francesca meneghetti
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lunedì 11 settembre 2017
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tutto è in ordine, niente è a posto
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Se si guarda al messaggio principale del film, l'impressione è che il regista, documentarista, Andrea Segre, esperto di tamatiche migrazioniste, sia stato equilibrato e problematico nell'affrontare un tema attualissimo ed estremamente complesso. Il governo italiano (del film) richiede risultati tangibili (riduzione degli sbarchi in Italia) a un super poliziotto incaricato di trattare con la Libia, che non è rappresentata da un unico soggetto, ma da una pluralità di capi tribali locali in conflitto tra loro. Difficilissimo muoversi in questo contesto. Difficile ottenere simultaneamente l'obiettivo di ridurre gli sbarchi e di riispettare i diritti umani degli africani intenzionati a raggiungere l'Europa (il nord più che l'Italia).
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Se si guarda al messaggio principale del film, l'impressione è che il regista, documentarista, Andrea Segre, esperto di tamatiche migrazioniste, sia stato equilibrato e problematico nell'affrontare un tema attualissimo ed estremamente complesso. Il governo italiano (del film) richiede risultati tangibili (riduzione degli sbarchi in Italia) a un super poliziotto incaricato di trattare con la Libia, che non è rappresentata da un unico soggetto, ma da una pluralità di capi tribali locali in conflitto tra loro. Difficilissimo muoversi in questo contesto. Difficile ottenere simultaneamente l'obiettivo di ridurre gli sbarchi e di riispettare i diritti umani degli africani intenzionati a raggiungere l'Europa (il nord più che l'Italia). il super poliziotto Corrado si muove abilmente e razionalmente, ma inciampa in un sassolino che inceppa il meccanismo della sua razionalità: una ragazza somala detenuta in un campo di concentramento gli passa una microcard, con preghiera di recapitarla a un suo zio che vive a Roma. Corrado è incuriosito: si trova a spiare la vita di questa ragazza, a entrare nei suoi progetti di vita, fino a desiderare di aiutarla.
Da un lato un sentimento di pietas, dall'altro lato un fortiissimo bisogno di ordine e di tranquillità, e di silenzio (la colonna sonora è singolarmente muta, tranne alcune sequenze dove si sente la Tosca e poi altra musica operistica italiana). Corrado piega con ordine maniacale i suoi vestiti prima di riporli in valigia, colleziona vari tipi di sabbia, riponendoli in vasetti tutti uguali, tira di scherma, vive in una famiglia tipica con due figli adolescenti e una moglie medico in una casa bellissima, isolata dal caos della città, ordinatissima, fredda e isolata. Così come Corrado è circondato dalla solitudine.
Nel 1970 uscì un film della Cavani ispirato all'Antigone, in cui di raccontava di un potere totalitario che vietava di seppellire i morti: lì le ragioni della pietas prevalevano sull'obbedienza alle leggi (e sul bisogno di tutelare se stessi). Nel 2017 uno scenario del genere si rivela missione impossibile.
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angeloumana
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martedì 19 settembre 2017
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missione compiuta
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Che nessuno ci disturbi nelle nostre serene faccende, che venga rispettatoL'Ordine delle Cose,
noi del mondo “sviluppato” impegnati a tagliar l'erba del nostro prato, a tenere in ordine ed eleganti le nostre abitazioni, allineare i bidoncini dell'umido se c'è il porta a porta, gioire del tempo libero coi nostri giochi e i nostri sport: è L'aria serena dell'ovest... che nei fatti è solo il titolo di un ottimo film di Silvio Soldini del 1990. Il contrasto ci viene “sparato” in faccia quando il super-poliziotto Rinaldi (Paolo Pierobon) và in visita in Libia per conto del ministro dell'Interno, nei lager dove maschi femmine e bambini sono ammassati, carne umana lontanissima dai nostri agi.
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Che nessuno ci disturbi nelle nostre serene faccende, che venga rispettatoL'Ordine delle Cose,
noi del mondo “sviluppato” impegnati a tagliar l'erba del nostro prato, a tenere in ordine ed eleganti le nostre abitazioni, allineare i bidoncini dell'umido se c'è il porta a porta, gioire del tempo libero coi nostri giochi e i nostri sport: è L'aria serena dell'ovest... che nei fatti è solo il titolo di un ottimo film di Silvio Soldini del 1990. Il contrasto ci viene “sparato” in faccia quando il super-poliziotto Rinaldi (Paolo Pierobon) và in visita in Libia per conto del ministro dell'Interno, nei lager dove maschi femmine e bambini sono ammassati, carne umana lontanissima dai nostri agi. Deve prendere accordi con la guardia costiera libica e con i capi dei centri di detenzione (altro non sono) dove sostano gli immigrati che vogliono imbarcarsi verso l'Italia, che si attivino per ogni imbarcazione che le autorità italiane segnaleranno. Nelle speranze del superpoliziotto e dei suoi superiori, il sottosegretario Roberto Citran e il ministro, quei centri dovrebbero divenire luoghi dove chiedere asilo, dove i diritti umani vengono rispettati (gestiti dalle Ong, auspica il nostro vero ministro dell'Interno). Tutto in cambio di soldi, lo Stato italiano ne darà tanti ai libici.
Pie illusioni: i capi dei centri e i trafficanti di soldi ne prendono già tanti, i primi lasciano uscire i clandestini dal centro in cambio di denaro, i trafficanti compiono da tempo i loro floridi trasporti. Ma il nostro poliziotto protagonista è bravo a trattare, riuscirà nell'intento di ridurre gli sbarchi sulle nostre coste, con la soddisfazione del ministro che esigeva qualcosa di notiziabile, perché la gente non ce la fa più, non possiamo più aspettare. Ecco, bisogna che ci sia la notizia, si calmano gli animi di chi si vede rubato il proprio lavoro e la propria tranquillità, “invaso” dagli stranieri, le notizie dei media sono trionfali e l'allarme si affievolisce.
E' proprio ciò che accade oggi, il ministro Minniti ci ha messo l'anima perché gli sbarchi si riducessero, e sta avendo ragione. Forse è più volenteroso dei suoi predecessori o del ministro nel film, che è sceso in Libia fermandocisi per 72 minuti, 25 dei quali passati al telefono e 10 al cesso. Così dice la testa di ponte in Libia, Giuseppe Battiston, scettico sui risultati ottenibili dal poliziotto Rinaldi. Minniti potrebbe avere avuta suggerita la soluzione dal film di Andrea Segre: questi si è dedicato molti mesi alla conoscenza della vita nei lager (per un film girato in Sicilia) e già da molto tempo, come del resto ha sempre fatto per i suoi film, quasi documentari sulla vita degli stranieri diventati nostri ospiti o di quelli che “devono essere aiutati a casa loro”. Uno dei meriti di Segre è il documentarsi su questioni non da entertainment, i suoi sono film (Io sono Lì, La prima neve) di informazione, in fiction divulga notizie inquadrate dal punto di vista degli ultimi (che distanza con film come, per fare un esempio, Parliamo delle mie donne di Lelouch), e sempre con la Jole film che ha solo “manodopera” veneta. Alla fine la missione è compiuta, in quel di Tencarola (Padova) la vita riprende tranquilla e la famiglia di Rinaldi si riunisce sicura attorno al desco della bella casa, L'ordine delle cose sembra ristabilito. Segre ci consegna l'accusa, quella di “sbattercene”.
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itimoro
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mercoledì 27 settembre 2017
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un film "cattivista"
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E' evidente che Segre si è documentato per raccontarci questa storia, che risulta, a mio avviso, quasi un docu-film: una storia che racconta una realtà dei nostri giorni, con dentro l'intreccio umano per meglio coinvolgere lo spettatore. Una onesta operazione commerciale, insomma: potrebbe sembrare. Invece io trovo che sia un film straordinariamente innovativo per il suo contenuto "cattivista". Il funzionario Rinaldi, uomo d'ordine, preciso, coscienzioso, amante della famiglia, rigoroso sul lavoro, ma anche capace di sentimenti ed emozioni, a ben guardare è immagine di tanti di noi, cittadini per bene, pervasi di sentimenti cristiani o laicamente etici che inorridiamo al pensiero di quel che può accadere sulle spiagge libiche, che ci commuoviamo di fronte a certe immagini o notizie.
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E' evidente che Segre si è documentato per raccontarci questa storia, che risulta, a mio avviso, quasi un docu-film: una storia che racconta una realtà dei nostri giorni, con dentro l'intreccio umano per meglio coinvolgere lo spettatore. Una onesta operazione commerciale, insomma: potrebbe sembrare. Invece io trovo che sia un film straordinariamente innovativo per il suo contenuto "cattivista". Il funzionario Rinaldi, uomo d'ordine, preciso, coscienzioso, amante della famiglia, rigoroso sul lavoro, ma anche capace di sentimenti ed emozioni, a ben guardare è immagine di tanti di noi, cittadini per bene, pervasi di sentimenti cristiani o laicamente etici che inorridiamo al pensiero di quel che può accadere sulle spiagge libiche, che ci commuoviamo di fronte a certe immagini o notizie...però...in fondo sono affari loro e..."lontano dagli occhi"...L'importante è che le cose attorno a noi funzionino bene, siano in bell'ordine, appunto. Questo film è un atto di accusa nei confronti del nostro perbenismo. E' vero che non dà soluzioni, ma non spetta all'artista offrirne. L'importante è che riesca a provocare. Anche solo una riflessione, una discussione aperta e non faziosa. Il film ha le caratteristiche buone per farlo. Se poi noi ci riusciremo, è altro discorso.
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flyanto
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martedì 12 settembre 2017
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il difficile compito di un uomo
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Ecco che ricompare nelle sale cinematografiche italiane il regista Andrea Segre con il suo ultimo lavoro "L'Ordine delle Cose", sempre trattante il tema dell'immigrazione e vicino a quegli individui che sono costretti a lasciare la propria terra d'origine alla volta dell'Italia.
Un alto funzionario al servizio del Ministero degli Interni in Italia (Paolo Pierobon) ha il compito di recarsi in Libia per contrattare una politica di cooperazione con le alte cariche del suddetto paese africano per limitare il flusso dei barconi illegali zeppi di clandestini diretti in Italia.
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Ecco che ricompare nelle sale cinematografiche italiane il regista Andrea Segre con il suo ultimo lavoro "L'Ordine delle Cose", sempre trattante il tema dell'immigrazione e vicino a quegli individui che sono costretti a lasciare la propria terra d'origine alla volta dell'Italia.
Un alto funzionario al servizio del Ministero degli Interni in Italia (Paolo Pierobon) ha il compito di recarsi in Libia per contrattare una politica di cooperazione con le alte cariche del suddetto paese africano per limitare il flusso dei barconi illegali zeppi di clandestini diretti in Italia. Le trattative risultano sin dall'inizio per nulla semplici a causa degli interessi privati e non degli alti funzionari locali e della corruzione imperante che non sembra voler essere affatto debellata. Nel breve periodo che il protagonista esercita la sua funzione nel territorio straniero, egli entra casualmente in contatto con una giovane donna libica, la quale è stata fermata nel corso della sua traversata in mare verso l'Italia e che vuole a tutti i costi continuare a tentare di affrontare. Da qui svariati eventi porteranno il protagonista ad un'amara ma e inevitabile scelta e conseguente linea di condotta.
Già affrontata nei suoi due films precedenti da noi distribuiti, "Io Sono Li" e La Prima Neve", la condizione in cui si trovano gli immigrati e tutte le svariate problematiche ad essa legate hanno sempre interessato ed interessano ancora il giovane e talentuoso regista veneto Andrea Segre . Con acuto realismo e precisione, ideando storie che sono aderenti ad una particolare condizione sociale e reale del nostro Paese, Segre riesce a rappresentare ed a far riflettere lo spettatore su certi aspetti di esso e del contesto europeo in generale. La sua regia avvincente e "silenziosa", in quanto oggettivamente il regista non esprime mai direttamente alcun giudizio in merito ad una situazione, rende molto particolari e toccanti, seppure assai amare, le sue pellicole che sicuramente e purtroppo non servono a cambiare certe tristi e difficili realtà (solitamente i protagonisti, nonostante i propri sforzi e la propria buona volontà, sono degli "eroi" che escono sempre "sconfitti" dal loro operare contro forze immani ai loro confronti) ma, almeno, a renderle note ed a farne prendere coscienza al pubblico, sensibilizzandolo notevolmente.
Una nota d'encomio va all'attore Paolo Pierobon (già presente, come anche Giuseppe Battiston, nel cast delle precedenti opere cinematografiche di Segre) che ben rappresenta l' uomo capace, tutto di in pezzo , nonchè dotato di una certa sensibilità che la ragione, di Stato o personale, ben guida la sua mente.
Un vero gioiello di film.
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miguelangeltarditti
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domenica 8 ottobre 2017
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el orden del caos
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El orden de las cosas(L’ordine delle cose)
Film italiano del 2017, con regia de Andrea Segre
La psicología nos ha enseñado que, una cierta obsesión por el orden externo, podría indicar, un cierto desorden del orden interno del individuo. Si bien considero que la organización, que da un orden, es necesaria para lograr el éxito de una empresa, admito que la psicología tiene razón en que, el exigir maniáticamente un orden de las cosas, denuncia esa necesidad de no permitir que nada se escape al poder.
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El orden de las cosas(L’ordine delle cose)
Film italiano del 2017, con regia de Andrea Segre
La psicología nos ha enseñado que, una cierta obsesión por el orden externo, podría indicar, un cierto desorden del orden interno del individuo. Si bien considero que la organización, que da un orden, es necesaria para lograr el éxito de una empresa, admito que la psicología tiene razón en que, el exigir maniáticamente un orden de las cosas, denuncia esa necesidad de no permitir que nada se escape al poder. Los autoritarismos lo saben muy bien, y es por eso que se ponen tan obsesivos en el control del todo a través de un orden militarizado, el cual les permite tener bajo sus manos ese todo a reprimir o manejar a su antojo.
El interesante film de Andrea Segre, director muy sensible a los problemas de la inmigración, nos enfrenta dos órdenes sociales opuestos: el de una sociedad acomodada conducida por dirigencias políticas no siempre con la sensibilidad humana y social que su función les exige, y otra, que por desintegrada y precaria y carenciada de todo, podríamos definirla como “desorganización social de desesperados primarios”.
¿Lacerante? ¿Conmovedora? ¿Aterradora? ¿Injusta? ¿Indignante? ¿Desesperante?, serian algunas definiciones, que provocan en nuestros sentimientos la situación de los prófugos, inmigrantes de este nuevo siglo, que escapan del hambre, del fuego, de las guerras, de los autoritarismos, y que en número horrorizante, mueren en el mar Mediterráneo, en un último y extremo intento por respirar el oxígeno de la libertad, y el elemental derecho de Ser Humanos Dignos.
Pero ese orden obsesivo del que hablaba, (y del que habla el film), produce rigideces que son como cárceles mentales de las que no siempre se puede escapar.
Como no puede escapar, Corrado, el protagonista de la historia de este film. Su formación, su orden, su status social, la política, no le permiten dar el paso hacia la solidaridad. El precio sería demasiado alto, y riesgoso.
Denuncia, “El orden de las cosas”, el maltrato en los centros de refugiados, (los llamados hot spots), denuncia la corrupción que se ha creado en torno a la atención de estos marginados del mundo, denuncia el uso político mezquino y aberrante de esta desgracia colectiva que pasa de un nivel de carácter social a uno del ámbito psicológico, evidenciando esa debilidad del hombre que, una vez injertado en un nivel social alto, teme perderlo insensibilizándose hacia los “inferiores”.
Magníficas actuaciones de Paolo Pierobon, Giuseppe Battiston, Valentina Carnelutti, Olivier Rabourdin, Fabrizio Ferracane, Roberto Citran, Fausto Russo Alesi.
Rigurosa y eficaz la regia de Andrea Segre. Encuadres e iluminación excelentes.
Pero el valor del film, pasa a mi entender, por el valor didáctico de su contenido. Porque nos pone delante de una problemática angustiante y de profundidad trágica, que no podemos subestimar como hacen algunos servicios periodísticos, que en vez de ayudar a ser solidarios con los desesperados, asustan con los supuestos peligros de una diversidad, que en realidad, solo puede enriquecernos.
michelangelotarditti@gmail.com
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zarar
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martedì 10 ottobre 2017
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aiutiamoli a casa loro...
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Lungometraggio che ha saputo prevedere anzitempo gli sviluppi italiani della politica sui migranti. Di fronte ad un afflusso ormai incontrollato di profughi e allo scarso impegno europeo in merito, il governo italiano, in accordo con le istituzioni europee, sceglie di porre fine all’accoglienza indiscriminata e di negoziare con la Libia un blocco dei barconi da parte della guardia costiera libica, in cambio di finanziamenti destinati al miglioramento dei centri di accoglienza e verifica del diritto di asilo nella stessa Libia.
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Lungometraggio che ha saputo prevedere anzitempo gli sviluppi italiani della politica sui migranti. Di fronte ad un afflusso ormai incontrollato di profughi e allo scarso impegno europeo in merito, il governo italiano, in accordo con le istituzioni europee, sceglie di porre fine all’accoglienza indiscriminata e di negoziare con la Libia un blocco dei barconi da parte della guardia costiera libica, in cambio di finanziamenti destinati al miglioramento dei centri di accoglienza e verifica del diritto di asilo nella stessa Libia. Una gigantesca ipocrisia si cela sotto questo negoziato teoricamente corretto: nemmeno la promessa di finanziamenti è sufficiente a motivare politici e funzionari corrotti collusi con i trafficanti di profughi da cui ricavano ben altri profitti. E’ necessario dunque ricorrere a veri e propri ricatti per ottenere il loro consenso. D’altra parte la speranza di migliorare in quel contesto destrutturato e corrotto il livello subumano dei centri di accoglienza (impressionanti le relative sequenze), sembra una pura illusione di fronte alla quale si preferisce chiudere gli occhi pur di sbarazzarsi del problema. Paolo Pierobon interpreta Corrado Rinaldi, un poliziotto italiano di alto rango incaricato dal Ministero degli Interni di condurre la trattativa. Il film gira intorno al conflitto tormentoso tra fedeltà ad un compito istituzionale espressione di una logica della legalità e dell’ordine e la consapevolezza di quanto possa sembrare incongruo calare questa logica in un mondo dove non c’è nessuna legalità e nessun ordine. Corrado tiene duro, ma la tentazione di aggirare le regole ed il rigore in nome dell’umanità almeno in un caso particolarmente patetico, lo prende e lo conduce tra mille dubbi ad una difficile decisione. Bene impostato nel modo di affrontate un contenuto scottante e convincente nella sua sceneggiatura, il film pecca di un certo schematismo simbolico (l’algido Veneto con le sue grigie geometrie, l’ordine ossessivo nella quotidianità di Corrado contro il caos della galera libica…). Anche la recitazione del protagonista è viziata da un manierismo da serie televisiva non sostenuto da sufficiente grinta. Sarebbe stato un ruolo perfetto per un rinato Gianmaria Volonté. Più convincenti i personaggi di contorno, con il loro stile alla Graham Greene. Belle inquadrature, buona fotografia.
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merilois
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mercoledì 11 ottobre 2017
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ordine, innanzitutto!
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Corrado, serio funzionario di Stato non ha scelta, alla fine. Deve compiere la missione e portare a casa un risultato come richiesto dal Ministro.
Se salva la ragazza e la fa arrivare in Europa, deve "comprarla". Il militare, capo del centro di detenzione libico, gli chiede dei soldi. Corrado l'ha già denunciato
come uomo corrotto. Se salva la ragazza manda all'aria tutta la missione. E' il fallimento. Lo Stato Italiano perde e gli sbarchi continueranno.
Di questo si tratta. Salvare la patria, riportare l'ordine delle cose. I diritti umani rispettati sono un altro paio di maniche. Forse verranno dopo, in una seconda fase. O forse non verrranno mai.
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Corrado, serio funzionario di Stato non ha scelta, alla fine. Deve compiere la missione e portare a casa un risultato come richiesto dal Ministro.
Se salva la ragazza e la fa arrivare in Europa, deve "comprarla". Il militare, capo del centro di detenzione libico, gli chiede dei soldi. Corrado l'ha già denunciato
come uomo corrotto. Se salva la ragazza manda all'aria tutta la missione. E' il fallimento. Lo Stato Italiano perde e gli sbarchi continueranno.
Di questo si tratta. Salvare la patria, riportare l'ordine delle cose. I diritti umani rispettati sono un altro paio di maniche. Forse verranno dopo, in una seconda fase. O forse non verrranno mai. Alla fine della storia a Corrado gli si inumidiscono gli occhi pensando alla ragazza che non ha potuto salvare. Però la Ragion di Stato sta sopra ogni cosa.
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nigel mansell
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sabato 12 gennaio 2019
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l'ordine delle cose di andrea segre
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Dei suoi lavori avevo già visto “Io sono Li”, che giudico superiore a questa pellicola. Anche qui il tema sono gli stranieri. Prima avevamo una cinese a Chioggia, ora siamo in Libia, dove ci sono il Medio Oriente e l'Africa che spingono alle porte della vecchia Europa.
Di fronte a ciò che vediamo, alla folla di disperati ed ai loro carnefici, non riusciamo a capire di cosa si tratta. Sono migrazioni volontarie o forse fughe indotte, o magari minacciose invasioni? Riusciamo davvero, abbiamo gli elementi per capire a quale evento epocale stiamo assistendo?
Questo film di certo non da risposte, non prende parte, ma si limita ad osservare.
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Dei suoi lavori avevo già visto “Io sono Li”, che giudico superiore a questa pellicola. Anche qui il tema sono gli stranieri. Prima avevamo una cinese a Chioggia, ora siamo in Libia, dove ci sono il Medio Oriente e l'Africa che spingono alle porte della vecchia Europa.
Di fronte a ciò che vediamo, alla folla di disperati ed ai loro carnefici, non riusciamo a capire di cosa si tratta. Sono migrazioni volontarie o forse fughe indotte, o magari minacciose invasioni? Riusciamo davvero, abbiamo gli elementi per capire a quale evento epocale stiamo assistendo?
Questo film di certo non da risposte, non prende parte, ma si limita ad osservare. Racconta di un funzionario integerrimo che pur di mantenere il suo zelo metterà a tacere la sua coscienza. Perché non può prendere a cuore la tragedia a cui assiste, non può guardare quei migranti negli occhi, altrimenti non saranno più numeri ma persone, ed allora non potrà sarà costretto ad agire.
Siamo nella Libia post Gheddafi, il film aveva anticipato la triste realtà odierna. Segre ci fa capire cosa si intende quando i governi dicono bisogna prendere accordi con i locali per evitare gli sbarchi. In sostanza ci mostra cosa si intende con l'espressione aiutiamoli a casa loro.
E noi gente comune, noi che non decidiamo di far scoppiare guerre civili o fomentiamo odi etnici, che non vogliamo mettere tutti contro tutti per mantenere gli equilibri in Africa e nel Medio Oriente, ci troviamo a fare i conti con gli effetti di una causa che non conosciamo, né abbiamo scatenato.
E mentre i perbenisti stanno nelle loro ville in collina o nei lussuosi palazzi del centro, e da lì pontificano di tolleranze che non conoscono, ci troviamo a dividere le miserie delle periferie con questa nuova umanità.
Che posizione prendere? Io non lo so, e questo film non mi ha fatto maturare una decisione.
Per il resto questo lungometraggio, quasi un documentario più che una fiction (d'altronde il regista viene da lì e non ha disdegnato ritornarci), scorre lento e si trascina stancamente sino alla fine della vicenda, quando il funzionario, nella sua splendida villa, lontano da tutto e tutti, si rifugia negli affetti della famiglia: lui che può.
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