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L'intrusa: apertamente didattico, ma non didascalico

Il film di Leonardo Di Costanzo conferma la tendenza del cinema italiano alla territorialità e ai piccoli spazi antropologici. Presentato al Festival di Cannes e ora al cinema
di Roy Menarini

L'intrusa

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Raffaella Giordano 1961, Torino (Italia). Interpreta Giovanna nel film di Leonardo Di Costanzo L'intrusa.
venerdì 29 settembre 2017 - Focus

Il cinema italiano diventa sempre più territoriale. Dopo la disseminazione geografica degli anni Novanta - con l'esplosione del cinema napoletano, pugliese, sardo, lombardo - e la costruzione di un cinema d'autore internazionale nel primo decennio dei Duemila e oltre (con Garrone, Guadagnino e Sorrentino, tra gli altri), ecco che il cosiddetto cinema del reale sembra volersi dedicare ai piccoli spazi antropologici, in questo secondo decennio.

L'intrusa di Leonardo Di Costanzo conferma il valore di alcuni - non tutti - dei cineasti che operano in questa definizione di comodo, che tuttavia ospita al suo interno operazioni estetiche molto differenti.
Roy Menarini

Basta vedere come Jonas Carpignano, in A Ciambra (designato italiano per la corsa alle candidature Oscar) - pur utilizzando persone reali al posto degli attori e luoghi autentici - opti per una scrittura fortissima, quasi scorsesiana, nel costruire il suo romanzo di formazione criminale. Nel caso di Di Costanzo, esclusa la filmografia documentaria, ritroviamo l'attenzione allo spazio della rappresentazione e alla funzione dei luoghi già presente nel precedente L'intervallo. Visto che L'intrusa si svolge principalmente nel cortile che divide i locali scolastici e ricreativi assegnati a un gruppo di volontari, e la casupola di cui prende possesso la moglie di un malvivente approfittando dell'accoglienza dei cooperatori, si è parlato giustamente di un film in unità di luogo, concentrico, capace di narrare una situazione di assedio permanente.


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In foto una scena del film L'intrusa.
In foto una scena del film L'intrusa.
In foto una scena del film L'intrusa.

Nel medesimo segmento di stagione cinematografica, un altro film come L'equilibrio di Vincenzo Marra, anch'esso polarizzato sullo scontro tra un prete "di strada" e i camorristi che vogliono guidare la comunità di riferimento, preferisce invece il movimento. Tanto quanto la protagonista di L'intrusa si muove raramente dal suo luogo di riferimento (un "centro", in tutti i sensi), il parroco di Marra non fa che camminare, da casa ai luoghi di spaccio, dall'ospedale alla chiesa, dal campetto al quartiere, e così via. In entrambi i casi, però, i personaggi si trovano di fronte alle contraddizioni del loro operare: Giovanna insiste nel dare ospitalità alla moglie di un assassino, pensando anche all'educazione della figlia, ma ferisce e umilia i parenti delle vittime che hanno sofferto la crudeltà dell'uomo; Don Giuseppe segue una strada altrettanto giusta, e chiara, ma anch'egli finisce con l'esporre al pericolo i fedeli che dovrebbe proteggere e le persone che cerca di aiutare.

Insomma, comportarsi secondo giustizia non è più sufficiente, e a ogni mossa corrisponde una possibile catastrofe, dunque le difficoltà della parte sana della società (non a caso identificate solamente con il cattolicesimo solidale e con le organizzazioni non governative) si presentano quotidianamente.
Roy Menarini

Di Costanzo sceglie un cinema non solo limpido ma anche apertamente didattico, ma non didascalico. La differenza è minima, e qualcuno legittimamente non l'ha colta, accusando il regista di aver fatto un passo indietro e di essere stato troppo dimostrativo. In verità è qui che emerge la dimensione più rosselliniana - citato solitamente di sproposito - ovvero la presentazione trasparente delle tesi, delle antitesi, dei problemi e delle soluzioni complesse, attraverso il racconto e i suoi personaggi, poggiando anche su una recitazione ispirata a una sorta di "realismo straniato" vagamente brechtiano (presente anche nel film di Marra). Sottile linea, quella che distingue un'operazione come questa, dove i passaggi di sceneggiatura si consegnano espliciti, con serenità e senza capziosi simbolismi, da soggetti metaforici che non riescono a sollevarsi dalla pedagogia a buon mercato.

Rimane però, assolutamente irrisolto, il problema di come costruire un pubblico più ampio per film come questi, solitamente inchiodati a una nicchia di spettatori eruditi e appassionati.


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