Café Society

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nostalgia di epoche e amori lontani Valutazione 3 stelle su cinque

di vanessa zarastro


Feedback: 34043 | altri commenti e recensioni di vanessa zarastro
mercoledì 5 ottobre 2016

La contrapposizione New York-California è sempre un tema avvincente per Woody Allen fin dai tempi di Annie Hall del 1977. Un altro elemento che stimola le fantasie di Allen è il periodo del New Deal, quello della seconda metà degli anni Trenta, di ripresa economica dopo la Grande Crisi. Il mito di Hollywood e della celebrity culture, attrae molta popolazione che sogna il successo, anche se non è ben chiaro in che campo si voglia emergere. Hollywood è il “luogo” della ricchezza per antonomasia, mitopoietico e costruttore dello star system. Così anche il giovane Bobby Dorfman (un bravissimo Jessie Eisenberg) cresciuto in una modesta famiglia ebrea nel Bronx, sbarca a Los Angeles a cercare fortuna per non proseguire il lavoro del padre (artigiano orafo) né quello del fratello Ben – implicato con bande gangster. A fare cosa? Bobby non lo sa. Lì ha lo zio Phil (il fratello della madre) che ha avuto successo come agente dei divi e va da lui a chiedere lavoro, uno qualsiasi. Così, passo dopo passo, da fattorino personale dello zio passa a essere lettore di sceneggiature, fino a che si trova innamorato di Vonnie (una deliziosa KristenJ Stewart) una dolcissima ragazza che è la segretaria dello zio,  e con cui passerà molto tempo. Purtroppo la ragazza ha un fidanzato di cui si sa poco, forse un giornalista sempre in viaggio perché non ha molto tempo da passare con Vonny, e solo a metà film Bobby capirà che la sua dolce fanciulla è l’amante di suo zio che, a sua volta, lascerà moglie e figli per sposarla.
Deluso in generale dell’ambiente californiano e, in particolare, per la sua decisione di preferirgli lo zio, Bob ritorna a New York, dove lavorerà come direttore nel night club, appena aperto dal fratello Ben con altri loschi amici.
Lì miete successi, trasforma il locale in un Café Society di grande successo che attrae tutti i VIP dagli attori ai politici, dai nobili europei al mondo della moda.
Bobby conoscerà lì Veronica, una giovane attraente con cui intreccia una relazione e, una volta rimasta incinta, la sposerà. Ma il suo cuore è rimasto legato a Vonny che poi rincontrerà nel suo locale al braccio dello zio.
Attorno a questa vicenda, come sempre Woody Allen costruisce mini-storie. Il fratello Ben, diventato un vero e proprio criminale, finirà processato e giustiziato per omicidio oltre a truffe, associazione per delinquere e quant’altro.
I genitori sempre in polemica tra loro sono divisi tra l’ammirazione per chi ha successo (il fratello di lei Phil o il figlio) e chi, al contrario, si comporta da bravo e onesto ebreo.
La sorella di Bob ha sposato un mite intellettuale, un po’ sognatore, che spera di poter cambiare le persone con il dialogo e non con la violenza come fa suo cognato.
Fotografata in modo magistrale da Vittorio Storaro, la prima parte del film presenta una carrellate di ville da favola, non tanto quelle degli attori sfarzose ma convenzionali, quanto quella ricca ma più minimalista della scena iniziale al bordo della piscina, che è un incrocio tra un progetto di Richard Neutra e un altro di Richard Meyer. La prima metà del film è avvincente e anche divertente, man mano dopo il rientro di Bob a New York la tensione e il ritmo calano, l’insistere sui sentimenti della malinconia e del rimpianto per le scelte affettive sbagliate, alla lunga si rivela un po’ noioso. “La vita è una commedia scritta da un sadico commediografo” - fa dire al suo avatar Bobby.
Comunque Café Society è un film decisamente migliore agli ultimi fatti da Allen (Midnight in Paris, 2011, To Rome with Love, 2012, Magic in the Moonlight, 2014, Irrational Man, 2015); si vede che di nuovo a New York lo riporta nel suo ambiente naturale.

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