flyanto
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mercoledì 5 ottobre 2016
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la miseria sociale ma soprattutto umana
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"Le Ultime Cose", ovvero gli ultimi oggetti di valore che alcune persone indigenti lasciano al banco dei pegni con la speranza di poterle riscattare in un giorno futuro costituiscono, in pratica, la trama della suddetta pellicola. Ambientata nella città di Torino, appunto presso un banco dei pegni, si intrecciano tre storie parallele: vi è il nuovo impiegato del banco, ingenuo, ancora idealista e che mal sopporta la "spietatezza", la rigidità, nonchè, a volte, anche un certo comportamento "disonesto" di alcuni colleghi nel corso delle varie transazioni, vi è un transessuale che, in seguito alla fine di una relazione sentimentale importante, ritorna nella sua città natale ed è costretto ad impegnare la sua preziosa pelliccia ed, infine, un anziano pensionato il quale, al fine di poter comprare un apparecchio acustico al piccolo nipote, richiede a dei loschi figuri la somma necessaria e per riscattare il proprio debito deve affiliarsi a loro nelle poco oneste operazioni di riscatto monetario.
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"Le Ultime Cose", ovvero gli ultimi oggetti di valore che alcune persone indigenti lasciano al banco dei pegni con la speranza di poterle riscattare in un giorno futuro costituiscono, in pratica, la trama della suddetta pellicola. Ambientata nella città di Torino, appunto presso un banco dei pegni, si intrecciano tre storie parallele: vi è il nuovo impiegato del banco, ingenuo, ancora idealista e che mal sopporta la "spietatezza", la rigidità, nonchè, a volte, anche un certo comportamento "disonesto" di alcuni colleghi nel corso delle varie transazioni, vi è un transessuale che, in seguito alla fine di una relazione sentimentale importante, ritorna nella sua città natale ed è costretto ad impegnare la sua preziosa pelliccia ed, infine, un anziano pensionato il quale, al fine di poter comprare un apparecchio acustico al piccolo nipote, richiede a dei loschi figuri la somma necessaria e per riscattare il proprio debito deve affiliarsi a loro nelle poco oneste operazioni di riscatto monetario.
Un film assai crudo, girato dall' esordiente (ma quanto mai già valida) regista Irene Dionisio come fosse quasi un documentario, in cui viene affrontato il triste e delicato tema dello stato d' indigenza in cui al giorno d'oggi si vengono a trovare alcune persone. La crisi economica e la precarietà del lavoro inducono svariati individui a dover far fronte all'umiliante azione di impegnare alcuni loro oggetti di valore, anche e soprattutto affettivo, con la più probabile certezza che mai nel futuro potranno riscattarli e le tre storie, emblematiche di questo stato di miseria, vengono dalla Dionisio presentate in maniera assai esemplare, lucida e, purtroppo, quanto mai vera. Un film prodotto sicuramente con un basso budget ma non per questo privo di un certo valore in quanto, come opera prima, esauriente in ogni sua parte e soprattutto ben esplicativo e senza alcuna sbavatura. Certamente, nel suo complesso, la pellicola non risulta affatto allegra bensì ben rappresentante un certo stato economico che, purtroppo, ai giorni nostri è divenuto ampiamente diffuso tra le persone.
Un piccolo gioiello e, pertanto, esempio di buon cinema.
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maurizio meres
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venerdì 14 ottobre 2016
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gli ultimi ricordi
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In un neorealismo in chiave moderna,ma con una tematica d'indigenza fortemente uguale al dopo guerra,il regista mette in evidenza tutto ciò che la povertà,in un mondo egoistico,indifferente è sempre pronto ad approfittare del più debole,spinge l'essere umano al solo scopo di sopravvivere.
Il film è di un realistico che difficilmente trova simili ,bisogna tornare indietro nel tempo per vedere situazioni simili rappresentate cinematograficamente,il bravissimo Dionisio coglie ogni attimo espressivo di sofferenza,i personaggi sono tutti veri,ogni situazione è un dramma,la vita crudele dove in un attimo cambia tutto,ritrovarsi senza nulla,l'umiliazione,sono tutti stati d'animo che spingono le persone all'auto distruzione mentale in una vita sociale che diventa una vera e propria guerra tra poveri,in una dimensione umana relegata ai margini,dove le speranze sono solo attimi,il pegno è una truffa autorizzata perché tutti sono consapevoli che il più delle volte non sarà più ripreso dai veri proprietari,i quali saranno privati per sempre di un ricordo.
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In un neorealismo in chiave moderna,ma con una tematica d'indigenza fortemente uguale al dopo guerra,il regista mette in evidenza tutto ciò che la povertà,in un mondo egoistico,indifferente è sempre pronto ad approfittare del più debole,spinge l'essere umano al solo scopo di sopravvivere.
Il film è di un realistico che difficilmente trova simili ,bisogna tornare indietro nel tempo per vedere situazioni simili rappresentate cinematograficamente,il bravissimo Dionisio coglie ogni attimo espressivo di sofferenza,i personaggi sono tutti veri,ogni situazione è un dramma,la vita crudele dove in un attimo cambia tutto,ritrovarsi senza nulla,l'umiliazione,sono tutti stati d'animo che spingono le persone all'auto distruzione mentale in una vita sociale che diventa una vera e propria guerra tra poveri,in una dimensione umana relegata ai margini,dove le speranze sono solo attimi,il pegno è una truffa autorizzata perché tutti sono consapevoli che il più delle volte non sarà più ripreso dai veri proprietari,i quali saranno privati per sempre di un ricordo.
Strutturalmente è un film semplice,girato in presa diretta,dove la naturalezza dei gesti,la vita quotidiana dei vari personaggi è interpretata magistralmente da attori bravissimi,entrati mentalmente e con la consapevolezza dei drammi esistenziali che interpretavano.
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domenica 18 dicembre 2016
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una metafora sul popolo dell'abisso
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Pur con l’esperienza e lo sguardo asciutto da documentarista la regista, esordiente, rappresenta una metafora del mondo in cui viviamo o forse del mondo come è sempre stato: il Banco dei pegni di Torino diventa il luogo di confine tra chi sta scivolando nell’abisso, aggrappandosi alla speranza di poter risalire, di poter riconquistare la dignità perduta, riscattando i simboli di una vita che non c’è più, e chi sfrutta cinicamente o con indifferenza questa speranza, lucrando quanto più è possibile.
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Pur con l’esperienza e lo sguardo asciutto da documentarista la regista, esordiente, rappresenta una metafora del mondo in cui viviamo o forse del mondo come è sempre stato: il Banco dei pegni di Torino diventa il luogo di confine tra chi sta scivolando nell’abisso, aggrappandosi alla speranza di poter risalire, di poter riconquistare la dignità perduta, riscattando i simboli di una vita che non c’è più, e chi sfrutta cinicamente o con indifferenza questa speranza, lucrando quanto più è possibile.Nel film c’è il popolo dell’abisso: chi vorrebbe impegnare il suo dente d’oro, l’anziana che raccoglie gli avanzi del mercato. Poi ci sono quelli che non sanno di essere già precipitati: il pensionato, di cui si intuisce un passato di lavoro onesto e dignitoso, che per aiutare la figlia entra con riluttanza nel mondo del piccolo malaffare e il cuore, letteralmente, gli si spezza. La transessuale, senza appartenenze, che non ha più radici né affetti, che sembra non avere un luogo dove stare, neanche nel suo corpo, e che resta sospesa in questo vuoto. Il Banco dei pegni, come qualunque luogo di confine, ha il suo cancello, che si apre ogni mattina per accogliere i disperati, e i suoi custodi, i periti, uno anziano disonesto e cinico ed uno giovane che vorrebbe portare un po' di umanità e di giustizia nel mondo, ma alla fine cederà al ruolo che gli è stato assegnato.Poi come una galassia lontana, a tratti, compare il mondo delle aste, degli appassionati di “oggetti” che non sanno e non vogliono sapere quali drammi si nascondono dietro ciò che comprano, probabilmente sono persone colte, leggono e vanno anche al cinema, ma sono sostanzialmente indifferenti agli sguardi degli altri. Un film che tocca il cuore, che probabilmente non toccherà quello degli appassionati di “oggetti”, o quelli che cercano trame intricate, azione o divertimento. La regista, con il suo film d’esordio, mostra un suo stile e un modo di raccontare minimalista, nel solco della tradizione neo-realista, dove gli sguardi, i silenzi e i piccoli gesti sono i suoi tratti essenziali. Ottima opera prima, bravi gli attori, poco famosi, ben diretti.
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