“The Teacher. Una lezione da non dimenticare” (Učiteľka- The Teacher, 2016) è il sedicesimo lungometraggio del regista slovacco Jan Hrebejk.
Una pellicola ‘didattica’ per spiegare la storia al di fuori di una scuola liceale e dentro un aula con alunni adolescenti presi avidamente da un’insegnante che tutti chiamano compagna. Un’ideologia spicciola e di convenienza per una donna che, forte del suo carisma politico (si fa per dire), sfrutta ogni minimo fastidio personale giocando con i lavori degli adulti.
Si entra in aula e si fa l’appello: la compagna MariaDrazdĕchováfa ciò che gli compete ma in più chiede ad ogni singolo allievo la professione dei genitori, La signora (vedova) appunta ogni minima cosa e con dovizia cerca di capire qualcosa in più oltre al lavoro. I servigi a lei fanno molto comodo: la spesa, la manutenzione della lavatrice, la buona amicizia piena di convenevoli e certamente il sano aiuto. Siamo nella Bratislava del 1983 e la professione della compagna va oltre il dovere (politico) per saper prendere anche il piacere (personale). Il posto di rilievo nel partito (di regime) e la buona disposizione a essere generosa con chi da contraccambio sono un piccolo toccasana per una donna severa e dispotica, gagliarda e ringhiosa.
Lo specchietto delle allodole per l’insegnante sono solo il suo 'salvataggio domestico' e il suo 'tornaconto privato'. Uso e riuso misero delle cose spicciole mentre l’ideologia è sempre fuori e ogni buon gioco servile per la causa si lascia dentro l’uscio di casa propria. Miserevole metafora di un partito rosso che cade rovinosamente e il suo potere è solo minimo e disdicevole. L’avanzata sociale e l’accondiscendere servile al regime è barlume spento: la professoressa inquadrata nei piedi da dietro col suo rumoreggiare delle scarpe con i tacchi (quasi con piglio da lezione moraleggiante) da il gusto a un contegno disilluso e un meschino appuntare fatti molto privati.
I carri armati di Praga e il retaggio del sessantotto sono il contraltare di un’educazione manipolante e, non solo in metafora, di voler accaparrarsi ogni piccola storia per compiacersi del giudizio di altri. Il voto dell’insegnante (come quello politico popolare) alza il tiro per mera comodità.
Il film che opera con una sincerità di fondo stenta a darci man forte per una visibilità a tutto tondo. Tutto chiaro ma il passare dei minuti rasenta la poca voglia di proseguire e quasi annoiarsi per quello che si vuole dire (tutto fila liscio o quasi anche perché lo schema doppio genitori-alunni toglie da subito ogni attesa). Racconto di parvenza dove le inquadrature sono reticenti e non vanno oltre, solo le scarpe con i tacchi che avanzano sono l’indice di un film che dovrebbe cominciare dove sta per finire. E sai già cosa potrebbe accadere.
Tutto didascalico, compitino ossequioso, nessuna forzatura, abito ben messo per mostrare il giusto. Tanto ‘Bratislava non crede alle lacrime’ (per meglio ricordare il filo rosso del film di Vladimir Men'šov del 1979) e chi ha il martello in mano domina la scena con miserevoli comandi. Firme e assemblee, adulti e adolescenti aspettano giusto vivere. Linguaggio inscenato, famiglie divise, padri nudi e ombre sulla meschina città. Una pellicola per nulla ansimante ma solo pittorica-mente (ar)rossa(ta) e quasi tenuamente esile.
Zuzana Maurery (Maria) riesce a reggere il personaggio senza strafare; regia di Jan Hrebejk ordinaria e senza guizzi.
Voto: 6+/10.
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