Donbass

   
   
   

TUTTO FALSO TUTTO VERO

di Antonio Miredi


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martedì 19 aprile 2022

Cominciamo dal nome. Fino a due mesi fa, la maggior parte degli italiani non aveva una idea precisa del nome DONBAS, l'area geografica del bacino del fiume Donec al confine orientale tra l'Ucraina e la Federazione Russa. Da quando l'orrore della guerra in corso fra i due Paesi, è entrato nelle nostre case, occupando tutti i telegiornali, i salotti televisivi, e le pagine dei media, si è preso coscienza di un conflitto iniziato nel 2014, ben otto anni fa, nel silenzio e nell'indifferenza generale.
Questo per spiegare il perché il film Donbas di Sergei Loznitsa del 2018 sia apparso in alcune nostre sale solo ora, dopo quattro anni. A scanso di equivoci, il lavoro cinematografico di Loznitsa non è un reportage o un docufilm che possa aiutare a capire meglio le ragioni storiche, etniche, culturali e politiche di una guerra scoppiata in Europa. DONBAS è una fiction, con produzione occidentale che vede coinvolti Paesi, a cominciare dalla stessa Ucraina, come la Germania e la Francia. Uno sguardo dalla parte occidentale sui territori in cui militari separatisti filorussi con pieno appoggio della Russia di Putin, dal 2014 hanno proclamato Repubbliche indipendenti.
Essendo un film, il messaggio che DONBAS veicola per paradosso di metafora si presta ad essere tuttavia più efficace di uno stesso documentario realizzato tenendo presente solo una parte di realtà. La struttura circolare del film inizia e finisce con una roulotte che serve per il trucco di attori comparse pronte per essere usati dalla propaganda e comprende altri segmenti di episodi.
Episodi che toccano surreali follie criminali in cui non c'è spazio alla umana pietà, dentro una società dominata dalla violenza, dalla corruzione, dalla sopraffazione volgare. Non si parla ma si urla, non si comunica ma si finge. Fino a coprire la tragedia della realtà con uno sorta di grottesco cabaret, verso la fine quando si festeggia un matrimonio benedetto dalla neonata Nuova Russia! La metafora feroce del film è in questo superare i confini contingenti di una Regione, di uno Stato, per arrivare a denunciare la tremenda crisi di una intera umanità, che con le armi nucleari è votata alla autodistruzione, quando si accanisce a mascherare ogni potere, individuale e collettivo, con le forme funeste di un fanatismo nazionalistico e ideologico. Un pericolo che riguarda tutti, nessuno escluso. Ad uscirne a pezzi non è solo una area geopolitica ma la stessa idea di civiltà. Potente messaggio di un film pregevole, la cui eccessiva durata e l'insistita ripetizione di alcuni episodi alla fine nuocciono e non permettono una attenta consapevole partecipazione.

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