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Figlia mia, western dell'anima

Tre donne camminano l'una nei passi dell'altra: devono essere amiche poiché cercano la stessa cosa: la solidarietà femminile, un sapere da tramandare di madre in figlia. Presentato alla Berlinale e ora al cinema.
di Paola Casella

Figlia mia

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Valeria Golino (58 anni) 22 ottobre 1965, Napoli (Italia) - Bilancia. Interpreta Tina nel film di Laura Bispuri Figlia mia.
sabato 24 febbraio 2018 - Focus

C'è un lascito di conoscenze che si tramanda di madre in figlia, e che contribuisce a creare l'identificazione del femminile. Un trasferimento di informazioni spesso interrotto, soprattutto nella contemporaneità. Laura Bispuri lo rimette proprio al centro del suo Figlia mia, una riappropriazione fin dal titolo. E se così spesso nel film si parla della Vergine Madre è perché con la concezione mariana della femminilità, così presente nella cultura italiana, Bispuri si confronta in modo diretto, facendo squadra con un'altra artista di talento: la sceneggiatrice Francesca Manieri.

Al cuore della storia è una bambina di quasi dieci anni, Vittoria: diversa dalle coetanee fin dai colori - rossa e lentigginosa - con una grande coda di cavallo che la accomuna fin dalla prima scena ai quei bradi non addomesticabili che animano ancora oggi i rodei in una terra, quella di Sardegna, rimasta ancora un po' Far West.
Paola Casella

Eppure Vittoria è cresciuta obbediente come la voleva sua madre adottiva Tina, donna timorosa di tutto (e della Beata Vergine, cui si rivolge affinché tutto resti uguale) e preoccupata che la bambina esca dal suo abbraccio tentacolare per raggiungere la madre naturale: Angelica, cui Vittoria somiglia per aspetto fisico anomalo e indole ostinata e contraria. Con Angelica la bambina smette di sentirsi brutto anatroccolo e si trasforma in cigno coraggioso, va incontro alla propria sessualità e al suo essere femmina.


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In foto una scena del film Figlia mia.
In foto una scena del film Figlia mia.
In foto una scena del film Figlia mia.

Ma anche Tina ha un posto importante nella vita di Vittoria. È il luogo della convivenza civile, della protezione, del ristoro. Entrambe le madri sono necessarie alla bambina, così come la figlia è necessaria alle due donne per ricomporre quell'identità femminile che in loro è scissa e polarizzata: da un lato il dovere, l'ordine, la responsabilità; dall'altro l'istinto, la follia, il desiderio. Qui la Madonna tutta genitorialità sacrificale, là la puttana tutta irrazionalità autolesionista: è la dicotomia cui molte donne, soprattutto nei paesi cattolici, vengono spietatamente ricondotte, chiedendo loro di scegliere se essere solo l'una, o solo l'altra.

Ma Vittoria non vuole scegliere. Vittoria vuole tutto, perché nel suo modo confuso ed esitante sa di avere diritto ad essere tutto. E non crede che la felicità sia una colpa, anzi, vede il senso di colpa come un inutile freno alla propria complessità umana, e in questo è più evoluta dell'irriverente Angelica, che già dal nome tradisce un'aspirazione celeste mai appagata.
Paola Casella

Con la sua regia morbida e accogliente Bispuri ruba la luce alla Sardegna e vi avvolge le sue tre ragazze, trovando spazio per ogni loro manifestazione vitale. Figlia mia è un western dell'anima che ha per protagonista una canna al vento, di quelle che si piegano senza spezzarsi mai, un fuscello che sa scivolare in un buco e riemergerne con la consapevolezza nuova che il vuoto non esiste, quando diventa pieno di te. Vittoria impara a fare da sola e a mettersi alla guida del corteo, uscendo dalla cappa protettiva (e dal cono d'ombra) di Tina senza per questo rinunciare al suo abbraccio. E impara da Angelica a guardare quelle "cose che non ha mai visto", a toccare con mano la propria natura femminile.

Queste tre donne camminano l'una nei passi dell'altra, capiscono che devono essere amiche poiché cercano la stessa cosa: si chiama solidarietà femminile, e anche questo è un sapere da tramandare di madre in figlia. Perché i piccoli tornano nello stesso punto da cui vengono le madri, ma se tagli loro la strada (come fa il montaggio severo di Carlotta Cristiani, che è al contempo cesura e censura) faranno molta più fatica a ritrovarne le tracce.


RECENSIONE

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