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Personal Shopper, un'opera che è tante cose insieme, tutte belle

Il film di Assayas è un thriller, una storia di spiriti, un film d'autore sulla comunicazione, un documento su come si può fare cinema libero, cosmopolita e cinefilo oggi. Al cinema.
di Roy Menarini

Personal Shopper

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Kristen Stewart (Kristen Jaymes Stewart) (34 anni) 9 aprile 1990, Colorado Springs (Colorado - USA) - Ariete. Interpreta Maureen nel film di Olivier Assayas Personal Shopper.
sabato 15 aprile 2017 - Focus

Ci sono film che suscitano reazioni opposte, fischi e applausi, amori incondizionati e sarcasmi aggressivi, godimenti cinefili e ostilità anti-autoriali, proprio come quelli che ha sortito Personal Shopper alla prima proiezione di Cannes 2016 e che poi si sono regolarmente ripresentati alla sua uscita internazionale. "Capolavoro o boiata pazzesca?", si è chiesto un importante mensile nostrano. Di solito, le pellicole che portano lo scontro a un tale livello sono a loro volta provocatorie, esagerate, fuori dagli schemi del buon gusto o della mezza misura, ed è quello che è sovente accaduto di fronte a cineasti come Gaspar Noé, Takashi Miike, Ciprì/Maresco, Ulrich Seidl e così via.

Diverso il caso di Olivier Assayas, che gira film permeati da un amore assoluto per i personaggi e per lo spettatore, che odia ogni forma di sarcasmo, che cerca di unire invece di distruggere le icone (anche se il finale di Irma Vep era un vero manifesto di iconoclastia, seppur creativa).
Roy Menarini

Personal Shopper - per il quale dichiariamo apertamente la militanza tra i sostenitori più convinti - irrita e svia per altri motivi. Avrebbe forse corso meno rischi, Assayas, se avesse deciso di non mostrare i fantasmi della sua ghost story, se avesse lasciato meno misteriose le identità dello spettro e dello stalker (chissà se sono la stessa persona), se non avesse lambito così da vicino i terreni del rimosso, della sessualità, dell'irrazionale nel raccontarci la sua, e forse anche se non avesse palesato in modo così impudico la propria dichiarazione d'amore cinematografico per Kristen Stewart. In questo racconto sinuoso e imprendibile, infatti, non si deve fare altro che vagare con lei, seduttrice recalcitrante, diva sempre più "off", corpo androgino e latteo al tempo stesso, attrice forse non troppo dotata tecnicamente ma tanto carismatica da farci confermare tutte le teorie sulla fotogenia, anche quando - come oggi - appaiono ferri vecchi della teoria del film e dell'incanto cinefilo.


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In foto una scena del film Personal Shopper.
In foto una scena del film Personal Shopper.
In foto una scena del film Personal Shopper.

Ma c'è di più. Assayas - come Verhoeven, che però è un cineasta misantropo, quindi il suo opposto - lavora da anni a una sua versione autoriale e non hollywoodiana della globalizzazione. Così come i supereroi della Marvel e i forzuti dell'automobile di Fast & Furious girano tutto il mondo per accontentare lo spettatore globalizzato e tutti i finanziatori del mercato contemporaneo, Assayas fa viaggiare (come in Boarding gate e Demonlover) la sua protagonista tra Francia, Gran Bretagna, Oman, su treni, aerei, taxi, motorini, in un incessante détour che schianta ogni pericoloso conservatorismo "glocal". Anch'egli, come il connazionale Arnaud Desplechin, ha bisogno di un mappamondo esteso e di un vocabolario cinefilo amplissimo, che non prevede gerarchie per il semplice fatto che non viene esibito ma viene piuttosto usato per la grammatica (non è una enciclopedia, insomma).

I generi, in questo senso, sono riguadagnati alla loro funzione primaria (fare paura, fare piangere, far restare in tensione), ma liberati dal contesto di fruizione industriale in cui siamo abituati a ritrovarli. Del resto, anche i generi in fondo sono ormai dei fantasmi della Hollywood contemporanea, interessata a enormi contenitori blockbuster dove l'immaginario fantastico tutto ingoia e tutto amalgama.
Roy Menarini

Personal Shopper invece è tante cose, tutte belle: un thriller internazionale, una storia di spiriti, un film d'autore sulla comunicazione, un fashion-film su Chanel e Cartier, un'ipotesi sperimentale di divismo e celebrity straniata, una specie di documento su come si può fare cinema libero, cosmopolita e cinefilo oggi. Ancora più curiose le reazioni di rabbia, dunque, se pensiamo che Personal Shopper è un film privo di qualsiasi decostruzione narrativa, totalmente guidato dal personaggio femminile, un film che chiede solo di abbandonarsi al racconto e alla sua intensità: basti vedere come riesce Assayas a scolpire sequenze ansiogene utilizzando solamente lo schermo di uno smartphone e i messaggi che vengono scritti sul dettaglio del display, per capire che questo regista respira e vive cinema. Con una naturalezza che nulla a che fare con l'intellettualismo di cui talvolta viene accusato. Se dovessimo indicare oggi il film perfetto per una libera educazione sentimentale al cinema, diremmo Personal Shopper.


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