Madre!

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Mother! è un “metafilm” Valutazione 4 stelle su cinque

di Alessandro Spata


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domenica 30 ottobre 2022

Se è vero come dice Martin Scorsese che “I film di qualità…Sono fatti solo perché la persona dietro la macchina da presa doveva farli» è vero anche che - certi film gli spettatori devono vederli, affinché  il film si compia, perché si perfezioni -. È un po’ come dire che - la visione da parte dello spettatore è l’ultima fase di produzione del film -. L’opera cinematografica non è ultimata senza il contributo dello spettatore che lo integra, lo arricchisce della sua immaginazione, delle sue aspettative, dei suoi umori, delle sue conoscenze. Sono di quei film la cui costruzione rimane sempre “aperta” a nuove interpretazioni e traduzioni. Sono i “film socializzati”, per così dire, che si avvalgono della “regia” dell’autore e poi dell’«allestimento» di tutti coloro che avranno la fortuna o la forza o sentiranno semplicemente l’urgenza di presenziare allo spettacolo proposto.
Da puro “appassionato consumatore di cinema” penso anche che tutti quelli tra noi che sono “esperti” di qualcosa, finisconofatalmente per essere esposti alla “cecità”, - la cecità del paradigma nell’ambito di conoscenza in cui sono più ferrati -. Proprio la conoscenza che gli esperti posseggono in un’area determinata esercita un fascino tale che impedisce talune volte di vedere “altro”, cioè di cogliere qualche elemento diverso da ciò che il paradigma prescrive. Quell’«altro» che soltanto le persone che sono al di fuori del paradigma in questione riescono a scorgere con più chiarezza, qualche volta. Queste persone a e con vario titolo riescono a percepire con più semplicità “le zone neglette” quelle che possono invece sfuggire all’esperto di un dato settore.
Insomma, l’esperto, qualunque sia la sua materia di interesse, finisce a volte per essere centrato troppo sul “campo” di sua competenza e poco attento o poco interessato ai “fuori campo”. I “fuori campo” che invece abbondano in “Mother!” e che costituiscono la parte maggiore e più importante, forse, del film.
Però, mi auguro sia chiaro a questo punto che non sto facendo una sperticata apologia dell’ignoranza tout court, né sto perorando la fine della “critica cinematografica” che invece tante volte è capace di stimolare a sua volta alla riflessione.
Spero di non esagerare quando dico che il “fuori campo” ha molto a che vedere con l’intuizione. 
Tutto questo pistolotto per dire che “Mother!” a me è piaciuto moltissimo. E non ho mai capito sinceramente tutto questo livore con cui il film fu accolto alla sua uscita da critici e frange di pubblico assortite.
E per una parziale disamina del film citerò i concetti di “in campo” e “fuori campo” e più nello specifico della “dialettica tra In campo” e “Fuori campo”,presente in Mother!
Con l’avvertenza però che la “correlazione tra in campo e fuori campo” qui si esprime su un livello psicologico-semantico più che su quello prettamente tecnico.
Un suggerimento che aprirebbe la strada ad una maggiore comprensione, spero, degli scenari qui proposti sarebbe quello di analizzare il “Campo In” e il “Fuori campo” idealmente come proiezioni della nostra immaginazione. I termini sarebbero da considerarsi soltanto come espressioni figurate che vanno comunque interpretate e la cui differenza consiste nel maggior grado di consapevolezza con cui “assistiamo” al primo rispetto al secondo.
Tra le sequenze del film che ho selezionato o che “si sono imposte” maggiormente alla mia attenzione c’è quella in cui il “poeta” estrae l’«ultima goccia d’amore» dalla sua musa morente.
 La musa prosciugata, letteralmente inaridita dall’estrazione del proprio cuore da parte dell’artista “ingordo” il cui unico scopo nella vita è “creare”. E in questo “atto obbligato della creazione” non si può andare tanto per il sottile: il “sacrificio” altrui è incluso nell’operazione. A pensarci bene la “musa dell’artista” siamo davvero tutti noi gente più o meno comune con i nostri dolori e le nostre gioie. E l’artista diventa una sorta di “parassita-predatore” (in)volontario, in un certo senso. Uno strano tipo di parassita quello che vive e si nutre delle nostre vite belle o brutte che siano. Il suo scopo però non è annientare il suo ospite.  Egli si limita a strabiliarlo. L’artista si compiace della nostra sorpresa. È pago soltanto quando riesce a sbalordirci. L’artista fa professione di “straniamento”. Egli è un mago che si rivolge a tutti coloro che hanno ancora la forza e la voglia di stupirsi.
Il “campo in” è una sorta di virgolettato che evoca in noi la riflessione rimandando continuamente a qualcos’altro situato nel “fuori campo”: quel luogo in cui cominciamo a rivolgerci domande su tutte le cose che abbiamo l’impressione che in qualche modo siano state “omesse” o “cancellate” nel “campo in”. In definitiva, com’è noto, nel fuori campo (ac)cadono un sacco di cose che non appaiono nell’immediato del nostro campo visivo quello pertinente all’inquadratura, ma, presumo qui, sono maggiormente presenti nell'«immaginario spazio limitrofo della mente dello spettatore», per così dire, in qualità di «osservatore esterno».
Ciò non vuol dire che manchi davvero qualcosa nel “campo in” o che il regista lo abbia eliminato o trascurato intenzionalmente. È verosimilmente l’oggetto o la strutturazione dei vari elementi “in campo” che evoca che “ispira” dei vuoti, delle lacune che qualcuno (lo spettatore) è chiamato a riempire.
Voglio dire che nell’inquadratura del film di pregio è contenuto un “linguaggio ipnotico” in quanto si serve pur sempre di simboli (parole e immagini) che non hanno un significato in sé necessariamente.  Il significato scaturisce meglio da un processo interiore. Il “campo in” sapientemente strutturato ci invita sempre ad andare “oltre”, e più precisamente al nostro interno: accediamo così alle nostre memorie (non ultimo il nostro personale bagaglio di conoscenze cinematografiche) e ad usarle per dare un senso alla “realtà” che stiamo guardando.
I cattivi film sono semmai quelli le cui argomentazioni subiamo senza nemmeno rendercene conto.
E a proposito di “cancellazioni” è  interessante per me notare come quest’opera di “omissione” su cui poggia l’intera opera di Mother! comincia proprio dalla “cancellazione” dei nomi (non specificati, quindi) dei protagonisti.
L’escamotage non nuovo dei “personaggi senza nome” può essere un primo livello basilare di descrizione di una situazione perché denotativamente neutro: man, him, mother, woman, younger brother appartengono ad una categoria non hanno nome di persona, ma con la loro anonimia non contribuiscono di certo a una più chiara rappresentazione mentale di quanto sta avvenendo in campo o del perché sta avvenendo.L'espressione superficiale del “nome privo di specificazione” serve a presentarci una versione ridotta della completa esperienza del personaggio che si muove “in campo”.
Dunque, i personaggi principali sono degli “universali” cioè designano categorie generali (woman, him, mother, man) essendo privi di nomi specifici operano nel mondo in una condizione quasi di necessità imposta dalla categoria stessa, in quanto tale, cui appartengono: Him (il poeta) è obbligato a creare; mother è in quanto tale obbligata a “ispirare”; woman qui sembra rientrare nella categoria generale della “donna subdola e perfida” il cliché della strega cattiva delle favole.
In effetti, i personaggi sembrano muoversi in un contesto in cui vige l’impossibilità della scelta.
E non è un caso poi che coloro che vivono in uno stato di necessità, come i personaggi principali, sperimentino pressione, confusione, paura, ansia, sentimenti di esclusione o di persecuzione.
 Più difficile è comprendere l’identità di “Man” in quanto le sue parti osservabili sono estremamente ambigue. Lo spettro semantico delle sue azioni e parole ha confini molto labili. Qui siamo obbligati oltremisura a fantasticare sulle sue azioni e intenzioni.
L’intruso “Man” sembra soltanto voler rappresentare una sorta di “vettore” che anticipa l’entrata in scena di altri personaggi non ancora mostrati di cui non si presume nemmeno l’esistenza. In effetti lo scopo del personaggio appare fin dall’inizio piuttosto improbabile perché uno scopo verosimilmente nemmeno ce l’ha in realtà nell’economia della storia. “Man” come gli altri personaggi è una pedina che introduce un’altra pedina che un “demiurgo sapiente” muove secondo le proprie intenzioni e scopi. Si procede per sovrapposizione continua. Una volta che si è aggiunta la parte successiva questa può procedere in autonomia senza che l’elemento precedente abbia più alcuna funzione.
Questo particolare contribuisce a far sì che le parti della storia appaiano sconnesse. C’è un apparente discontinuità di fondo nell’istanza narrante.Oppure se scartiamo l’ipotesi che il regista si stia facendo beffe di noi dobbiamo pensare che “l’azione” (il personaggio ha messo in atto una precisa sequenza di azioni funzionali cioè che lo hanno portato con successo in casa di Him e Mother) e il suo scopo (perché si è recato in quella casa?) coincidano. Voglio dire che se per paradosso chiedessimo a Man di rispondere alla domanda “Perché sei qui?”, probabilmente non potrebbe che ricorrere ad una tautologia come fanno i bambini, cioè risponderebbe alla domanda con un’affermazione concernente l'azione: - Perché sei qui? Perché sì. Sono qui per esserci -. Non ci sono alternative. Il destino si deve compiere, alla fine. Il personaggio riconosce lo scopo nell'azione stessa cioè nell'atto della sua realizzazione, e niente più.
Ma nel momento in cui mi identifico come semplice membro di una categoria generica invece che come persona specifica, in qualche modo contemporaneamente sto cancellando, sto negando me stesso quando mi dichiaro all’altro.
 È un po’ come se uno facesse un’affermazione di realtà (la propria realtà) ma senza che sia visibile l’autore della dichiarazione. Come lanciare il sasso e nascondere la mano. Anche in questo caso abbiamo la confluenza di “in campo” e “fuori campo”: L’autore dell’affermazione diventa un “referente fantasma”, cioè “non esiste realmente”, ma vive (pericolosamente) nelle nostre personali congetture e ipotesi. È qui, potremmo dire, che il film vira verso il genere Horror vero e proprio. Il referente fantasma è “in-sensibile” non può essere colto dai nostri sensi (è inavvertibile) e di fatto finisce per essere oltremodo “insensibile” cioè indifferente freddo, fino al punto da poter essere anche potenzialmente spietato. In definitiva, Man in quanto personaggio anonimo (“non specificato”) ci aspettiamo continuamente che possa compiere il peggio cioè che costui o costei possano commettere nefandezze inaudite in qualche modo e senza un vero “perché” nascosti dietro il loro anonimato. Penso ad un altro celebre anonimo “It” (Esso) il pagliaccio sanguinario di “Wallace” tratto dal romanzo di King (anche qui un personaggio (non)identificato da una categoria generica che lo rende anonimo senza identità e quindi potenzialmente pericoloso come si dimostrerà nel corso della trama). La loro “genericità” li rende disturbanti e potenzialmente spietati, ma al contempo risultano anche affascinanti, ammalianti, irresistibili.
Come “irresistibili” sono Man, Woman e i loro figli che si impadroniscono della “casa” trasformandola a tratti in un campo di battaglia familiare e senza che i proprietari possano o vogliano opporre resistenza.
I personaggi senza nome non si presentano neanche ovviamente non avendo un indice nominale specifico, un nome di persona. Nei personaggi “irresponsabili”, in qualche modo obbligati a compiere un percorso già scritto, il regista in-scrive forse la sua idea di tragica fatalità esprimendo verosimilmente le sue ossessioni metafisiche o forse la sua concezione finalistica,  provvidenzialistica della natura? Non è un caso forse che i personaggi per questa loro apparente impersonalità e oscurità sembrino anche loro ingiunti dal cielo, quasi. Sembrano messi lì da qualcuno, calati dall’alto: non hanno nome, non si sa la loro provenienza, sembrano spuntati per caso, sempre all’improvviso. Un’epifania ininterrotta di fantasmi o di mostri davvero inopportuni. O forse sono divinità che si divertono ad ingannarci tanto da mettere a dura prova anche la nostra consapevolezza intuitiva più basilare? Eppure più assurda ci appare la situazione, più sorge il sospetto che qualcosa di tremendo stia per accadere e più ci sforziamo di trattarla come una situazione ovvia; più tentiamo di farla rientrare in un generico buon senso meno siamo portati a metterla in discussione, forse per difenderci dall’orrore che ci provoca. Ed è per questo che dobbiamo aspettare un bello scorcio di film prima che Mother trovi il coraggio e la rabbia sufficienti per ribellarsi (ma a che serve se tutto è già scritto?).
E poi questa casa che sembra separata dal mondo, priva in apparenza di qualsiasi via di comunicazione che permetta di raggiungerla o di allontanarsi da questa.
Sembra davvero essere calata dal cielo riposta dolcemente da una mano gigante. A simbolizzare forse la complessità del film stesso. Allora, se vogliamo intraprendere il cammino della comprensione del film dobbiamo tralasciare del tutto le strade, i percorsi battuti fino ad oggi. Dobbiamo inventarcele le vie di accesso perché i collegamenti tra una strada e l'altra verosimilmente potrebbero non esistere.
In sostanza, in questo film sembra che si determini la prevalenza del “fuori campo invisibile” su quella dell’«in-campo visibile». E non sarà forse proprio l’intenzione del regista quella di voler evocare un fuori campo “simbolico” omnicomprensivo nella mente dello spettatore alimentando il circolo perverso dell’attesa infinita di qualcuno, di qualcosa? E non è un caso forse che parte delle critiche vertano proprio su grandi aspettative sempre destinate ad essere disperatamente disattese.
Dunque, alla fine cosa rimane? La confusione o la fuga dalla forma o dalla banale compiutezza? Il pasticcio di generi o semmai il bisogno di non chiudersi all’interno dei confini dei generi?
Diciamo che il regista è anche sceneggiatore ed è un passionale. E come si fa a governare la passione? Allora, l’unica maniera di arrivare a Mother! è quella di “appassionarci” a nostra volta, di partecipare allo slancio affettivo del suo autore. E senza pretendere di portare ordine nelle sue urgenze emotive, sentimentali, metafisiche, persino fisiche personali.Chissà!

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