due, della stessa melanconica e quasi trasandata bellezza) e lo sveviano Zeno Cosini giovane: inetto, imbranato, quasi fallito.
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Siamo abituati ad apprezzare l’umorismo ebraico, un retaggio che si deve in parte alla raffinata educazione europea, in parte alla formazione religiosa che educa al rovesciamento delle prospettive (e l’ironia ha appunto a che fare con il suo opposto, ma si veda l’indovinello dei due spazzacamini raccontato da Primo Levi in “Se non ora quando”, e riassunto qui: http://moked.it/blog/2017/12/29/pagine-ebraiche-gennaio-2018-piotr-talmud-cosi/”. In questo film di Sameh Zoabi impariamo che anche gli arabi palestinesi sanno ridere. Salam, Il protagonista, visto con occhi italiani, è una via di mezzo tra Massimo Troisi (belli, tutti e due, della stessa melanconica e quasi trasandata bellezza) e lo sveviano Zeno Cosini giovane: inetto, imbranato, quasi fallito. Ha perso la ragazza che amava, ha un passato di barista, ma è sempre senza soldi. Gli para il culo uno zio, produttore di una soap opera palestinese che ha il suo set a Ramallah, distante meno di 20 km da Gerusalemme, di fatto capitale dello Stato di Palestina. Solo che, per raggiungerla, Salam deve superare ogni giorno l’odioso (ma, per qualcuno, necessario) check point israeliano. E qui incontra l’uomo del destino, che all’inizio sembra solo voler esercitare con sadismo il suo potere assoluto, poi si lascia sedurre dal fatto che Salam è (lo diventa per caso) lo sceneggiatore di una soap opera palestinese, che fa impazzire un pubblico, specie femminile, trasversale, cioè ebraico e arabo, perché è sentimentale in modo elementare, come lo sono i fotoromanzi che parlano di amore in modo universale. E si fa “comprare” dall’hummus che Salam gli procura, fino a diventare co-sceneggiatore, e poi … si vedrà nel film. Salam è un personaggio dinamico. All’inizio sembra poter sopravvivere solo rubando idee e battute altrui, ma poi, mentre si alza la posta in gioco, e si trova, suo malgrado ad affrontare situazioni sempre più complesse, potenzialmente drammatiche, evolve e trova il modo di generare idee brillanti per cavarsi d’impiccio (e raggiungere il suo scopo vero: l’amore corrisposto). Per certi versi, si potrebbe anche definire un film sulla creatività. Ma l’ambito più serio e terreno su cui esercitare la creatività dovrebbe essere la politica e cioè la drammatica questione mediorientale, che nel film, è film dentro il film, anche se il racconti sembra leggero. E’ in realtà un invito a superare gli schemi consueti, a strizzare il cervello per far scaturire nuove e fresche idee che possano dare un respiro e una prospettiva (una seconda serie nella soap opera!), in modo da conciliare gli inconciliabili. E’ quello che dovrebbe fare la politica nel senso più alto del termine. Bellissime le attrici protagoniste, oltre a Kais Nashif.
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vanessa zarastro
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giovedì 30 maggio 2019
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soap opera in guerra
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“Tutti pazzi per Tel Aviv” è una commedia satirica divertente che ha il merito di parlare di cose drammatiche in maniera allegra, e csì persino nel trattare il Medioriente si può trovare il modo di far sorridere.
Salam (interpretato dal bravo Kais Nashif) è un ragazzo poco attendibile e con poca voglia di lavorare. Lo zio sceneggiatore gli offre un lavoro nel suo team a Ramallah, in Cisgiorgania, dove sta producendo una soap opera di successo. Il telefilm è incentrato su una ragazza di nome Manal (l’attrice belga Lubna Azabal), una spia millantatasi ebrea francese sotto il falso nome di Rachel Ashkenazi, che cerca di sedurre il generale israeliano Yehuda (Yuosef Joe Sweid,) con la scusa di aver aperto un ristorante francese a Tel Aviv, ma in verità per carpirgli informazioni preziose.
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“Tutti pazzi per Tel Aviv” è una commedia satirica divertente che ha il merito di parlare di cose drammatiche in maniera allegra, e csì persino nel trattare il Medioriente si può trovare il modo di far sorridere.
Salam (interpretato dal bravo Kais Nashif) è un ragazzo poco attendibile e con poca voglia di lavorare. Lo zio sceneggiatore gli offre un lavoro nel suo team a Ramallah, in Cisgiorgania, dove sta producendo una soap opera di successo. Il telefilm è incentrato su una ragazza di nome Manal (l’attrice belga Lubna Azabal), una spia millantatasi ebrea francese sotto il falso nome di Rachel Ashkenazi, che cerca di sedurre il generale israeliano Yehuda (Yuosef Joe Sweid,) con la scusa di aver aperto un ristorante francese a Tel Aviv, ma in verità per carpirgli informazioni preziose. La fiction è retrodatata nel 1967, poco prima dello scoppio della Guerra dei Sei Giorni. Salam, considerato l’esperto della lingua ebraica, viene utilizzato per dare qualche suggerimento come dialect coach. Vivendo a Gerusalemme ma lavorando a Ramallah, anche se a soli 18 km, deve attraversare due volte ogni giorno il blocco israeliano – non ricorda un po’ il recente “Torna a casa, Jimi” di Marios Piperides? – che divide la Cisgiordania e la Striscia di Gaza con lo Stato ebraico, sotto il rigido controllo dei documenti del comandante Assi (Yaniv Biton). Una volta a tu per tu con lui per darsi importanza, Salam dichiara di essere lo sceneggiatore della soap opera. Non lo avesse mai fatto!!!
La moglie del comandante è una fan della soap opera, Assi inizia a suggerire a Salam, poi a imporre, sviluppi ulteriori e un finale di suo gradimento (con la scusa che piace alla moglie). Così Salam riuscirà a convincere il vecchio zio di dargli delle possibilità della scrittura di alcuni episodi della fiction. Lo zio è una bella figura di cinefilo novecentesco il cui riferimento cinematografico principale è Il “Mistero de falco” di John Huston del 1941, con Humphrey Bogart.
In “Tel Aviv brucia” – il nome dellasoap opera – i buoni dovevano essere i palestinesi che si sarebbero liberati degli occupanti. Salam si troverà quindi costretto a districarsi tra i vari desiderata:
l’attrice protagonista che non si sente sufficientemente gratificata, l’autrice Sarah è furiosa perché il telefilm sembra essere diventata sionista solo aver introdotto la parola shoah, l’aspirante attricetta voleva che Manal morisse di cancro per diventare lei la nuova protagonista, l’altro attore che interpreta Marwan (Ashraf Farah), l’arabo partigiano che ama Manal, rivendica il suo ruolo di figura-chiave.
Ma Assi pretende che Manal e il generale Yehuda si amino realmente e perfino che si sposino nel finale. Come fare? A chi dare retta?
Il risultato è che Salam impara il mestiere di scrittore, riesce a “stare seduto più di 5 minuti”, e riconquista anche Miriam, la sua bellissima ex fidanzata (Maisa Abd Elhadi). Qua e là il regista inserisce frammenti di ricordi di una vita passata difficile, come ad esempio, quando Salam confessa di odiare l’hummus perché, quand’era piccolo nel periodo dell’intifada, era l’unico cibo in scatola che avevano per mangiare. Un paio di volte viene anche citato con scetticismo il patto di Oslo del 1993.
L’unico neo del film, a mio modesto avviso, è che è tutto girato in interni e non abbiamo quindi la possibilità di apprezzare, conoscere meglio, e distinguere bene, le due realtà in conflitto.
Samed Zoabi, al suo secondo lungometraggio, ha scritto la sceneggiatura con Dan Kleinman, descrivendo situazioni che conosce benissimo, e lo fa con ironia e padronanza del mezzo. Nato nel 1975 in un piccolo villaggio vicino a Nazaret, studia cinema (e letteratura inglese) all’Università di Tel Aviv, poi alla Columbia University of Fine Arts. Esordisce con un corto nel 2006 e nel 2011 “Man Without Cellphone” un film che è un racconto delle frustrazioni di una famiglia palestinese in un territorio israeliano. “Tutti pazzi per Tel Aviv” è stato presentato nella sezione Orizzonti del Festival di Venezia del 2018, dove Kais Nashif ha ottenuto i riconoscimento come Migliore Attore.
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