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Blade Runner 2049: «è un noir esistenziale, come l'originale»

Denis Villeneuve e Sylvia Hoeks raccontano il film e rispondono sulla possibilità di altri sequel. Dal 5 ottobre al cinema.
di Andrea Fornasiero

Blade Runner 2049

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mercoledì 20 settembre 2017 - Incontri

Dopo la proiezione di alcune scene in anteprima di Blade Runner 2049, di cui però ci è tassativamente proibito parlare, Denis Villeneuve e l'attrice Sylvia Hoeks, che nel film interpreta Luv, hanno concesso un generoso incontro alla stampa romana. Si è partiti da un riepilogo di alcuni assunti già del film precedente, come il ruolo dei replicanti: «Sono esseri sintetici, sviluppati dalla bio-ingegneria per essere schiavi, pensati per sfruttare le risorse di altri pianeti, al di fuori del sistema solare, e renderli abitabili per gli esseri umani», ha detto il regista, «Inizialmente erano vietati per legge e soprattutto era vietato che si aggirassero non registrati sulla Terra, per questo ci sono poliziotti speciali, chiamati Blade Runner, il cui compito è scovarli e "ritirarli"».

Dal 2019 del primo capitolo al 2049 del secondo diverse cose sono cambiate: «Già nel film di Ridley Scott il mondo era di grande atmosfera ma pure un incubo e il nostro porta avanti quell'idea, dove le cose hanno continuato ad andare male: il clima è impazzito tanto che a Los Angeles nevica e i mari si sono alzati (al punto che serve una diga per tenere la città al sicuro)".
Andrea Fornasiero

"Volendo restare fedeli allo spirito noir della pellicola originale abbiamo dovuto affrontare il problema di Internet. Perché non c'è niente di più noioso di un detective che sta a digitare guardando uno schermo, così i nostri sceneggiatori hanno avuto l'idea di un grande blackout, un enorme disturbo elettromagnetico che ha distrutto tutti i dati digitali, facendo sopravvivere quasi solo quelli analogici. È anche una riflessione sulla fragilità del nostro mondo informatico, ma soprattutto mi piace che nel nostro film l'eroe debba incontrare le persone, camminare anche nel fango e via dicendo».


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Harrison Ford in una scena di Blade Runner 2049.
Ryan Gosling in una scena di Blade Runner 2049.
Ryan Gosling in una scena di Blade Runner 2049.

«Per il ruolo dell'agente K si è pensato a Ryan Gosling fin dalla stesura della sceneggiatura da parte di Hampton Fancher» spiega il regista, «e così quando mi hanno proposto il progetto mi hanno suggerito di pensare a lui come attore. Leggendo la sceneggiatura mi sono reso conto mi sono reso conto che sarebbe stato perfetto: è una splendida parte e del resto è stata scritta proprio per lui, tanto che mi viene difficile immaginare qualcun altro in questo ruolo, infatti non abbiamo fatto audizioni con altri interpreti. Per Ryan è il primo film di questa magnitudine ma ha accettato, ama la sceneggiatura e il Blade Runner originale. Interpreta un ruolo analogo a quello di Deckard, ma si muove in un mondo più complesso. Ha comunque a che fare con la stessa solitudine, perché anche questo sequel è un noir esistenziale come il primo film».

«Gosling ha una presenza straordinaria e il necessario carisma per reggere un faccia a faccia con Harrison Ford inoltre sa esprimere le emozioni con molta sottigliezza. Insomma è un fantastico attore, come ce ne sono pochi. Ho scelto uno a uno ogni attore e comparsa, perché è come un film in costume, servono volti adeguati e il suo sicuramente lo è».

Quindi Sylvia Hoeks ha spiegato quel poco che può dire del suo personaggio, Luv: «Lavora con Niander Wallace, il creatore dei nuovi replicanti interpretato da Jared Leto. È il suo braccio destro e farebbe di tutto per lui, hanno una reazione complessa e intensa. Credo che ogni personaggio femminile in questo film sia stratificato e sono tutte performance molto forti. Ho amato lavorare con Robin Wright, la mia scena con lei è stata la prima sul set e mi ha molto incoraggiato, anche perché era una intensa e difficile. Sono molto contenta che questo film mi abbia permesso di interpretare lati che solitamente sono associati alle figure maschili, come forza, saggezza e anche sarcasmo. È il ruolo più divertente che ho mai avuto».

Si è passati poi a parlare, di nuovo con il regista, dello studio cromatico per il film e della collaborazione con Roger Deakins, il direttore della fotografia 13 volte nominato agli Oscar senza vincere mai, che aveva già lavorato con Villeneuve su Prisoners e Sicario: «Come tutti sappiamo Blade Runner è una pietra miliare di estetica nella Storia del Cinema, per come Ridley Scott ha usato la luce e creato atmosfere scure e nebbiose. Roger e io abbiamo pensato che dovesse esserci una familiarità con il primo film, infatti si rivede anche lo stesso quartiere, ma ora il clima è più freddo e nevoso. Essendo canadese per me la qualità della luce invernale è una grande ispirazione. Blade Runner 2049 ha così momenti molto dark, ma ci sono anche parti più bianche e argentee, perché la tavolozza cromatica è invernale. È raro per un regista avere un controllo simile sui colori, non l'ho mai avuto prima e mi ha permesso di creare elementi ricorrenti, dettagli che probabilmente saranno notati dal pubblico solo nelle visioni successive alla prima. Anche il colore giallo poi è molto importante, come si vede già nel trailer nelle scene più sabbiose, e non è facile da usare ma lavoravo con il miglior al mondo così ho sfidato Roger a far evolvere durante il film la nostra scala cromatica».


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Una scena di Blade Runner 2049.
Harrison Ford in una scena di Blade Runner 2049.
Jared Leto in una scena di Blade Runner 2049.

Riguardo l'uso della Computer Graphic, Villeneuve ha detto: «Quando si fa un film futuristico la CGI diventa molto importante, ma una delle prime decisione che abbiamo preso è stata di costruire tutti i set. Era la prima cosa che mi chiedevano anche gli attori: se avrebbero recitato in mezzo al Green Screen o se ci sarebbero state almeno le sedie! Il film è stato realizzato come si faceva anni fa, quando si lavorava con cose reali, e credo che sia importante per gli attori non dover immaginare tutto, anche perché nemmeno si possono fare ricerche sul futuro! Se tutto è costruito intorno a te invece puoi concentrarti sul personaggio al posto che su immaginare cose. Anche per il regista poi è un vantaggio, perché permette una maggior immediatezza nella comprensione della scena e la possibilità di cambiarla durante le riprese. Per altro odio il colore verde, mi prosciuga di energia. Detto ciò negli sfondi ci sono molti elementi importanti che sono in CGI e abbiamo lavorato con grandi artisti della grafica al computer».

«Jared Leto segue "il metodo" e sul set era sempre in personaggio. Io non l'avevo incontrato prima delle riprese, né avevo mai lavorato con qualcuno così. Mi sono presentata a lui come Luv e lui a me come Wallace. Il fatto di non conoscerci ha aumentato la distanza tra i nostri personaggi e ha dato un valore aggiunto alle scene».

Villeneuve ha poi iniziato a rispondere alle domande dei giornalisti, dicendo di non aver accettato questo incarico facilmente e di averci pensato per mesi. «Ho fatto pace con l'idea di non sapere come sarà accolto il film. So di lavorare al sequel di un capolavoro e che pertanto ci sono poche chance di successo. Ho deciso di farlo per amore verso il cinema, senza aspettarmi niente, ed è un modo fantastico per un regista di lavorare. Del resto non c'è arte senza rischio e questo è un rischio enorme. Fatta questa premessa credo che comunque sia il mio miglior film».

A una domanda sui social network e la loro assenza in Blade Runner 2049 ha risposto: «Credo che stiamo attraversando un periodo di transizione nella nostra relazione con la tecnologia. Mi riferisco naturalmente solo alle popolazioni più ricche che possono permettersela, perché poi in gran parte del mondo si lotta ancora per sopravvivere. Penso che se da una parte rispetto alla tecnologia di cui disponiamo siamo come scimmie, dall'altra ritengo che stiamo perdendo il contatto con la natura e spero questa tendenza si possa invertire».


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Ryan Gosling in una scena di Blade Runner 2049.
Una scena di Blade Runner 2049.
Ryan Gosling in una scena di Blade Runner 2049.

Gli è stato quindi chiesto dei cortometraggi prequel pubblicati in queste settimane e se esiste il piano per una ulteriore espansione del franchise di Blade Runner, con eventuali altri sequel e serie Tv. «Riguardo i cortometraggi: non posso fare sia il film sia il marketing e ho dato davvero tutto sul film quindi è stato un sollievo che i corti siano stati realizzati da altri. Per altro anch'io li ho visti solo da poco. Riguardo eventuali seguiti per ora i produttori si stanno concentrando sul fare il sequel migliore possibile e non su una serie. Ossia non ho avuto alcuna pressione per porre le basi per altri film, tutto è stato sviluppato come un'opera completa e compiuta. Magari se sarà un successo ne faranno un altro, ma non è una mia responsabilità».

Gli è stato poi chiesto quali siano gli elementi che fanno un film di Blade Runner, insomma la sua essenza: «Credo che la malinconia sia la qualità principale... e un sacco di fumo! Deve essere un'esplorazione intima della condizione umana. L'atmosfera è molto importante, anche musicalmente, e ho insistito perché il compositore usasse gli stessi strumenti usati da Vangelis per il primo film».
Andrea Fornasiero

Sul rapporto dell'autore e dell'attrice con Blade Runner, Sylvia Hoeks, di origini olandesi, ha risposto: «L'ho visto da piccola con la mia famiglia. Era un evento perché Rutger Hauer è un nostro tesoro nazionale. Mi ha colpito molto la parte di Daryl Hannah e ricordo di non aver dormito quella notte, chiedendomi se davvero il futuro sarebbe stato così». Quindi ha passato la parola al regista: «È un film che mi ha fatto sognare di diventare un regista, ho pensato che sarebbe stato fantastico realizzare qualcosa del genere. Ero un fan della fantascienza e cercavo opere che la trattassero con serietà, cosa che allora avevo trovato solo in 2001: Odissea nello spazio e Incontri ravvicinati del terzo tipo - e ovviamente ce n'erano altre, come i film di Tarkovskij, ma non le avevo ancora scoperte. Nella tradizione anglosassone erano pochi i film di fantascienza che mi piacevano e quindi ero affamato di un'opera come Blade Runner. Oggi sono molto grato a Nolan per i film di fantascienza che ci ha dato».

Infine sul suo rapporto con la fantascienza, cui sembra sempre più legato come regista, Denis Villeneuve ha spiegato: «Arrival per me è fantascienza ma è anche una storia molto umana e intima, mentre Blade Runner 2049 è più un thriller, anche se sempre con un taglio esistenziale. Fin da giovane sono stato molto affascinato dalla fantascienza di Asimov, Heinlein, Herbert e Verne, tutti nomi molto grossi e quasi scontati, mi rendo conto, ma erano questi gli autori a cui avevo accesso. Anche i fumetti, in particolare quelli di scuola franco-belga, sono stati importanti nella mia formazione fantascientifica con autori come Moebius, Bilal, Mézières e Druillet che hanno riempito la mia infanzia di sogni. Inoltre studiavo anche la scienza ed ero particolarmente affascinato dalla microbiologia. Per me la fantascienza varca la frontiera dell'ignoto ed esplorare i limiti delle nostre percezioni umani. È un modo di riflettere sulla condizione umana e l'ho appreso più dai romanzi e dai fumetti che non dal cinema».


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