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La suspense del quotidiano

Con La ragazza senza nome I fratelli Dardenne mettono in scena un'indagine su un microcosmo metafora della nostra Europa.
di Roy Menarini

La ragazza senza nome

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domenica 30 ottobre 2016 - Focus

In passato i fratelli Dardenne hanno costruito i loro film su una sorta di suspense del quotidiano. Nessun thriller, nessun delitto, niente inseguimenti. Piuttosto una tensione costante che sale lentamente, suscitata dalla situazione di protagonisti via via sempre più in difficoltà, col tempo che (li) stringe e il mondo (del lavoro, della famiglia, della comunità) che si frantuma davanti ai loro occhi. Il penultimo Due giorni, una notte era in questo senso esemplare, con quelle poche ore a disposizione del personaggio principale - interpretato da Marion Cotillard - per salvare il proprio posto di lavoro.
Quindi non deve stupire troppo se i modelli del "giallo" o comunque quelli dell'indagine su una morte misteriosa irrompono nel cinema dei Dardenne con La ragazza senza nome. Non solo la dinamica era già presente nei loro precedenti film, ma qui si declina in maniera persino più naturale all'interno di un universo totalmente privo di spettacolarizzazioni, e anzi quotidiano, severo e spoglio quant'altri mai.
Più va avanti la loro filmografia, più evidentemente i fratelli Dardenne semplificano il cinema. Una dottoressa, una morte dolorosa, un ambulatorio, pochi interni, facce quotidiane consumate da acciacchi e problemi sociali. L'indagine, dunque, non è tanto sul colpevole quanto su un microcosmo che è metafora della nostra Europa vecchia e malata. A farne le spese, come una sorta di popolo sotterraneo e invisibile (e infatti il volto della morta - la ragazza senza nome del titolo - è sempre e solo visto attraverso un frame della telecamera di sorveglianza), è una umanità che abita letteralmente i margini.

Film di ingegno sottilissimo, La ragazza senza nome mette in gioco temi e intrecci complessi, singole psicologie e analisi sociali, senza mai eccedere in astrazioni e teorie, lavorando secondo il consueto metodo del pedinamento della protagonista.
Roy Menarini

I due registi sono troppo intelligenti per fornire un racconto esemplare e predicatorio. Non rappresentanto l'epopea dei poveri schiacciati da una metropoli di indifferenti. A venire sezionata - auscultata, diremmo, vista la professione della protagonista - è invece la provincia belga, parte per il tutto di un enorme hinterland europeo occidentale, quello che (ormai depoliticizzato, lasciato a se stesso e socialmente informe) oggi vota partiti xenofobi o cerca di separarsi dal resto del Continente sbarrando le porte. I Dardenne ci mostrano un mondo che non è composto da teste rasate o reietti frustrati, quanto da gente comune, acciaccata, anziana, stanca, impaurita, abbandonata, priva di riferimenti comunitari e collettivi, imprigionata in appartamenti angusti che si affacciano su mediocri stradoni ideati da urbanisti cinici.


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