maopar
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giovedì 3 settembre 2020
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rivedere in tv per cambiare giudizio
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Caro Cappa41..oggi andrà in onda sulla RAI ..e allora ho dato un'occhiata al sito..anche per rileggere la mia recensione ..(entusiasta)...mi sorprende il tuo giudizio sul film..leggendo vedo che hai centrato tutti gli obiettivi che il film propone...quindi la comunicazione di questi è giunta...continuando a leggere quasi ci si confonde ..sembra che esalti le qualità.. ma poi giù a dare mazzate...credo che nel rivedere il film..rivedrai molte tue valutazioni.. darò uno sguardo domani nella speranza di avere ragione..con simpatia maopar
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achab50
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giovedì 3 settembre 2020
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dialogo fra un cameriere ed un avventore
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Location: tipica locanda italiana
Avventore: "Cameriere! Questa pizza Martone è immangiabile, ci sono troppi sbadigli"
Cameriere: "La pizza Martone deve essere tempestata di sbadigli, più ce ne sono e più è Martone"
Avventore: "Si può avere una Martone senza sbadigli?"
Cameriere: "No, perchè diventerebbe troppo digeribile e non piacerebbe ai recensori"
Avventore: "Allora mi porti una pizza Fellini, o Visconti, o al limite degli spaghetti alla Leone"
Cameriere: "Spiacente, sono ricette fuori mercato da anni, però avremmo un grande classico: la pizza Potëmkin ma molti ci trovano un retrogusto di fognatura"
Avventore: "Niente, mi prepari il conto che vado qui di fronte dove fanno le fottime omelettes dialoguées"
Cameriere, con fare circospetto: "una pizza Vanzina di contrabbando la gradirebbe?"
Avventore, impugnando una pistola: "Stia lontano almeno tre metri! Non faccia nessun gesto mentre esco rinculando"
Pubblico in sala: Applausi.
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Location: tipica locanda italiana
Avventore: "Cameriere! Questa pizza Martone è immangiabile, ci sono troppi sbadigli"
Cameriere: "La pizza Martone deve essere tempestata di sbadigli, più ce ne sono e più è Martone"
Avventore: "Si può avere una Martone senza sbadigli?"
Cameriere: "No, perchè diventerebbe troppo digeribile e non piacerebbe ai recensori"
Avventore: "Allora mi porti una pizza Fellini, o Visconti, o al limite degli spaghetti alla Leone"
Cameriere: "Spiacente, sono ricette fuori mercato da anni, però avremmo un grande classico: la pizza Potëmkin ma molti ci trovano un retrogusto di fognatura"
Avventore: "Niente, mi prepari il conto che vado qui di fronte dove fanno le fottime omelettes dialoguées"
Cameriere, con fare circospetto: "una pizza Vanzina di contrabbando la gradirebbe?"
Avventore, impugnando una pistola: "Stia lontano almeno tre metri! Non faccia nessun gesto mentre esco rinculando"
Pubblico in sala: Applausi.
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carloalberto
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giovedì 3 settembre 2020
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cartoline da capri e tanta noia
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Noioso. Gli scorci di Capri e dei faraglioni non bastano a riscattare un film decisamente tedioso, che non si vede l’ora che finisca. La bravura dei giovani attori, Marianna Fontana, Antonio Folletto, Eduardo Scarpetta, Gianluca Di Gennaro, non è sufficiente per reggere due ore di dialoghi imbarazzanti. I personaggi, che parlano come libri stampati, sono stereotipati e senza spessore psicologico, sono pure semplificazioni emblematiche della Scienza, dell’Arte, delle Tradizioni, caratterizzati in modo estremo e quasi fumettistico.
Sembra un compitino ben fatto da uno scolaretto che si vuole mettere in mostra dopo aver studiato bene la lezione, che diligentemente riporta le tesi positiviste e le teorie socialiste di inizi novecento mettendole a confronto con l’idealismo new age ante litteram di un maestro santone con le fattezze del Gesù di Zeffirelli, alto biondo e con gli occhi azzurri, e l’arcaismo contadino dei caprari tradizionalisti e bigotti, ignoranti rozzi e violenti.
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Noioso. Gli scorci di Capri e dei faraglioni non bastano a riscattare un film decisamente tedioso, che non si vede l’ora che finisca. La bravura dei giovani attori, Marianna Fontana, Antonio Folletto, Eduardo Scarpetta, Gianluca Di Gennaro, non è sufficiente per reggere due ore di dialoghi imbarazzanti. I personaggi, che parlano come libri stampati, sono stereotipati e senza spessore psicologico, sono pure semplificazioni emblematiche della Scienza, dell’Arte, delle Tradizioni, caratterizzati in modo estremo e quasi fumettistico.
Sembra un compitino ben fatto da uno scolaretto che si vuole mettere in mostra dopo aver studiato bene la lezione, che diligentemente riporta le tesi positiviste e le teorie socialiste di inizi novecento mettendole a confronto con l’idealismo new age ante litteram di un maestro santone con le fattezze del Gesù di Zeffirelli, alto biondo e con gli occhi azzurri, e l’arcaismo contadino dei caprari tradizionalisti e bigotti, ignoranti rozzi e violenti.
Morale della favoletta esopica, adatta ad un pubblico delle elementari o tutt’al più delle medie: l’Arte non salverà il mondo ed infatti la guerra incombente del 15-18 scoppierà nonostante le danze esoteriche e la ricerca sui colori e sui suoni e le sonate al pianoforte, ma avrà avuto un senso se soltanto sarà servita ad emancipare una sola donna, liberandola dalla cultura atavica misogina ed opprimente del suo paesello.
I paesaggi da cartolina sullo sfondo distraggono un poco lo spettatore e lo tengono desto fino alla fine, ma resta comunque una fatica.
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fulvio bettini
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martedì 19 maggio 2020
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un viaggio dentro l'universo
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Sicuramente Martone in stato di grazia. fotografia da premio. A Severino Cappa: o forse lei non ha capito. La sensibilità è come il gusto...non tutti ne sono dotati. Bellissimo film pieno di contenuti.
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fulvio bettini
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martedì 19 maggio 2020
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un viaggio dentro l'universo
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Sicuramente Martone in stato di grazia. fotografia da premio. A Severino Cappa: o forse lei non ha capito. La sensibilità è come il gusto...non tutti ne sono dotati. Bellissimo film pieno di contenuti.
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cinefoglio
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mercoledì 23 gennaio 2019
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istantanea di capri revolution
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Seduto in sala, ero preparato ad un film sulla falsa riga del Giovane Favoloso con le opportune differenze di ambientazione e coordinate storiche, ma la visione è stata più che sorprendente, grazie alla capacità di Mario Martone di rendere sfumati, e non netti, i confini tra i vari personaggi e le storie sviluppate, in un’alchimia organica tra Lucia, Seybu il maestro pittore, e la sua comunità "che ama l'India", la terra, la tradizione, i legami familiari ed il progresso.
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Seduto in sala, ero preparato ad un film sulla falsa riga del Giovane Favoloso con le opportune differenze di ambientazione e coordinate storiche, ma la visione è stata più che sorprendente, grazie alla capacità di Mario Martone di rendere sfumati, e non netti, i confini tra i vari personaggi e le storie sviluppate, in un’alchimia organica tra Lucia, Seybu il maestro pittore, e la sua comunità "che ama l'India", la terra, la tradizione, i legami familiari ed il progresso.
Una pellicola che si muove nella cornice della guerra, dove la lotta e la sintesi tra spiritualismo e materialismo si dimostrano manifestazioni vitali che descrivono quella Capri dei primi del novecento.
Un’isola dove cercare se stessi, sperimentando con l’ignoto ed il proibito, confrontandosi con la realtà cruda della montagna, fino a lasciarsi trasportare da una costante coreografia, una danza tanto fisica nei movimenti quanto contraddittoria nel pensiero.
Solo nei titoli di coda, cercando i nomi dei brani, ci si rende conto che la ricerca non porterà a niente, se non alla consapevolezza che nel cinema, come nella vita, l’improvvisazione, armonizzare con l'arte e con il corpo quell'unico motivo appena abbozzato, è l'unica cosa che importi davvero.
23/12/2018
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fabiofeli
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martedì 22 gennaio 2019
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non rinunciare alla metà del cielo
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Lucia (Marianna Fontana), una pastorella analfabeta, spinge le capre al pascolo sulle rupi scoscese di un’isola; è l’alba e i suoi occhi stupiti colgono la visione di un gruppo di uomini e donne nudi sulle scogliere sottostanti in trepidante attesa del primo sole. La giovane vive con la famiglia, padre madre e due fratelli, a Capri, immersa in un mondo patriarcale e chiuso alle soglie del primo conflitto mondiale. Il padre di Lucia è gravemente infermo per una malattia contratta sul lavoro a Bagnoli. Il gruppo naturista è guidato dal pittore Seybu (Reinhout Scholten Van Aschat) ed è composto da artisti provenienti da vari paesi Europei, alla ricerca di espressioni artistiche nuove, come la danza, in sintonia con la natura in grado di fornire bellezza ed energia non solo ai corpi umani.
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Lucia (Marianna Fontana), una pastorella analfabeta, spinge le capre al pascolo sulle rupi scoscese di un’isola; è l’alba e i suoi occhi stupiti colgono la visione di un gruppo di uomini e donne nudi sulle scogliere sottostanti in trepidante attesa del primo sole. La giovane vive con la famiglia, padre madre e due fratelli, a Capri, immersa in un mondo patriarcale e chiuso alle soglie del primo conflitto mondiale. Il padre di Lucia è gravemente infermo per una malattia contratta sul lavoro a Bagnoli. Il gruppo naturista è guidato dal pittore Seybu (Reinhout Scholten Van Aschat) ed è composto da artisti provenienti da vari paesi Europei, alla ricerca di espressioni artistiche nuove, come la danza, in sintonia con la natura in grado di fornire bellezza ed energia non solo ai corpi umani. Lucia comincia a frequentare il gruppo e viene isolata dai compaesani. Allo scoppio della guerra i due fratelli di Lucia partono per il fronte, mentre il padre si aggrava e muore nonostante le cure del medico condotto, Carlo (Antonio Folletto), un giovane socialista che crede nella forza della scienza ed ha una visione materialistica della realtà; questi discute animatamente con Seybu, che ama la natura cercando in essa lo spiritualismo, nuove ritualità e forme espressive …
Forse il nome Capri deriva dalla parole latina cinghiale o indica il luogo abitato da capre, o, ancora, c’è una diversa origine. Martone sceglie questa isola al centro del Mediterraneo per ambientare il terzo film della trilogia, iniziata con Noi credevamo e proseguita con Il Giovane Favoloso. La comune anticipatrice di quelle hippy, infatti, è realmente esistita a Capri dall’inizio del secolo fino al 1913 ed era diretta dal pittore Diefenbach. In questo terzo film l’Italia giovane ed ancora non riunita fin sotto le Alpi si affaccia all’Europa (non ancora pensata, e tuttora in abbozzo imperfetto e non compiuto) e al Nuovo Mondo. Tutte le contraddizioni attuali sono presenti “in nuce” nella storia, e può sembrare che dopo un secolo di passi in avanti si è tornati indietro: il Bel Paese spezzato tra Nord e Sud e il Continente che sta chiudendosi nei confini di piccoli stati che guardano il loro egoistico immediato tornaconto. La sceneggiatura di Martone e di Ippolita Di Majo prefigura una possibile riscossa del paese (e del continente) dell’Arte, della Filosofia, della Musica e della Scienza ripercorrendo strade già battute ed altre ancora da esplorare completamente: tutto sembra compromesso e invecchiato, ma non è finito ancora il ruolo guida del Pensiero Umano. Basta soltanto guardare indietro ai propri errori, alla distruzione e al depredamento perpetrato dagli europei nel mondo, per capire che ora si deve dare e ricevere, che ci si deve mescolare e meticciare. La prima lezione da ricavare è che finora si è rinunciato alla metà del cielo, alla parità tra donna e uomo, gradino difficile da scalare, ma ineluttabile. Anche la scelta vegetariana indica una attenzione diversa al mondo animale ed alla natura, le cui risorse vanno rispettate e preservate per il futuro. Forse Lucia brucia le tappe di progressi troppo rapidi ed il quadro è troppo ottimistico; ma il suo carattere ostinato, caparbio come quello degli animali di cui si occupa, la porta a ragionare con la sua testa partendo con il piede giusto, mettendo a frutto quanto ha imparato, senza uniformarsi al pensiero di nessuno. Da non mancare.
Valutazione ***e 1/2
FabioFeli
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gbavila
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domenica 13 gennaio 2019
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sogno o son desto
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La fatica di vivere coincide con la fatica di raccontare e di capire: come nei sogni più ossessivi, occorre andare dallo psicanalista per cercarne un senso. Me n'è derivata un'emicrania per inseguire i sottotitoli di una sceneggiatura frammentaria, banale, fumettistica e quasi inesistente, che rasenta i fumetti dei vecchi fotoromanzi e che ha il mero scopo di distrarre dalla bellissima scenografia. Trionfa l'easperazione finalizzata alla incomprensione reciproca, tutti contro tutti, (tranne quando nella piazza arriva la luce eletrica, la scena più bella). Il desiderio di stare altrove è fortissimo e la voglia di comprendere lascia il posto al "non vedo l'ora che finisca", e non si capisce perchè non finisca molto prima vista la fatica a cui ci sottopone per una esigenza registica abbastanza contorta.
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La fatica di vivere coincide con la fatica di raccontare e di capire: come nei sogni più ossessivi, occorre andare dallo psicanalista per cercarne un senso. Me n'è derivata un'emicrania per inseguire i sottotitoli di una sceneggiatura frammentaria, banale, fumettistica e quasi inesistente, che rasenta i fumetti dei vecchi fotoromanzi e che ha il mero scopo di distrarre dalla bellissima scenografia. Trionfa l'easperazione finalizzata alla incomprensione reciproca, tutti contro tutti, (tranne quando nella piazza arriva la luce eletrica, la scena più bella). Il desiderio di stare altrove è fortissimo e la voglia di comprendere lascia il posto al "non vedo l'ora che finisca", e non si capisce perchè non finisca molto prima vista la fatica a cui ci sottopone per una esigenza registica abbastanza contorta. La recitazione quasi assente, le figure statuarie, credo solo per l'incapacità recitative ma soprattutto per una regia tirannica e visionaria incompatibile con la partecipazione e condivisine degli interpreti e il risultato è che appaiono forzati, bloccati: paradossalmente si parla di libertà, un vero ossimoro.
Giulian Bavila
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federica
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sabato 12 gennaio 2019
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noioso e manieristico
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sono stata più volte sul punto di addormentarmi. La ricostruzione dell'ambiente hippy poco credibile e molto forzata. Le scene di danza troppo lunghe e poco significative, nel complesso superficiale.
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vanessa zarastro
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venerdì 11 gennaio 2019
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living theater o dadaismo?
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Con questo film il regista Mario Martone chiude la trilogia sulla costruzione d’Italia realizzata dall’Unità (“Noi credevamo” del 2010), vista attraverso la vita di Giacomo Leopardi (“Il giovane favoloso” del 2014), fino all’avvento del Novecento (“Capri Revolution”). Siamo nel 1914, alla vigilia della Grande Guerra, e a Capri la popolazione vive di agricoltura e pastorizia. Sull’isola deve ancora arrivare l’elettricità e giungono solo echi di ciò che sta avvenendo nel resto del mondo. Le donne lavorano la terra, si sposano e fanno figli, cucinano, servono a tavola e non parlano in pubblico.
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Con questo film il regista Mario Martone chiude la trilogia sulla costruzione d’Italia realizzata dall’Unità (“Noi credevamo” del 2010), vista attraverso la vita di Giacomo Leopardi (“Il giovane favoloso” del 2014), fino all’avvento del Novecento (“Capri Revolution”). Siamo nel 1914, alla vigilia della Grande Guerra, e a Capri la popolazione vive di agricoltura e pastorizia. Sull’isola deve ancora arrivare l’elettricità e giungono solo echi di ciò che sta avvenendo nel resto del mondo. Le donne lavorano la terra, si sposano e fanno figli, cucinano, servono a tavola e non parlano in pubblico.
In una casa minuscola e arroccata vive la capraia Lucia (Marianna Fontana) con i due fratelli (Gianluca Di Gennaro e Eduardo Scarpetta), con la madre (Donatella Finocchiaro) e un padre molto malato, poiché aveva lavorato in fabbrica a Bagnoli dove si era rovinato i polmoni. Il giovane medico condotto (Antonio Folletto), da poco sbarcato finalmente sull’isola, non può che constatare la gravità del male del padre di Lucia. Lì vicino vive una comunità cosmopolita, basata sulla condivisione e sulla liberazione sessuale, e i suoi membri vengono da vari paesi europei (Germania, Svezia, Svizzera, Regno Unito, Olanda), praticano il nudismo, suonano vari strumenti e danzano al mare, alla luna, alla Natura. Il gruppo è pacifista, crede nel contatto fisico spontaneo che crea calore e il passaggio di energia provoca varie cose, anche la levitazione. La comune è una sorta di setta naturista e vegetarianaante litteram, che si cura con l’omeopatia, e con la psicoterapia. Il guru del gruppo è Seybu (Reinout Scholten van Aschat), un artista, pittore e pianista, che protegge con amore i propri accoliti, anche da qualche membro provocatore che sarà prontamente allontanato, come nel caso di un fanatico pagan-nietzschiano. In effetti, agli inizi del Novecento il pittore tedesco Karl Wilhelm Diefenbach, tra il 1900 e il 1913, aveva realmente costituito a Capri una comunità immersa nella Natura, cui Martone fa esplicito riferimento. L’isola magica di montagna dolomitica nel Mediterraneo, all'inizio del Novecento aveva attratto vari gruppi utopistici con ideali di libertà, e oltre alla comune pacifista ha ospitato anche gli esuli russi che, invece, si preparavano alla rivoluzione.
Tre Weltanschauung sono quindi rappresentante in “Capri Revolution”: il conservatorismo di un’Italia contadina che considera le donne poco più che animali da riproduzione, una visione naturistica con matrice spiritualista indiana, e una visione materialista rivoluzionaria e atea – «confidiamo nella Madonna, dottò» dice la madre di Lucia, «confidiamo nella scienza» ribatte Carlo, il medico condotto.
La nostra ribelle eroina è affascinata dai membri di questa comunità, così diversa da ciò che lei conosce – «è vero che site nu diavolo?» chiede a Seybu - e si trova a spiarne i movimenti quando porta le capre a pascolare, ma anche di notte verso l’alba quando esce di nascosto di casa. Piano piano, Lucia sarà sempre più attratta da loro e, una volta morto il padre, va a stare con la comunità, non sopportando che i fratelli decidano della sua vita al suo posto.
Sarà così derisa dalla popolazione, sbeffeggiata dagli scugnizzi dell’isola e allontanata dai fratelli. Solo il giovane medico, forse un po’ invaghito di lei, continua a vederla e a preoccuparsi della sua salute, ma la sua filosofia razionale di vita entra in palese contrasto con quella trascendental-spirituale professata dalla comunità.
Scrive Roberto Manassero su cinematografo.it: «Si potrebbe perciò discutere sull’attualità del contro-pensiero proposto da Martone, sull’efficacia anche solo ideale del modello utopico indicato da Beuys e da altre esperienze artistiche degli anni ’60 (dal Living Theater alle esperienze di teatro laboratorio), oggi affascinanti da ripensare ma non si sa quanto adatte all’asimmetria sfuggente della contemporaneità».
Ottime musiche contemporaneo finto-primitive di Sascha Ring e Philipp Thimm (premiate all’ultima Mostra di Venezia), intense fotografie e splendida interpretazione di Marianna Fontana. I dialoghi sono di grande interesse, anche se si fatica un po’ a seguirli leggendo i sottotitoli. Magari al posto di Martone (co-sceneggiatore con Ippolita Di Majo) io avrei tagliato qualche scena della comunità e forse avrei fatto vedere un po’ più la vita della popolazione isolana. Un’unica domanda: come fa una capraia ventenne analfabeta, che non sa neanche cosa sia un’infermiera, a parlare in inglese piuttosto bene dopo così poco tempo, quando non conosce neanche l’italiano?
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