Da un film di avventura, ispirato alla storia di sopravvivenza di Yossi Ghinsberg, raccontata dal medesimo nel suo libro autobiografico Lost in the Jungle, e girato esclusivamente nella foresta amazzonica boliviana, non ci si può aspettare altro che un buon ritmo narrativo, paesaggi inconsueti e creature misteriose, quanto pericolose, che popolano la giungla, scorci di paradiso terrestre, miracolosamente ancora incontaminato, inquadrati dall’alto ad incorniciare suggestivamente il corso sinuoso del fiume Tuichi che si snoda come una grossa anaconda verde chiaro nel fitto della foresta amazzonica. Tutto questo nel film c’è.
Greg McLean, regista di horror di un certo successo, vi aggiunge la tensione drammatica che nasce dalla difficile relazione personale tra i quattro protagonisti, tre ragazzi in cerca di guai ed una guida esperta, di cui cammin facendo si scoprirà chi è veramente il buono e chi è il perfido.
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Da un film di avventura, ispirato alla storia di sopravvivenza di Yossi Ghinsberg, raccontata dal medesimo nel suo libro autobiografico Lost in the Jungle, e girato esclusivamente nella foresta amazzonica boliviana, non ci si può aspettare altro che un buon ritmo narrativo, paesaggi inconsueti e creature misteriose, quanto pericolose, che popolano la giungla, scorci di paradiso terrestre, miracolosamente ancora incontaminato, inquadrati dall’alto ad incorniciare suggestivamente il corso sinuoso del fiume Tuichi che si snoda come una grossa anaconda verde chiaro nel fitto della foresta amazzonica. Tutto questo nel film c’è.
Greg McLean, regista di horror di un certo successo, vi aggiunge la tensione drammatica che nasce dalla difficile relazione personale tra i quattro protagonisti, tre ragazzi in cerca di guai ed una guida esperta, di cui cammin facendo si scoprirà chi è veramente il buono e chi è il perfido. Ma bisognerà aspettare le didascalie che scorrono prima dei titoli di coda per avere un quadro completo della vicenda.
Daniel Radcliffe, abbandonati i panni del maghetto, ci mette, dal canto suo, una recitazione matura e convincente, che, senza mai strafare, rende bene l’idea di come ci si possa trasformare dopo tre settimane di permanenza nella foresta, senza viveri e senza attrezzatura, da soli, con la compagnia esclusiva di qualche spettro o l’apparizione di una ninfa del bosco autoctona, con le sembianze da india, ottenuta grazie alle scorpacciate di funghi allucinogeni, ingurgitati per non morire di fame, come del resto qualsiasi cosa di vivente o di energetico gli capitasse sotto mano.
Improvvidi i continui flashback che spezzano il ritmo, rompono l’atmosfera da incubo e diluiscono la suspense, per inutili reminescenze del vissuto del protagonista che lo riportano agli anni della sua giovinezza nell’ambito familiare in quel di Israele, che ovviamente con la foresta amazzonica ci sta come i cavoli a merenda, a meno che non si alluda ai tre anni di servizio militare obbligatorio che si è dovuto fare prima di intraprendere l’avventura sudamericana e senza dei quali, probabilmente, non sarebbe sopravvissuto nemmeno un giorno in quell’ambiente infernale e mortale che è diventata la giungla per l’uomo civilizzato.
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