Il ritratto negato

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Wajda, molto più di un testamento

di Fabio Ferzetti L'Espresso

Una giovane pittrice arriva con tele e cavalletto su una collina affollata di artisti al lavoro. Cerca il professor Strzeminski, grande pittore e mutilato di guerra che in quel momento, ritto sulle stampelle (gli mancano una gamba e mezzo braccio), si trova con alcuni allievi in uno dei punti più alti di quel luogo idilliaco. Riconosciuta la giovane, l'artista le fa un cenno come per dire "arrivo". E in effetti, un momento dopo, eccolo lasciarsi rotolare fino a lei sul fianco erboso della collina, imitato dagli allievi in uno slancio di amor pànico che ci dice tutto di Wladyslaw Strzeminski, del suo coraggio, del suo rapporto con l'arte. Poco dopo lo ritroviamo davanti a una tela vergine nel suo studio di Lodz quando di colpo tela e atelier si tingono di rosso. È un enorme ritratto di Stalin, issato sulla facciata a coprire le finestre (è il 1948, la stalinizzazione della Polonia prende il volo). Un attimo, e Strzeminski squarcia il telo con la stampella, riportando la luce nell'atelier ma firmando anche la sua condanna. Il resto del film, l'ultimo di uno dei più grandi registi europei del dopoguerra, non fa che confermare quanto anticipato da queste due scene magistrali. Con una forza, un rigore, un'insistenza così martellante e priva di speranza da fare di "Il ritratto negato" qualcosa più di un film-testamento. Un monito. Un omaggio che dietro la figura storica di Strzeminski, già sodale di Chagall, Malevic e Rodcenko, poi annientato per non essersi piegato al realismo socialista, sa quasi di autobiografia. Una via crucis evocata con tutta la durezza di cui Wajda, morto a 90 anni nell' ottobre 2016, era specialista (bastano i titoli: "Cenere e diamanti", "Senza anestesia", "L'uomo di marmo", "L'uomo di ferro"...). Per mettere a fuoco un combattente che vive per l'arte, tanto da rifiutare l'amore di una studentessa e non fare nulla per evitare alla figlia l'orfanotrofio. Ma capace di un gesto estremo per la moglie, Katarzyna Kobra, qui volutamente invisibile ma protagonista con lui di un irripetibile sodalizio artistico, che è uno dei momenti più alti di questo film visivamente raggelato ma pieno di fuoco. Cenere e diamanti, ancora una volta. Come succedeva quando i film potevano prendersi il lusso di non smussare, non spiegare, non illustrare. Tanto, dice Strzeminski, «in arte o in amore potete dare solo ciò che già avete».
Da L'Espresso, 14 luglio 2019


di Fabio Ferzetti, 14 luglio 2019

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