Colette

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Emancipazione femminile Valutazione 2 stelle su cinque

di vanessa zarastro


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venerdì 11 gennaio 2019

Vedere come viveva la borghesia francese alla fine dell’Ottocento e all’inizio del secolo scorso è piuttosto irritante. In questo film c’è una esplicita descrizione dell’ambiente parigino fin-de-siècle  con i suoi intrighi, scandali, rapporti promiscui e così via. Il film, che è la biografia della scrittrice omonima, trasmette l’immagine di un’autrice non particolarmente simpatica, piuttosto fortunata e capricciosa, con cui si fatica a empatizzare. Sidonie-Gabrielle Colette(Keira Knightley), dunque, è una ragazza di campagna nata a Saint-Sauveur-en-Puisaye e senza soldi, figlia di un Capitano degli zuavi ex combattente, che si sposa Henri Gauthier-Villars (Dominic West), detto Willy, un editore e a sua volta scrittore di medio talento, giocatore e donnaiolo, e vanno a vivere insieme a Parigi. Lei non ha un’immediata reazione positiva nei confronti dei salotti della capitale, ma poco a poco, a modo suo, saprà rigirare le situazioni a proprio favore.
Poiché sono coperti da debiti per essere Willy troppo spendaccione, Colette diventa la ghost-writer del marito, iniziando a scrivere anche lei romanzi, tutti firmati da Willy come peraltro quelli di un altro paio di uomini prezzolati. Inizierà così la serie fortunata di romanzi di Claudine suggeriti dal marito, a cominciare da Claudine va à l’école, basato sui ricordi dell’adolescenza di Colette. Sarà un successone per tutta la Francia, letto da tutti gli strati sociali. Inoltre, Willy ha il talento degli affari e saprà ben vendere l’immagine di Claudine adolescente, facendola rappresentare a teatro e trasformandola in un brand.
Il film mostra anche le violenze perpetrate su Colette dal marito; infatti, Willy, dopo averle comprato una dimora in campagna vicino a Becançon, la chiuderà a chiave per ore nello studio in modo che non abbia distrazioni e si concentri nella scrittura. Tra i due però esiste anche molta complicità e lui, pur geloso degli altri uomini che lei incontra, non ostacolerà invece i suoi rapporti omosessuali.
Una serie di scandali basati sulle vicende di adulteri e ménage-a-trois con la seducente Georgie Raul-Duval (Eleonor Tomlinson), moglie di un ricchissimo uomo d’affari statunitense, porteranno Willy e Colette a dover cambiare editore. Lei conoscerà Missy (Denise Gough), una stravagante marchesa che si veste da uomo e con la quale avrà un rapporto affettivo, che continuerà per tutta la vita. Con lei si darà alla recitazione e in teatro si esibirà anche a seno nudo. Missy la farà riflettere sul suo matrimonio e la incoraggerà a cercare una sua autonomia. Infatti, pur non diventando mai femminista, la figura di Colette è stata simbolo dell’emancipazione femminile per tutta la cultura francese.
Nel film “Colette”, varie vicende e rapporti sono mostrati prevalentemente in modo libertino o scandalistico, mentre è stata un  trascurata l’importanza della sperimentazione artistica. In quegli anni a Parigi era viva la carica eversiva dell’arte, basti citare le provocazioni del movimento Dadaista come ad esempio gli object trouvés di Marcel Duchamp. E forse è proprio questo il limite del film: non si sente un vero trasporto verso l’arte, non c’è pathos, non c’è sofferenza, mentre sembra tutto dovuto, quasi fosse la protagonista una ragazzina viziata e non una scrittrice di enorme talento e una donna coraggiosa in cerca di autonomia e di identità.
Nonostante il regista Wash Westmoreland si sia avvalso per la sceneggiatura della collaborazione di Richard Glatzer - suo marito e coautore per vent’anni, scomparso nel 2015 - non riesce a rendere l’importanza di questa donna, considerata dalla Francia una vera e propria risorsa nazionale. Eppure il regista aveva diretto magistralmente una splendida Julienne Moore in “Still Alice” dove si mostra la progressione spietata del morbo di Alzheimer in una donna scrittrice e docente universitario, facendole vincere anche l’Oscar nel 2015 come migliore attrice.

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