Titolo originale | Ang Panahon Ng Halimaw |
Titolo internazionale | Season of the Devil |
Anno | 2018 |
Genere | Musical |
Produzione | Filippine |
Durata | 234 minuti |
Regia di | Lav Diaz |
Attori | Piolo Pascual, Shaina Magdayao, Angel Aquino, Pinky Amador, Lilit Reyes Hazel Orencio, Bradley Liew, Joel Saracho, Bituin Escalante, Bart Guingona, Don Melvin Boongaling, Noel Sto. Domingo, Ian Lomongo, Junji Delfino, Jonathan O. Francisco, Dub Lau. |
Rating | Consigli per la visione di bambini e ragazzi: |
MYmonetro | 2,92 su 1 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. |
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Ultimo aggiornamento martedì 20 febbraio 2018
Un piccolo paese delle Filippine è sotto attacco di un gruppo di miliziani. Riusciranno a difendersi?
CONSIGLIATO SÌ
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Alla fine degli anni '70, una milizia opprime un remoto villaggio nella giungla delle ''Filippine. Gli uomini in uniforme sono armati di mitragliatrici e terrorizzano i residenti, sia fisicamente che psicologicamente. Hanno creato un'atmosfera in cui i vicini sono diventati nemici e stanno cercando di sradicare la loro fede nelle leggende e negli spiriti. In quel clima, la giovane e coraggiosa Lorena apre una clinica per i più poveri, ma scompare poco dopo. Suo marito, il poeta, attivista e insegnante Hugo Haniway, raggiunge il villaggio per scoprire la verità sulla sorte di sua moglie.
Lav Diaz dedica questo suo film alle vittime della dittatura di Ferdinand Marcos e, in particolare, al periodo in cui fu in vigore la legge marziale (1972-1981) che permise a bande armate di spadroneggiare su tutto il territorio nel nome di una pretesa "Nuova Società".
Lav Diaz vuole di fatto anche lanciare un messaggio su una situazione locale e mondiale che sembra proiettata sempre più verso regressioni autoritarie. Impegnato da sempre in difesa degli ultimi e legato alle radici culturali del suo popolo che i vari Poteri nel corso dei secoli hanno cercato di sradicare, Diaz sperimenta questa volta una nuova forma espressiva. Realizza quindi un film che definisce rock opera in cui sono presenti 33 canzoni da lui scritte che lasciano uno spazio minimale al parlato.
L'esperimento si può dire riuscito solo in parte. Resta infatti intatta la straordinaria capacità di questo regista nello scegliere con estrema efficacia il punto in cui porre la macchina da presa offrendo allo spettatore inquadrature in cui ogni volta lo sguardo può spaziare trovando in progress nuovi elementi di interesse. Altrettanto intatta è la capacità di adattare il fluire del tempo (i suoi film non sono mai 'brevi') alla storia da narrare inserendo lo spettatore in un mood che ne modifica la percezione.
Quello che in questa occasione funziona meno è però proprio la scelta del canto. Diaz si avvale dei migliori cantanti filippini ma offre loro spesso canzoni in cui si confonde la reiterazione con la ripetizione. Reiterare dei versi può, se fatto con la giusta proporzione, trasformarli in ritualità. È ciò che avrebbe potuto accadere anche in questa sacra rappresentazione laica. Il problema è invece che Diaz in più occasioni fa semplicemente 'ripetere' le parole fino all'estenuazione vanificandone così l'efficacia.
Le priva inoltre della musica e anche questo avrebbe potuto rappresentare un valore aggiunto mentre invece a tratti (vedi il ripetututo "La La La") sfiora il ridicolo. In definitiva si ha l'impressione di assistere a un'opera di Brecht in cui si canti in assenza di Kurt Weill. Manca qualcosa.