Okja

   
   
   

Una fiaba dei giorni nostri

di Daniele Fanin


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sabato 30 maggio 2020

Due anni prima di sorprendere Hollywood con Parasite, il primo film non in inglese a vincere l’Oscar come miglior film, il regista sudcoreano Bong Joon Ho aveva presentato in concorso a Cannes 2017 Okja, il suo secondo film americano dopo il buon esordio del 2013 con Snowpiercer e una serie di ottimi lavori in madrepatria.

Inizialmente fischiato a Cannes in quanto prodotto da Netflix e quindi senza circolazione nei cinema, la delicata ed al tempo stesso aggressiva favola moderna di Okja e’ riuscita a ritagliarsi un proprio spazio nell’attuale panorama cinematografico per la capacita’, non sempre scontata ai giorni nostri, di sapere raccontare come si deve una favola moderna che ha toccato il cuore di varie fasce di pubblico.

Mescolando momenti elegiaci, soprattutto nella prima e migliore parte ambientata in Corea ed incentrata sul delicato rapporto, quansi una simbiosi, fra la “bestia” Okja, il supermaiale geneticamente modificato dal capitalismo piu’ bieco, e la “bella” bambina, piccola ma dal cuore grande e coraggioso, ad altri di pura azione, come il bellissimo inseguimento fra camion a Seoul, che riporta alla mente i film di 007 e Mission Impossible, Okja riesce a raggiungere un buon equilibrio narrativo, gettando il cuore favolistico oltre l’ostacolo rappresentato talvolta da un eccesso di fili narrativi, non sempre adeguatamente sviluppati ancorche’ promettenti, in particolare i caratteri dell’Animal Liberation Front, e alcuni passaggi sopra le righe sia di Tilda Swinton che, soprattutto, di un solitamente molto piu’ misurato Jake Gyllenhaal, che in alcuni momenti sembrano scarti di produzione di un film di Wes Anderson.

Film forse non eccezionale ma sicuramente interessante e mai banale, neppure quando adotta stilemi pericolosamente scontati come la contrapposiozne fra animalisti e capitalismo, Okja merita di essere visto per l’abilita’ narrativa, la semplice originalita’ della storia e il dono del regista, poi clamorosamente confermato con Parasite, di sapere padroneggiare contemporamente vari registri cole la favola, la commedia, il dramma, la critica sociale, senza che il passagio dall’uno all’altro, anche quando non sempre lineare, appaia mai forzato o imposto. Ad alcune chicche per cinefili sparpagliate lungo il film quasi a voler giocare con lo spettatore, Bong Joon Ho aggiunge un interessante finale agrodolce, dove volutamente non c’e’ un vero, chiaro vincitore e rimane aperta la domanda su chi abbia davvero vinto la battaglia ma, soprattutto, su vincera’ anche la guerra!

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