stefano capasso
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sabato 13 agosto 2022
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comunità a confronto
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Nel quartiere Ciambra, a Gioia Tauro una comunità Rom, calabrese, ha il problema di trovare il sostentamento quotidiano. Pio, l’adolescente della famiglia, cerca di imparare più in fretta possibile, nella forma e nella sostanza, dal fratello maggiore Cosimo. Quando questo, insieme al padre, viene arrestato, per Pio è il momento di dimostrare a tutti che è ormai un uomo, capace non solo di bere e fumare, ma anche di provvedere al sostentamento della famiglia grazie a piccoli furti e alla collaborazione con un’altra comunità molto presente, quella degli africani.
Jonas Carpignano descrive la traiettoria, apparentemente inevitabile di un giovane Rom che diventa adulto quando sarà in grado di mettere in atto le stesse azioni “criminose” dei più grandi.
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Nel quartiere Ciambra, a Gioia Tauro una comunità Rom, calabrese, ha il problema di trovare il sostentamento quotidiano. Pio, l’adolescente della famiglia, cerca di imparare più in fretta possibile, nella forma e nella sostanza, dal fratello maggiore Cosimo. Quando questo, insieme al padre, viene arrestato, per Pio è il momento di dimostrare a tutti che è ormai un uomo, capace non solo di bere e fumare, ma anche di provvedere al sostentamento della famiglia grazie a piccoli furti e alla collaborazione con un’altra comunità molto presente, quella degli africani.
Jonas Carpignano descrive la traiettoria, apparentemente inevitabile di un giovane Rom che diventa adulto quando sarà in grado di mettere in atto le stesse azioni “criminose” dei più grandi. Allo stesso tempo Carpignano descrive uno spaccato di un territorio che sembra essere diviso in comunità, capaci di dialogare tra loro solo quando c’è necessità di mettere in atto, insieme, un’azione criminosa. Rom, africani e “italiani” operano nel sottobosco dell’illegalità alternando faide ad alleanze, cercando, tutto sommato, di spartirsi quel poco che c’è da spartire. Interessante il lavoro dinamico con la macchina da presa, lo stile documentaristico, peraltro mai del tutto convincente e alcuni spunti poetici che dovrebbe conferire al racconto un respiro più ampio.
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biscotto51
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domenica 6 dicembre 2020
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tutto qui?
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Non capisco come si possano dare 4 o 5 stelle ad un film come questo. E' una storia scontata, sono vite e situazioni conosciute, solo un marziano appena sbarcato sulla Terra potrebbe sorprendersi ed emozionarsi per un film che dice cose trite e risapute.
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olivettigiorgia
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domenica 5 luglio 2020
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grande film
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Perché autentico, giovane, sincero. Narrazione semplice, senza strafare. Consigliato
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nelmatt
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sabato 25 agosto 2018
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semplicemente la storia di pio
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Pio è un ragazzino che vive in un campo rom di Gioia Tauro con la sua numerosa famiglia. Sono zingari italiani, parlando dialetto reggino e sono criminali.
Quando suo padre e suo fratello vengono arrestati, sente che è giunto il momento di occuparsi della famiglia. Gli brucia dentro quella voglia adolescenziale di prendrsi il proprio posto nel mondo, che nel suo caso è un mondo che sta ai margini.
Il film non inscena nessuna impresa criminale rocambolesca e poco credibile in stile crime americano, segue semplicemente il percorso di crescita di un Pio. Che inizia a fare i suoi primi affari, a muoversi da solo e a dover prendere decisioni per niente da ragazzini.
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Pio è un ragazzino che vive in un campo rom di Gioia Tauro con la sua numerosa famiglia. Sono zingari italiani, parlando dialetto reggino e sono criminali.
Quando suo padre e suo fratello vengono arrestati, sente che è giunto il momento di occuparsi della famiglia. Gli brucia dentro quella voglia adolescenziale di prendrsi il proprio posto nel mondo, che nel suo caso è un mondo che sta ai margini.
Il film non inscena nessuna impresa criminale rocambolesca e poco credibile in stile crime americano, segue semplicemente il percorso di crescita di un Pio. Che inizia a fare i suoi primi affari, a muoversi da solo e a dover prendere decisioni per niente da ragazzini. Come stile mi ha ricordato la serie tv Top Boy: entrambi ritraggono, senza mitizzare né demonizzare, la quotidianità di ambienti difficili da capire fino in fondo, mostrando sia la dolcezza che la cattiveria e l'infamità. Perché anche le migliori pellicole crime, italiane ed estere, hanno sempre una morale di fondo, una storia d'amore, un finale ad effetto, una tendenza alla fiction; qualcosa che ti faccia affezionare ai personaggi non come semplici criminali. Oppure vogliono solo mostrare il male, come Gomorra (comunque un bellissimo film).
A Ciambra no, vuole solo raccontare una storia, più vera che mai, semplice e drammatica, per il solo scopo di raccontarla. La storia di un ragazzo, ma anche di una famiglia e di un'intera cultura. Senza voler pararsi il culo e mostrarla idilliaca, ma anche senza il benché minimo pregiudizio.
Veramente un gran film
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ennio
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domenica 12 agosto 2018
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"leggimelo tu, io non so leggere"
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Bell'esperimento neorealista, che funziona in virtù dell'esotismo del soggetto. Chi di noi guarderebbe/passerebbe un paio d'ore in compagnia degli zingari? Quasi nessuno, ovvio. Invece la forma filmica scelta dalla regìa, mezzo documentario mezza fiction, rende lo spettatore partecipe del modus vivendi di questa comunità così particolare.
Mi è piaciuto molto il protagonista, pur non essendo attore professionista. E' efficace e a tratti tragicomica e coinvolgente la maschera di Pio Amato, ragazzino fragile, un pò timido con le ragazze e con un'ansia erotica di diventare uomo come i fratelli e gli amici più grandi che adora.
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Bell'esperimento neorealista, che funziona in virtù dell'esotismo del soggetto. Chi di noi guarderebbe/passerebbe un paio d'ore in compagnia degli zingari? Quasi nessuno, ovvio. Invece la forma filmica scelta dalla regìa, mezzo documentario mezza fiction, rende lo spettatore partecipe del modus vivendi di questa comunità così particolare.
Mi è piaciuto molto il protagonista, pur non essendo attore professionista. E' efficace e a tratti tragicomica e coinvolgente la maschera di Pio Amato, ragazzino fragile, un pò timido con le ragazze e con un'ansia erotica di diventare uomo come i fratelli e gli amici più grandi che adora. Ruba perchè non sa fare altro e perchè così gli hanno insegnato, e perciò i suoi furti sembrano quasi innocenti, privi di malizia e rimorso. Tanto che quando ruba, o prova a rubare, in casa di gente ricca, si fa quasi il tifo per lui. Alla fine se la cava sempre perchè tutti chi più chi meno gli vogliono bene.
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fabio
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giovedì 5 luglio 2018
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il verismo da solo non basta. sopravvalutato.
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Film deludente nel complesso. Passi per gli interpreti: non sono attori professionisti e non si può pretendere troppo.
Il ritmo manca: il film a tratti si trascina in modo stanco e in certi momenti annoia veramente.
Manca la capacità di raccontare: la storia risulta banale, scontata nel suo svolgersi, a volte persino ingenua o poco verosimile.
Ero curioso di vedere il film che ha rappresentato l'Italia agli Oscar; oggi mi domando se non ci fosse nulla di meglio.
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eugenio
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sabato 23 dicembre 2017
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coraggioso anti-romanzo di formazione calabrese
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Inizia con il livore di un cielo grigio, il cupo incedere della macchina da presa su una steppa su cui si stagliano verdi montagne. Poi un uomo ripreso di spalle dinanzi a un cavallo immobile nell’erba. L’uomo si appoggia alla testa del cavallo e ne accarezza teneramente la criniera.
Non è l’Anatolia o la Russia di un cinema di autore ma la Calabria di Gioia Tauro, crocevia di comunità rom, africane e italiane, lo sfondo di questa pellicola.
Cronache di povere memorie di raccoglitori di arance, di pomodori nella piana tra Rosarno e Gioia, sfruttamento e lavoro nero, illegalità bruciante in un’Italia piegata dalla manodopera clandestina e da tanta connivenza.
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Inizia con il livore di un cielo grigio, il cupo incedere della macchina da presa su una steppa su cui si stagliano verdi montagne. Poi un uomo ripreso di spalle dinanzi a un cavallo immobile nell’erba. L’uomo si appoggia alla testa del cavallo e ne accarezza teneramente la criniera.
Non è l’Anatolia o la Russia di un cinema di autore ma la Calabria di Gioia Tauro, crocevia di comunità rom, africane e italiane, lo sfondo di questa pellicola.
Cronache di povere memorie di raccoglitori di arance, di pomodori nella piana tra Rosarno e Gioia, sfruttamento e lavoro nero, illegalità bruciante in un’Italia piegata dalla manodopera clandestina e da tanta connivenza.
Dalla dimensione onorica a quella reale. Ambiente appunto “di strada”, inquadratura su baracche e un ragazzino che urla buttandosi avventatamente contro la porta. Camera alla sua altezza, stacco e montaggio verso un inizio: A Ciambra.
A Ciambra ovvero unmicrocosmo alla periferia di Gioia Tauro. Casermoni popolari con due comunità: i rom “calabresizzati” da un lato e gli africani (definiti “marocchini” dagli stessi rom) dall’altra. Ognuno vive accanto all’altro, ma non comunica. Ognuno è dedito alla sua professione, furti e ricettazione ma non ha rapporti con l’altro, indifferente.
Ognuno campa come riesce alla Ciambra. E si fa i fatti suoi.
Pino è uno di questi rom. Un quattordicenne intelligente fumatore, che segue le gesta del padre e del fratello, finiti in carcere dopo l’ennesimo furto. Pino è ambizioso, vuol badare alla famiglia ma non è un paranzino, uno di quei futuri “boss” di cui ci ha tanto abituato Saviano nei suoi romanzi.
Pio non brama il potere, vuole che la sua (numerosa) famiglia possa vivere dignitosamente. E i mezzi in quel territorio per farlo onestamente scarseggiano. Allora, col padre e il fratello dentro, Pio si arrabatta come può, come meglio riesce, nell’unico modo che conosce ovvero rubare.
Sale sui regionali di Gioia Tauro diretti alla fertile Villa San Giovanni; con un veloce quanto astuto sguardo individua la sua “preda” e la priva del bagaglio prima ancora che il treno parta. Poi si appropria di qualsiasi cosa di “rubabile”, ovvero tablet e altri oggetti personali come computer portatili.
A piazzarli tra i vari ricettatori gli dà una mano Ayiva (Koudous Seihon, già protagonista in Mediterranea), immigrato del Burkina Faso con il quale, ben presto, il giovane rom costruisce un vero rapporto d’amicizia, che gli consente di integrarsi senza problemi con l’intera comunità africana del luogo.
Riuscirà Pio a preservare la sua facciata di fanciullo imberbe, mantenendo quel sottile legame di fiducia che lo lega ad Ayiva?
Potrà salvarsi da un mondo in cui il furto degli affetti conta più dei puri sentimentalismi accedendo alla dolorosa maturità cui brama?
Jonas Carpignano, giovane italo-americano, classe 1984, come in Mediterranea, pone l’accento sul mondo dell’integrazione e della dinamica quotidiana di una famiglia Amato (realmente esistente), ripresa dal basso degli occhi di Pio, in un singolare cammino di anti-formazione come certe pellicole francesi dei Fratelli Dardenne.
Il cineasta è abile a mescolare finzione con documentario, intenti sociali con il neorealismo moderno di una realtà degradata ma mai squallida. C’è una certa dignità anche nei furti, nelle rapine, nell’indigenza in A Ciambra priva di un’esaltazione sociologica della realtà ma oggettiva proprio nel (raro) intento di non giudicare nulla ma semplicemente mostrare, permettere allo spettatore di “farlo riflettere”.
Carpignano mette sullo stesso piano esseri umani, oggetto di odio e diffidenza da parte del popolino perbenista, rom e africani in una fotografia patinata, onirica ma sempre profondamente cupa, in un crepuscolo o un’alba quasi sospesa che mai diventano notte o giorno.
In essa, noi spettatori siamo partecipi attivi di un sentimento strano, una profonda empatia che ci rende vicini ai reietti della vita, Pio- Ayiva e alla comunità circostante, coacervo di culture in cui è possibile una convivenza, seppur sofferta, un vago cenno di assenso in delicati periodi dove la parola tolleranza scade nel clichè della demagogia popolare.
A Ciambraè un film coraggioso in cui riusciamo a vedere vittime e carnefici sullo stesso piano, senza una retorica sentimentale, senza crismi. Con un dialetto spontaneo da farlo sembrare casuale nei dialoghi (anche se frutto di un attento lavoro di sceneggiatura), con una forza visiva non consueta al cinema italiano, con protagonisti “presi dalla strada” e alla strada consegnati.
Pollice alto.
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kimkiduk
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martedì 21 novembre 2017
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deluso
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E' stato candidato agli Oscar dall'Italia come film straniero. Sinceramente speravo che il cinema italiano potesse esprimere meglio che qualche giorno di vita di un campo Rom.
Va bene che è film verità, quasi un documentario.
Va bene che la regia è ottima e che quasi tutto il film è girato camera a mano con inquadratura a 1 metro.
Va bene che gli attori non ci sono sono i Rom e quindi più cinema verità di questo difficile.
Va bene che rappresenti una realtà italiana di degrado e di denuncia.
Ma anche se ha tutto questo il film annoia, rende il normale ed alla fine si esce dicendo .... e allora? Lo sappiamo tutti e nessuno fa niente questo il problema.
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E' stato candidato agli Oscar dall'Italia come film straniero. Sinceramente speravo che il cinema italiano potesse esprimere meglio che qualche giorno di vita di un campo Rom.
Va bene che è film verità, quasi un documentario.
Va bene che la regia è ottima e che quasi tutto il film è girato camera a mano con inquadratura a 1 metro.
Va bene che gli attori non ci sono sono i Rom e quindi più cinema verità di questo difficile.
Va bene che rappresenti una realtà italiana di degrado e di denuncia.
Ma anche se ha tutto questo il film annoia, rende il normale ed alla fine si esce dicendo .... e allora? Lo sappiamo tutti e nessuno fa niente questo il problema.
La considerazione del film, anche se forse vorrebbe evidenziare questo, non deve sfociare nel sociale e nel politico. Mi viene semmai da chiedermi perchè tra il poco di buono prodotto dall'Italia nel 2017, si sia candidato questo film ..... forse perchè prodotto anche da Scorsese? Forse perchè il regista è nato a new York e quindi mi sa conosciuto da qualcuno?
Peccato, vorrei ci fosse miglior cinema soprattutto come storia da rappresentare.
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evak.
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giovedì 12 ottobre 2017
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un pò più in là
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È un film imperfetto, perchè non parla nè vuole tendere alla perfezione. Non ci sono artifizi scenografici, nè emotivi. Non c'è quell'impressionante bellezza, più comunemente chiamata estetica, che toglie spazio ai personaggi.
C'è una narrazione senza sofismi nè particolari accenti. Ci sono quelli che sono un pò più in là di chi guarda, di chi li osserva, di chi li dimentica. Ci sono "i diversi". E fra "i diversi" ci sono gli altri "diversi". E poi ci sono le distanze tra tutti i "diversi", osservatori compresi. Distanze culturali, emotive. Distanze dei natali.
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È un film imperfetto, perchè non parla nè vuole tendere alla perfezione. Non ci sono artifizi scenografici, nè emotivi. Non c'è quell'impressionante bellezza, più comunemente chiamata estetica, che toglie spazio ai personaggi.
C'è una narrazione senza sofismi nè particolari accenti. Ci sono quelli che sono un pò più in là di chi guarda, di chi li osserva, di chi li dimentica. Ci sono "i diversi". E fra "i diversi" ci sono gli altri "diversi". E poi ci sono le distanze tra tutti i "diversi", osservatori compresi. Distanze culturali, emotive. Distanze dei natali.
Lo sguardo di Pio, curioso cercatore di amore, di fratellanza e di un nuovo che non sa nascere, mostra senza manierismi un un varco che non si può oltrepassare.
Lo scudo dei preconcetti. La mancanza di eroi (sono poi davvero necessari?).
Il soggetto del film è interessante, meno lo sguardo del regista. Poteva essere di più. Valere di più. Le citazioni, o meglio, gli omaggi al neorealismo e i richiami zavattiniani non sembrano trovare collocazione poetica nelle scene. Lo sguardo non è così reale perchè rimane comunque distante. Apprezzabile il tentativo, ma lo stesso Zavattini oggi sarebbe andato un pò più in là, si sarebbe spinto oltre. Il regista ha corso un rischio; un rischio che gli ha portato dei premi e delle candidature importanti, ma che non può reggere un confronto con il passato.
Non coinvolge. Difficile entrare nella storia, nei personaggi.
Qualcuno ha detto che Pio sarebbe piaciuto a Truffaut. difficle essere d'accordo.
Truffaut sarebbe andato oltre, avanti. La creatività non si esprime con la nostalgia del passato.
Senza dubbio il film, questo occorre dirlo, è uno dei migliori dei film italiani usciti nelle sale in questi due ultimi anni. Non ho dato quattro stelle perchè gli omaggi devono essere accennati lasciando spazio alla creatività personale.
Resta un film senza dubbio da vedere.
Carpignano è un regista che ci sorprenderà in futuro.
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massimotorre
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mercoledì 6 settembre 2017
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a ciambra film di rara bellezza
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A CIAMBRA DI JONAS CARPIGNANO E' UN FILM DI RARA BELLEZZA.
Bellezza formale. Dello sguardo potente del regista, del suo personale, originale, linguaggio cinematografico. Iperrealisticoimpressionista. Bellezza della cruda natura umana. Bellezza drammaturgica. Bellezza dello scavo alla ricerca di una rivelazione. Bellezza poetica. Bellezza irresistibile dei personaggi. Di un film che lascia senza fiato. Dall'inizio alla fine. Bellezza del Cinema quando risponde alla sua vocazione. Finalmente!!
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