L'angelo della morte

 Un sequel, diretto da Tom Harper, di The woman in black, in cui il preambolo, ambientato durante la guerra nella Londra bombardata dai tedeschi, scenograficamente resa in modo realistico, dal punto di vista estetico è la parte migliore del film, che per il resto è asfitticamente girato quasi tutto nelle tenebre di una vecchia villa diroccata circondata da un paesaggio perennemente plumbeo e nebbioso, ideale location per una classica ghost story dalle atmosfere gotiche.
Il plot, basato su uno psicodramma paranormale, ricorda altri film, The Orphanage e 1921-Il mistero di Rookford, in cui la simultanea presenza di bambini privi di genitori, simbolo di un passato traumatico, e di eventi soprannaturali, rappresenta una miscela esplosiva dalla quale si sprigionano forze catartiche in grado di far emergere, portando alla luce della coscienza e risolvendolo il conflitto interiore sepolto nella psiche che tormenta la protagonista.
Ciò che manca in questo film sono le pause. La suspense ricercata in ogni sequenza, spesso ottenuta con artifizi banali e già ampiamente sfruttati nella filmografia di genere, come le bambole ed i pupazzi che si animano di notte, gli scricchiolii ed i rumori misteriosi provenienti dall’immancabile scantinato, e soprattutto con l’aiuto della penombra o addirittura del buio pesto, finisce per essere sovrabbondante e così la tensione alla lunga non regge; anche le scene che dovrebbero risultare più terrorizzanti si diluiscono nel mare magnum delle sequenze orrorifiche, che si susseguono l’un l’altra senza soluzione di continuità, rendendo in tal modo normale ciò che dovrebbe invece irrompere improvvisamente nel quotidiano destando spavento.