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Una storia sbagliata, la guerra è il rumore di fondo delle nostre giornate

Intervista al regista Gianluca Maria Tavarelli.
di Chiara Renda

In foto il cast del film: da sinistra Mehdi Dehbi, Isabella Ragonese, il regista Gianluca Maria Tavarelli e Francesco Scianna.
Gianluca Maria Tavarelli (59 anni) 27 settembre 1964, Torino (Italia) - Bilancia. Regista del film Una storia sbagliata.

giovedì 28 maggio 2015 - Incontri

Stefania e Roberto vivono una storia d'amore coniugale serena fino a quando le continue ripartenze di lui per missioni militari all'estero non iniziano ad incrinarla. Ora Stefania, infermiera pediatrica, decide di recarsi in Iraq con una missione umanitaria. Lo scopo dell'equipe medica è quello di intervenire su bambini affetti dal labbro leporino sollevandoli così dallo stato di pesante emarginazione in cui le loro comunità li hanno relegati. Quello di Stefania è però soprattutto un altro: trovare chi ha aiutato un kamikaze che portato morte e distruzione e, possibilmente, arrivare ai suoi familiari.
Il film Una storia sbagliata, distribuito da Palomar, uscirà nelle sale da giovedì 4 giugno e sarà presentato in streaming nella nuova sala di 10.000 posti su Nuovo Cinema Repubblica lunedì 1 giugno. Il regista Gianluca Maria Tavarelli (Non prendere impegni stasera, Le cose che restano, Il giovane Montalbano) rivela le fasi della realizzazione del film, dall'idea iniziale alla scelta degli attori.

Come è nata l'idea del film? Perché hai scelto di confrontarti con l'argomento della guerra dal punto di vista di chi resta?
Mai come in quest'epoca la guerra è il rumore di fondo delle nostre giornate. La guerra è ormai una costante sulle pagine di qualsiasi quotidiano. La guerra ormai è ovunque. Lontano da casa e vicino a casa.
Mi piaceva l'idea di partire da una storia d'amore, una storia come tante e vedere come questa storia si intrecciasse con la Storia con la S maiuscola, quella che leggiamo sui giornali tutti i giorni, che studieremo sui libri di storia. Come il privato e il pubblico vengano a fondersi. Come si possa annullare la distanza tra ciò che leggiamo nelle pagine di politica internazionale e la nostra tranquilla vita. Come si possa prendere in mano la propria vita guardando in faccia il dolore che ci affligge. Come la nostra vita possa fare un cortocircuito con quella di persone che vivono molto lontano da noi.

Perché hai scelto una protagonista donna e, in particolare, perché proprio Isabella Ragonese?
Volevo raccontare una storia dalla parte di chi resta, di chi deve ricostruire, se stesso e ciò che gli è crollato intorno. E le donne storicamente mi sembrano quelle che ricostruiscono, che preservano, che vanno avanti. Che devono andare avanti. Quasi fosse un imperativo naturale.
La scelta di Isabella è stata immediata. Ho pensato a lei nello stesso momento in cui ho pensato al film. Un po' perché è siciliana e trovo giusto scegliere attori che provengano dal territorio che ci si accinge a raccontare. Un po' perchè mi piace molto la sua "normalità", credo a lei qualsiasi cosa faccia. È molto bella e allo stesso tempo è molto normale. E questa mi sembra una caratteristica ottima per un attrice.

Come avete lavorato alla sceneggiatura? È stato difficile "calarsi nella mente" di una donna?
Il film, lo abbiamo avuto più o meno chiaro sin da subito. Le difficoltà più grosse le abbiamo trovate, dato l'argomento molto delicato, nel mantenere un'equidistanza da tutto ciò che il film racconta. Abbiamo cercato di restare imparziali, di fare in modo che il film fosse solo uno strumento per guardare meglio una realtà di cui sentiamo parlare ogni giorno e di cui sappiamo poco. Una grossa parte del lavoro è stato quello di documentazione. Nel 2010, mentre ancora c'era la guerra, siamo stati in Iraq al seguito di una missione umanitaria "Emergenza Sorrisi". E grazie a questo viaggio abbiamo potuto avvicinarci a questa storia partendo da una base di realtà. Abbiamo potuto raccontare ciò che avevamo visto con i nostri occhi.
Credo che quando si sceglie di raccontare un personaggio è perché, in qualche modo, lo si ha chiaro in testa, e questo indipendentemente dal sesso.

In che modo si sono svolte le riprese? Dove avete girato?
Abbiamo girato al sud della Tunisia, a Nefta, a pochi chilometri dal confine con l'Algeria. Avremmo dovuto girare realmente in Iraq, dove grazie ad "Emergenza sorrisi" l'associazione umanitaria che opera là da anni, avevamo avuto facilitazioni ed assicurazioni rispetto al nostro lavoro. Sfortunatamente pochi giorni prima della nostra partenza la situazione politica cambiò rapidamente e non ci diedero più il permesso di andare.
Siamo partiti con una piccola troupe italiana che si è appoggiata là a personale del posto e tutti insieme, tunisini e italiani, mussulmani e non, abbiamo raccontato questa storia.

Qual è il tuo approccio con gli attori? Preferisci che seguano un copione o ami l'improvvisazione?
Riguardo agli attori faccio mia una frase di Woody Allen che dice che gli attori li sceglie bravi perchè in questo modo non ha bisogno di dirgli nulla. Io un po' faccio lo stesso! Collaboro molto con loro. Anche se non sono uno che improvvisa sul set. Restiamo abbastanza fedeli alla sceneggiatura, ma su di essa lavoriamo insieme. Mi piace che ogni attore porti nel film il suo bagaglio, il suo vissuto, la sua interpretazione della vicenda e anche una sua visione del personaggio.

Preferisci lavorare per la televisione o per il cinema? Ci sono differenze di metodo?
Non considero il cinema un lavoro. Faccio un film solo quando ho una storia che vorrei raccontare. Per questo ci possono anche volere anni tra un film e l'altro. La Tv invece è un lavoro, ma il mio approccio è lo stesso. Racconto solo storie che penso che vadano raccontate, faccio solo cose nelle quali mi sento coinvolto e nelle quali credo e so di poter dare il massimo. L'approccio al lavoro, sia che sia un film o che sia una serie tv per me è lo stesso. Parto dal punto di vista che il rispetto per il pubblico sia fondamentale.

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