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Pepa San Martín: «Non stiamo dando ai nostri figli il diritto di vivere la diversità»

Intervista con la regista di Rara - Una strana famiglia. Dal 13 ottobre in sala.
di Tirza Bonifazi

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In foto la regista Pepa San Martín durante il Giffoni Film Festival.
domenica 2 ottobre 2016 - Incontri

"Non stiamo dando ai nostri figli il diritto di vivere la diversità". Quando Pepa San Martín parla, colpisce dritto al cuore della questione. I bambini, i diritti dei piccoli, sono il punto focale dell'interesse della cineasta cilena.

La regista ha scelto lo sguardo di una tredicenne per raccontare la storia di una famiglia omoparentale.
Tirza Bonifazi

L'abbiamo raggiunta in Cile pochi giorni dopo che la sua opera prima, Rara - Una strana famiglia, che sarà mostrato in anteprima su MYMOVIESLIVE! il 7 ottobre e uscirà al cinema dal 13 ottobre, ottenesse due riconoscimenti importanti - il premio Orizzonti Latini e il Sebastiane Latino - al Festival di San Sebastián.


In foto la regista Pepa San Martín insieme alla giovane protagonista Julia Lübbert, durante il photocall del Giffoni Film Festival.
In foto la giovane protagonista Julia Lübbert, durante il photocall del Giffoni Film Festival.
La regista Pepa San Martín insieme a Mariana Loyola e Julia Lübbert al Festival di Berlino 2016.

Rara - Una strana famiglia è ispirata alla storia (vera) della giudice Karen Atala alla quale nel 2004 la corte suprema cilena tolse la custodia delle figlie in virtù del suo orientamento sessuale. Dodici anni più tardi la corte interamericana dei diritti umani condannò lo stato cileno stabilendo che aveva discriminato Atala perché omosessuale, ridandole il diritto di essere madre.
"I giornali scrissero che la giudice lesbica aveva vinto, ma io ricordo che mi chiesi se davvero avesse vinto lei dopo che per dodici anni le avevano tolto il diritto di crescere le figlie. No, lei aveva perso. Semmai, a vincere era stata la società cilena, ma non lei. Il caso di Karen Atala mi commosse. All'epoca non sapevo che sarebbe diventato il soggetto del mio primo film, sapevo soltanto che era un tema del quale volevo parlare. Il suo caso è stato l'incipit, il calcio d'inizio di una storia che ho iniziato a creare e che è finita per diventare Rara".

Il film tratta un tema attualissimo, con tutte le marce che si stanno facendo nel mondo in favore e contro i diritti delle famiglie omoparentali.
"Sì, è in corso un cambiamento, qualcosa che non avviene da un giorno all'altro. Ed è qui che entra in gioco la responsabilità dei cittadini. Le leggi vengono fatte in stanze, ma si vivono in strada. Noi siamo responsabili di umanizzare queste leggi e in questo senso il cinema è un'arma potente e si sta riprendendo questo potere. Non è una coincidenza che la maggior parte dei film latinoamericani in questo momento si stiano ispirando a fatti reali. È evidente che il cinema sta riprendendo una linea politica e lo trovo molto interessante".

Perché hai scelto di raccontare questa storia attraverso lo sguardo di una bambina?
"Una delle sfide che ci eravamo posti con questo film era arrivare alle persone che non fossero a favore dei diritti degli omosessuali e delle unioni gay. E se c'è qualcosa di cui sono convinta è che noi adulti cambiamo grazie ai bambini e per i bambini. Per questo è Sara a raccontare questa storia. Qui non si parla solo di diritti delle famiglie omoparentali, ma anche dei più piccoli. Che al giorno d'oggi un bambino non abbia il diritto legale di avere un rapporto stabilito e tutelato dallo Stato con le madri o i padri è contro i suoi propri diritti. Anche se non c'è una legge del matrimonio egualitario, questi bambini già esistono, stanno andando a scuola, giocano nelle piazze, nelle strade, ed è a loro che si sta negando la possibilità di avere una relazione legale con i genitori. Non è possibile che se io ho un figlio con la mia compagna - un figlio che ho portato in grembo - e mi succeda qualcosa, questo nostro figlio non possa rimanere con lei ma venga affidato a un mio parente che magari mio figlio neanche conosce.

Figli non riconosciuti.
"Non so in Italia, però in Cile negli anni '90 c'era la legge dei figli illegittimi: i figli che non erano riconosciuti dal padre erano considerati di seconda categoria. Oggi i figli di una famiglia omoparentale sono i nuovi figli illegittimi. Non stiamo dando ai nostri bambini il diritto di vivere la diversità. Ed è a questo che punta il mio film: non vogliamo parlare del fatto che siamo tutti uguali. Non siamo tutti uguali! E questo è il bello della società, che siamo diversi, e dobbiamo rispettarci in questa diversità. Gli omosessuali non spariranno se non vengono fatte leggi che li tutelino. Invece c'è una quantità di bambini che si sentono repressi e discriminati per avere padri omosessuali, o fratelli omosessuali. Bisognerebbe vedere le cose da un'altra prospettiva. È ora. L'umanità così com'è non serve, non ci sta facendo bene".


Una scena del film.
Una scena del film.
Una scena del film.

Come hai lavorato con questo quartetto di attrici?
"Le bambine le ho cercate a lungo. Quando finalmente le abbiamo trovate abbiamo lavorato circa cinque mesi in una sorta di laboratorio emozionale. In primo luogo abbiamo stabilito il rapporto tra loro come sorelle, ho voluto che avessero una memoria comune. Abbiamo passato molto tempo insieme, venivano a casa mia, uscivamo, andavamo a passeggio. Poi, quando sono stati inclusi i più grandi, gli adulti, abbiamo fatto la stessa cosa. Abbiamo iniziato molto lentamente questo rapporto, e mai direttamente davanti alle camere, per stabilire una relazione più emozionale tra le mamme e le figlie.
Credo che in realtà quello che abbiamo cercato di fare era non fare un film. Abbiamo giocato a fare un film. In molti mi hanno chiesto come ho fatto a fare recitare le bambine, e questo è l'interessante: i bambini non recitano, i bambini sentono. Ogni scena che hanno fatto, l'hanno sentita. Per loro in quel momento Mariana Loyola, che interpreta la madre, era davvero la madre. Ho avuto la fortuna di aver trovato attori molto forti e molto generosi che hanno permesso che l'obiettivo fosse sempre puntato sulle bambine. Tutto, dalla camera all'atmosfera, alla recitazione, era per le bambine".

Il tuo film è stato premiato alla Berlinale nella categoria Generation Kplus, una delle più importanti del festival tedesco, ed ha appena vinto il premio Orizzonti Latini a San Sebastián, dove ha ricevuto anche il Sebastiane Latino. Premi che servono perché se ne parli.
"Sono felice che si sia aperto un dialogo su questo tema. È la ricompensa di cinque anni di lavoro. È anche interessante il fatto che il film abbia ricevuto premi così distinti tra loro. A Berlino ha vinto in una categoria dedicata a un pubblico giovanissimo; Orizzonti Latini è un premio totalmente cinematografico; il Sebastiane Latino viene dato al film LGBT dell'anno. In più ha ottenuto il premio del pubblico in un festival di cinema gay, il Queer Lisboa, e abbiamo appena saputo che è stato selezionato per partecipare a uno dei maggiori festival dell'India. Praticamente i premi che stiamo ricevendo non sono determinati solo dalla tematica LGBT, perché Rara - Una strana famiglia è un film inclusivo. Io non voglio che qualcuno che è contro il matrimonio ugualitario esca dalla sala spaventato. A San Sebastián un regista venezuelano mi ha detto: 'Non sono d'accordo con il matrimonio gay, ma vengo dalla proiezione di Rara - Una strana famiglia e vado a casa con un altro sentimento, con un nuovo pensiero. Non so cos'è, so solo che hai aggiunto qualcosa alla mia visione'. Ecco, questo è quello che voglio".

Hai spesso detto che Rara - Una strana famiglia non è un film LGBT.
"Infatti, è un film per le famiglie, pieno di umorismo, caldo, dove non ci sono buoni o cattivi. Non è un film accusativo. Sappiamo che i genitori agiscono sempre secondo le regole dell'amore, che vogliono il meglio per i loro figli. Però a volte uno attraverso l'amore si sbaglia. E questo è Rara - Una strana famiglia. Ovviamente la coppia intorno alla quale gira la storia è omosessuale, ma il tema è universale. Si parla di una famiglia che si rompe. Sono cresciuta vedendo film con protagonisti eterosessuali nei quali mi vedevo riflessa. Come lesbica mi sono sempre chiesta - e in questa direzione ho lavorato in tutti i progetti che ho fatto - perché un eterosessuale non potesse vedersi riflesso in un personaggio gay. Le emozioni e i sentimenti non hanno sesso".

Aspettative sull'uscita italiana.
"Rara - Una strana famiglia è la mia opera prima, il fatto che esca in Italia è già di per sé un successo, soprattutto perché su questo tema è un paese diviso. Per me il film è come un lupo travestito da pecora. Mi rende felice il fatto che in una maniera o nell'altra possa essere un contributo per vivere meglio, in pace, e soprattutto per imparare a convivere con la diversità. In Italia il film è stato intitolato Rara - una strana famiglia. Mi piace il fatto di aver potuto riscattare questa parola, "rara". È come una pietra preziosa. È un termine che non ha la connotazione negativa di "strana". Per questo abbiamo voluto mantenere il titolo originale".


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