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Sebastian Lelio: «perché una trans? La diversità salverà l'umanità»

Il regista racconta Una donna fantastica, film candidato dal Cile all'Oscar 2018. Dal 19 ottobre al cinema.
di Paola Casella

Una donna fantastica

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Sebastián Lelio (Sebastián Lelio Watt) (50 anni) 8 marzo 1974, Mendoza (Argentina) - Pesci. Regista del film Una donna fantastica.
giovedì 21 settembre 2017 - Incontri

All'ultimo Festival di Toronto il suo Disobedience, film drammatico ambientato nella comunità ebreo-ortodossa londinese che affronta il tema dell'omosessualità femminile e vede protagoniste Rachel Weisz e Rachel McAdams, ha riscosso grandi consensi di critica e di pubblico. Ora arriva sui grandi schermi italiani Una donna fantastica, storia di una trans che, nella Santiago dei giorni nostri, affronta l'ostilità nei suoi confronti da parte della famiglia del suo compagno.

Il film, coprodotto dal regista cileno Pablo Larrain e dalla regista tedesca Maren Ade, ha vinto l'Orso d'argento per la sceneggiatura all'ultimo Festival di Berlino e è il candidato del Cile all'Oscar come Miglior Film Straniero.
Paola Casella

Ne parliamo con il suo autore, Sebastian Lelio, che ha al suo attivo anche il successo di Gloria, la cui protagonista Paulina Garcia aveva vinto l'Orso per la migliore interpretazione femminile nel 2013.


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In foto una scena del film Una donna fantastica.
In foto una scena del film Una donna fantastica.
In foto una scena del film Una donna fantastica.
L'INTERVISTA

Perché racconta spesso la diversità?
Ci troviamo ad un bivio storico: da una parte c'è chi vuole alzare muri, chiudere frontiere, tenere separate le razze e le classi sociali, emarginando chiunque sia in qualche modo diverso. Dall'altra una controcultura altrettanto potente cerca invece di accogliere la complessità della vita e di imparare a vivere insieme. È in gioco la sopravvivenza della specie umana, anche se non credo che l'universo sentirà la nostra mancanza, qualora dovessimo soccombere.

Al centro delle sue storie ci sono bellissime figure femminili. Quale aspetto della femminilità le sembra più rilevante?
L'approccio tenero e amorevole verso la realtà, la fiducia nella natura, la comprensione che esistono abbastanza risorse per tutti e non è necessario lottare come cani rabbiosi per accaparrarsene il più possibile.

Come ha incontrato Daniela Vega, la giovane trans protagonista di Una donna fantastica?
Quando ho cominciato a scrivere la sceneggiatura mi sono accorto che, vivendo a Berlino e non conoscendo nessuna trans, la mia testa era piena di cliché su come avrebbe potuto essere una trans di Santiago del Cile, la città dove sono cresciuto. Dunque mi sono messo a cercare una consulente culturale e mi sono imbattuto in Daniela, che è principalmente una cantante d'opera. Per un anno via Skype Daniela ha condiviso generosamente con me informazioni su come vive e cosa pensa una trans cilena, e tutto quello che mi ha raccontato è finito in sceneggiatura. Quando è stato il momento di scegliere l'attrice per interpretare Marina, la protagonista del mio film, non ho potuto che pensare a Daniela.

E Daniela come ha preso il cambio di ruolo da consulente ad attrice?
Mi ha confessato che ci sperava così tanto che quando gliel'ho chiesto è andata a celebrare tutta la notte in un locale. Al ritorno mi ha chiamato e ha detto solo: "Accetto".

Sembra che il cinema cileno stia vivendo una stagione dorata: non solo lei ma anche Pablo Larrain è un beniamino dei festival internazionali.
In realtà siamo su piazza da anni: abbiamo cominciato insieme, i nostri film d'esordio, Fuga per Pablo, La sagrada familia per me, sono entrambi del 2006. Siamo stati la prima generazione a frequentare le scuole di cinema che erano state praticamente distrutte dal governo militare e a ricominciare a fare film dopo la dittatura. Eravamo molto naif, non sapevamo nemmeno che esistessero i festival di cinema, ma a poco a poco abbiamo scoperto una rete di persone e luoghi dove mostrare i nostri lavori, che ora sembrano apparizioni magiche, ma sono in realtà il frutto di anni di lavoro e di crescita.

Vi considerate una comunità artistica?
Sì, abbiamo cominciato con poco e ci siamo sempre dati una mano, dunque anche adesso c'è molta cameraderie. Abbiamo in comune la fame di cinema e l'esserci sentiti orfani, invidiando le cinematografie, come quella italiana, ricche di tradizione e di grandi maestri. D'altro canto il non avere un grande passato cinematografico ci fa sentire liberi, e la nostra irriverenza può essere diretta solo verso noi stessi.

Ha radici italiane, come suggerisce il suo cognome?
Sì, vanno indietro di tre generazioni: da parte di padre la mia famiglia viene da Chieti, io sono nato in Argentina dove gli immigrati italiani sono numerosissimi e poi mi sono trasferito in Cile con i miei. Mi sento collegato alla vostra tradizionale capacità di mostrare i sentimenti, cosa che oggi viene considerata fuori moda.

Che effetto le fa rappresentare il Cile agli Oscar?
Sono già abbastanza sorpreso per l'accoglienza positiva del mio film, per il fatto che il pubblico lo capisca così bene e che i distributori internazionali l'abbiano comperato. Ma se ce ne sarà motivo, salirò sui tavoli a ballare.


UNA DONNA FANTASTICA: LA RECENSIONE

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