Profile

Film 2018 | Drammatico +13 105 min.

Titolo originaleProfile
Anno2018
GenereDrammatico
ProduzioneUSA, Cipro, Gran Bretagna
Durata105 minuti
Regia diTimur Bekmambetov
AttoriValene Kane, Shazad Latif, Christine Adams, Morgan Watkins, Amir Rahimzadeh Kate Watson, Kelley Mack, Sherine Chalhie, Eloise Thomas, Adam Sidman, Emma Cater, Amir Rahimzadeh, Selva Rasalingam, Therica Wilson-Read.
RatingConsigli per la visione di bambini e ragazzi: +13
MYmonetro 3,02 su 1 recensioni tra critica, pubblico e dizionari.

Regia di Timur Bekmambetov. Un film con Valene Kane, Shazad Latif, Christine Adams, Morgan Watkins, Amir Rahimzadeh. Cast completo Titolo originale: Profile. Genere Drammatico - USA, Cipro, Gran Bretagna, 2018, durata 105 minuti. Consigli per la visione di bambini e ragazzi: +13 - MYmonetro 3,02 su 1 recensioni tra critica, pubblico e dizionari.

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Ultimo aggiornamento mercoledì 7 aprile 2021

Una giornalista inglese riesce a entrare in contatto con un reclutatore dell'ISIS e finisce per lasciarsi coinvolgere in modo molto pericoloso. Al Box Office Usa Profile ha incassato 1,5 milioni di dollari .

Consigliato sì!
3,02/5
MYMOVIES 3,00
CRITICA
PUBBLICO 3,04
CONSIGLIATO SÌ
Scheda Home
Critica
Premi
Cinema
Dalla storia vera di Anna Erelle un film sul mondo dell'ISIS sul web, tra video di gattini jihadisti e reclutatori influencer.
Recensione di Ilaria Ravarino
lunedì 19 febbraio 2018
Recensione di Ilaria Ravarino
lunedì 19 febbraio 2018

Amy Whittaker è una giornalista freelance inglese che ha da poco accettato un incarico pericoloso, ma ben pagato, per conto di un giornale: entrare in contatto via Facebook con uno dei reclutatori dell'Isis, per capire in che modo le ragazze europee vengano convinte, e praticamente aiutate, a lasciare l'occidente per la Siria. Amy è costretta ad agire sotto copertura, a inventare una seconda identità reale e sul web, un nuovo profilo Facebook, un nuovo nome, diverse abitudini digitali. Entrata in contatto via social con un soldato dell'ISIS, Abu Bilal, la giornalista comincia il suo gioco di accerchiamento e seduzione. Finché, con sua stessa sorpresa, non si renderà conto di essere attratta veramente dal giovane reclutatore. Dalla storia vera di Anna Erelle, pubblicata nel libro Nella testa di una Jihadista.

Anche i jihadisti postano gattini. Sparano col kalashnikov e si sparano i selfie, chattano, uplodano, condividono. Usano le emoticon come noi - le stesse emoticon - e reagiscono come noi al suono delle stesse applicazioni: il trillo di una Skype call, il tono di una notifica di Messenger, il segnale di una chat che si apre, la suoneria di una chiamata su whatsapp.

Il Califfato sul web, in Profile di Timur Bekmambetov, ha la faccia di un ragazzino che rimorchia donne occidentali su Facebook per reclutarle (ma anche il contrario: reclutare per rimorchiare), che si guarda in video e si piace ("Sono bello?"), che condivide album di foto in cui fa il figo con gli amici, coccola un cucciolo, occasionalmente combatte.

Bekmambetov ci costringe a guardare il nemico in faccia per mostrarci quanto sia simile a noi: in fondo parliamo la stessa lingua, viviamo nello stesso mondo virtuale, abitiamo fianco a fianco nei condomini social del web. Una consapevolezza di familiarità che la scelta di girare in screencast rende ancora più disturbante: camera fissa sul desktop della giornalista, per più di 90 minuti siamo risucchiati in un mondo di finestre che si aprono, mouse che frugano, cartelle e directory che appaiono, scompaiono, si spostano trascinate dal cursore e dallo scorrere degli eventi.

Non usciremo mai, dal laptop di Amy: persino la musica, con una bella colonna sonora di cover acustiche di Pixies e Radiohead, è sempre diegetica, suonata dai media player della donna. Ed è incredibile quanto l'allenamento quotidiano ai nostri device ci abbia reso pazienti persino nel tollerare l'assenza di uno dei fondamenti del linguaggio cinematografico, il controcampo, suggerito/sostituito dalle finestre delle video call con i volti dei protagonisti, e dall'incursione sonora del mondo reale: il latrato di un cane, il respiro di Amy, il rumore delle dita che battono più o meno freneticamente, con maggiore o minore sicurezza, sulla tastiera.

Costruita come un lungo flashback, raccontato aprendo di volta in volta i file dell'inchiesta giornalistica, la storia di Amy procede come un flusso di coscienza digitale in un lungo piano sequenza di video condivisi, tutorial, traduttori istantanei, bloc notes in un angolo dello schermo con informazioni sulla Siria, annunci immobiliari, scadenze, bollette. Un furioso multitasking in cui Bekmambetov fa crescere abilmente la suspance giocando proprio sulla caratteristica più ambigua del mondo digitale, il suo essere un universo nel quale tutti sanno tutto, tutti sanno di tutti, tutti possono essere tutto. Un mondo in cui lo screenshot di un desktop può dirci molto di più, della persona con cui stiamo chattando, di una semplice foto. Ammesso che anche il desktop non sia un fake.

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