Titolo originale | The Russian Woodpecker |
Anno | 2015 |
Genere | Documentario, Guerra, |
Produzione | Ucraina, Gran Bretagna, USA |
Durata | 82 minuti |
Regia di | Chad Gracia |
Attori | Andrei Alexandrovich, Fedor Alexandrovich, Igor Alexandrovich, Natalia Barabovskaya Andrei Bilyk, Fedor Chebanenko, Charlie D'Agata, Anatoly Duatlov, Fedor Dubrovka, Boris Gorbachev, Mikhail Gorbachev, Viktor Janoekovytsj, Vitali Klytsjko, Vladimir Komarov, Georgy Kopchinski, Svetlana Korotkova, Nikolai Kravchuk, Andrew Michtrowski, Vladimir Musiets, Alexander Naumov (II), Leonid Petrov, Vladimir Putin, Vadim Prokofiev, Artem Ryzhykov, Vasily Shamshin, Yulia Shapovalova, Nikolai Shkurat, Yuriy Spizhenko, Vladimir Usatenko, Elena Yagodovskaya, Vera Yagodovskaya. |
Uscita | giovedì 7 aprile 2016 |
Tag | Da vedere 2015 |
Distribuzione | I Wonder Pictures |
MYmonetro | 3,49 su 1 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. |
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Ultimo aggiornamento mercoledì 1 giugno 2016
Nel bel mezzo della rivoluzione ucraina, Fedor porta alla luce una verità pericolosa e deve scegliere se rivelarla o meno. Il film è stato premiato a Biografilm Festival,
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CONSIGLIATO SÌ
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Durante le proteste antigovernative in Ucraina, nel gennaio 2014, il pittore e scenografo Fedor Alexandrovich rievoca il trauma vissuto da bambino a seguito dei fatti di Chernobyl (26 aprile 1986), il più grave disastro nucleare (prima di Fukushima) le cui cause furono imputate a errore umano. Convinto che non si sia trattato di un incidente, rabbioso per l'omertà tenuta dalle istituzioni all'epoca e insospettito dall'inquinamento delle prove, ipotizza che l'esplosione del reattore sia stata provocata intenzionalmente da Mosca per disattivare l'inefficiente e costosissimo radar Duga, costruito nelle vicinanze dell'impianto, voluto a scopi militari dal governo sovietico e chiuso proprio a settembre di quell'anno, quando avrebbe dovuto essere sottoposto a revisione. Addirittura individua come mandante Vasily Shamshin, ministro delle comunicazioni russo dall'80 all'89 e morto nel 2009.
Per dimostrare la sua teoria, si fa protagonista, insieme al cameraman e direttore della fotografia Artem Ryzhykov, di una rischiosa esplorazione, in cerca di conferme da parte di scienziati, di ormai anziani militari e tecnici allora in servizio e di alcuni superstiti. L'argomento principale della sua inchiesta è il russian woodpecker ("picchio russo"): un segnale costante a bassa frequenza, proveniente dalla Duga, che disturbava le trasmissioni radio ed era noto alle autorità e alla stampa di tutto il mondo, soprattutto statunitensi, fin dal 1976, anno di attivazione di quell'antenna imponente.
Nelle interviste in interni privati accordate dai pochi informati, si fa largo, analogamente a The Look of Silence di Joshua Oppenheimer, più che la negazione della teoria di Fedor (tutta da provare), la fedeltà cieca al regime, il silenzio motivato dal terrore del ricordo del KGB. Una traccia narrativa che ripiomba lo spettatore in piena Guerra fredda, in un continuum inquietante tra passato e presente (dall'Unione Sovietica all'autoritarismo liberticida dell'era Putin), il cui equivalente visuale è un sintonizzatore che si muove avanti e indietro tra le frequenze radio come il regista fa con le fasi cruciali della sua storia: la fine del regime comunista e la conseguente indipendenza dell'Ucraina, i notiziari statunitensi di diverse epoche e toni, le riprese delle manifestazioni recenti a Maidan, quelle "rubate" tramite una GoPro (nascosta persino a Fedor) gli archivi del Museo nazionale di Chernobyl e le immagini degli orrori staliniani, di cui la sua famiglia fu vittima; e poi ancora mappe, animazioni in cg, filmati propagandistici di un periodo idillico prima del disastro, in cui il regime assicurava prosperità e sicurezza al popolo, e che a quello stesso negò la verità e gli strumenti per affrontare quella catastrofe immane, i cui esiti drammatici perdurano nel silenzio anche oggi.
Il dato più interessante è la commistione di piste e approcci: l'indagine sui responsabili vira a un certo punto verso la denuncia del regime di polizia in Ucraina, con le minacce subite da Fedor e Artem, abbracciando anche una riflessione sul Paese come storica terra di conflitto tra due blocchi contrapposti e la persistenza di un disegno egemonico russo. Oltre a ciò è rappresentazione di come un artista naif - il cui profilo è costruito drammaturgicamente dai suoi 'a solo' in camera e dalle voci delle persone a lui più vicine - rielabori lo choc di quello che chiama "genocidio" e la propria giustificata paranoia. Sperimentale, fantasioso e visionario al punto da sembrare falso, felicemente ibridato col background teatrale del regista e di Fedor, autore-interprete, The Russian Woodpecker (il titolo italiano è un po' fuorviante) è ricerca audace, libertaria che a tratti riesce a trasfigurare anche la tragedia: è il caso delle riprese silenti e perturbanti, tramite droni, ma anche per mano dello stesso Fedor, che lo scala, del monstrum Duga ("creazione dell'Impero"); la ricognizione dell'area contaminata, il tappeto di maschere antigas (purtroppo inutili a evitare le radiazioni) di una scuola abbandonata in fretta, la ruota arrugginita del luna park, il palazzo dello sport deserto e pieno di macerie. Immagini che chiedono senso e si fanno monito universale a non ripetere l'atrocità. Gran premio della Giuria (World Cinema) al Sundance 2015.
E' un "documentario" un po' particolare, con qualche fantasia di troppo per essere considerato serio. Il Duga era un sistema radar a lungo raggio per rilevare eventuali attacchi missilistici, che venne destinato alla dismissione quando la sua funzione è stata sostituita da satelliti russi in orbita.