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La ragazza nella nebbia, una denuncia del circo mediatico intorno alla giustizia

Toni Servillo torna a vestire i panni dell'investigatore nell'opera prima di Donato Carrisi. Al cinema.
di Marco Castelli, vincitore del Premio Scrivere di Cinema

Toni Servillo (65 anni) 25 gennaio 1959, Afragola (Italia) - Acquario. Interpreta Agente Vogel nel film di Donato Carrisi La ragazza nella nebbia.
martedì 31 ottobre 2017 - Scrivere di Cinema

«La giustizia non fa ascolti. La giustizia non interessa a nessuno», dice l'investigatore nell'iniziare il caso. Protagonista di La ragazza nella nebbia è l'agente Vogel, un personaggio molto diverso rispetto ai vari "commissari" del grande e piccolo schermo come il commissario Sanzio (La ragazza del lago), altro investigatore interpretato da Toni Servillo. Il suo processo si dipana però meno nell'articolato dei Codici Penale e di Procedura Penale o nelle vie del paese teatro del crimine quanto sui plateau televisivi, sostanziandosi nei punti di share ottenuti dai suoi casi nei passaggi sui telegiornali. È proprio su questa visione mediatica del processo che indugia la critica del film.

«La giustizia è un ideale irrazionale» scriveva d'altronde Hans Kelsen, considerato il più importante giurista del Novecento.
Marco Castelli, vincitore del Premio Scrivere di Cinema

Tuttavia questa, che era essenzialmente un'affermazione tendente alla riconsiderazione della legge e della sua gerarchia, sembra essersi trasformata per molti in una forma di nichilismo che vede nell'efficacia sociale, nella considerazione pubblica della risposta statale al crimine, l'unico scopo della "macchina della giustizia".


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In foto una scena del film.
In foto una scena del film.
In foto una scena del film.

L'agente Vogel è un esempio di questa filosofia da strada: l'intera inchiesta è infatti condotta a favore del circo mediatico, rispetto al quale anche le vittime diventano secondarie, schiacciate dall'ego degli investigatori e dei giornalisti. Questo male della società dello spettacolo (e non è un problema solo italiano) è stato portato sul grande schermo più volte ultimamente, anche se questa produzione rappresenta il primo tentativo di sollevare la problematica nell'ambito di un dramma.

Un sistema che mangia tutto e che dimentica tutto troppo in fretta per permettersi i tempi lunghi e razionalmente scanditi di un processo è chiaramente un incitamento alla nascita del particolare tipo di giustizia di piazza che è la gogna mediatica: strumento di "giustizia" che, non conoscendo alcun principio (a partire dalla presunzione d'innocenza), rischia di generare più dolore dello stesso crimine.
Marco Castelli, vincitore del Premio Scrivere di Cinema

Lo sviluppo di queste tematiche si declina purtroppo in un contesto narrativo che, nel desiderio di rendere sempre più inaspettata la storia, fra cambi di prospettiva e rivelazioni, non riesce a disegnare dei ruoli credibili, impedendo allo spettatore d'apprezzare il lato umano (e quindi di dubbio) dietro ai personaggi. Questi sembrano voler portare avanti il proprio canovaccio a tutti i costi e le ombre della storia si allungano sugli uni e sugli altri non tanto grazie ad una saggia costruzione narrativa, quanto per via dello svelamento da parte della regia di nuove informazioni. Anche la critica all'espediente narrativo del criminale che sceglie il suo poliziotto, sfidandolo ad una specie di partita a scacchi (si veda L'uomo di neve e, molto più poeticamente, Neruda), passa in secondo piano, perdendosi nella trama. Tutto sbiadisce in un film dove «tutto ha un senso, anche il Male», ma solo finché la sceneggiatura decide che sia così.


RECENSIONE

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