Sully

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Per un pugno di simulazioni Valutazione 4 stelle su cinque

di GabryKeegan


Feedback: 3108 | altri commenti e recensioni di GabryKeegan
giovedė 15 dicembre 2016

Il Clint Eastwood degli anni 2000 ci ha ormai abituato a film imponenti come regista e anche questa volta non tradisce le aspettative. Per una storia vera, l’ottantaseienne pluripremio Oscar non poteva che scegliere uno alla sua altezza per ricoprire il ruolo di protagonista. Tom Hanks conduce con la solita maestria un film che tiene lo spettatore interessato per tutti i 96 minuti. Grazie alla professionalità e alla cura del dettaglio nella sceneggiatura e nel montaggio, la trama scorre senza pause troppo lunghe e senza che ci sia mai la sensazione di voler mandare avanti velocemente. D’altronde, quando le vicende raccontate sono successe veramente, bisogna essere bravi a non romanzare troppo e allo stesso tempo a non finire nelle pellicole di stampo documentaristico. La prima parte impregnata di gergo da piloti d’aereo segue il filone degli ultimi tempi, dove film come La grande scommessa o Deepwater ci hanno già allenato all’ultima tendenza di Hollywood: riempire i dialoghi di termini tecnici, per essere più accurati possibili nel racconto ma anche rendendo più difficilmente fruibile al grande pubblico gli avvenimenti in cui i problemi possono essere capiti fino in fondo solo dagli addetti ai lavori. Quasi per contrastare le troppe esplosioni e i troppi effetti speciali dei film di supereroi, di maghi e guerre spaziali. Le cose concrete prendono così forma attraverso le parole dei personaggi e attraverso spiegazioni di atteggiamenti e situazioni sconosciute alla maggior parte delle persone. Se le storie della crisi economica e della piattaforma petrolifera erano un po’ più complesse dal punto di vista della sceneggiatura, Eastwood non rinuncia a spezzare il ritmo dei discorsi con allucinazioni, flashback, volti impauriti e soprattutto con le scene dell’avvenimento principale, cioè l’incidente aereo. È così che lo spettatore si ritrova immerso dapprima nella testa confusa dei superstiti, poi nelle carte processuali – assicurazione e compagnia aerea reputano pericolosa la scelta del comandante – e poi direttamente nel cielo e nell’acqua di una New York bella, fredda ma anche efficiente e ormai pronta a risolvere velocemente emergenze apparentemente catastrofiche. Un intreccio perfetto per stare sempre allineati con le sensazioni del protagonista, a discapito di un ordine cronologico un po’ sballato, ma che alla fine completa il puzzle ben architettato. Sembra quasi impossibile che un uomo che con esperienza e coraggio ha salvato se stesso e gli altri da una morte praticamente certa possa essere messo sotto accusa proprio per la scelta che ha determinato la loro sopravvivenza. Il lato umano non ha però valore quando ci sono di mezzo i soldi e le compagnie assicurative, che con ogni mezzo e tecnologia cercano di dimostrare l’errore dell’esperto pilota. È quindi una continua lotta tra un uomo che da 42 anni sa manovrare con maestria gli uccelli di metallo e un consiglio che tramite computer e simulazioni cerca di dimostrare quanto sia stato pericoloso atterrare sulla superficie liquida. Un ottimo Aaron Eckhart fa da spalla a Hanks in questo continuo ping pong tra una città che vede solo il lieto fine e un ristretto concilio di persone che analizzano ipotesi su ipotesi sul “sarebbe potuta andare meglio”. Tra le decine di complimenti di sconosciuti e l’affetto della gente, Sully si ritrova a difendere se stesso e le sue scelte, nonostante abbia risolto brillantemente una situazione più unica che rara nella storia dei viaggi aerei. Ancora una volta il regista californiano punge con una critica all’America più razionale e un elogio al coraggio e alla generosità del suo popolo, alle scelte eroiche di uno dei suoi concittadini, a dispetto di regole e schemi prefissati. Perché “quando un uomo con la bandiera americana nel cuore incontra un uomo con i numeri in testa, quello con i numeri in testa è un uomo morto.”

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