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La voce del cinema greco ai tempi della crisi

Yorgos Lanthimos, il regista di The Lobster.
di Mauro Gervasini

In foto una scena del film The Lobster.
Colin Farrell (47 anni) 31 maggio 1976, Dublino (Irlanda) - Gemelli. Interpreta David nel film di Yorgos Lanthimos The Lobster.

mercoledì 14 ottobre 2015 - Approfondimenti

Dopo qualche anno di militanza cinefila sono sempre più rari i film che riescono a farmi sobbalzare. Tra gli ultimi ricordo con una certa intensità Kynodontas, noto anche con il titolo internazionale Dogtooth, visto nel 2009 al Festival di Cannes dove vinse la sezione Un certain regard.
Del regista Yorgos Lanthimos, classe 1973, nulla sapevo, ma ricordo che il pressbook lo segnalava tra gli artefici delle cerimonie di apertura e chiusura delle Olimpiadi di Atene del 2004; mi chiedo se la cosa sia ancora riportata nel suo curriculum. Né potevo sapere che la produttrice del film, Athina Tsangari, era destinata a diventare insieme a lui la voce del cinema ellenico in tempi di crisi (il suo ultimo film da regista, il notevole Chevalier, era in concorso al Festival di Locarno 2015). Kynodontas: un padre tiranno costringe moglie e tre figli a vivere reclusi in casa, con la scusa che così non saranno contaminati. Ai ragazzi dice che un bambino può uscire solo quando avrà perso il dente canino (da qui il titolo) e nel frattempo si sviluppano nell'ambiente domestico rapporti morbosi. Un film malato anche nella messa in scena: algida, distante, volutamente opaca, con momenti di mestizia estetica inediti. Metafora forte e regia altrettanto, con l'aggiunta di elementi perturbanti che gli evitano di diventare semplicemente un "film da festival". E infatti Kynodontas si dimostra seminale, come conferma il successivo, shockante Miss Violence di Alexandros Avranas (2013).

Uno da tenere d'occhio 'sto Lanthimos, pensai chiaramente allora. Oggi con The Lobster, nelle sale italiane dal 15 ottobre dopo avere vinto il Premio della giuria a Cannes 2015, sempre sceneggiato con Efthymis Filippou ma in inglese, siamo come di fronte alla crisi del terzo film. In mezzo c'è stato Alps (2011). Quattro tizi si sostituiscono ai defunti per rendere più sopportabile il dolore dei loro cari. Qui gli stilemi del cinema d'autore, come il fuori fuoco e la macchina da presa via via più mobile, rendono l'opera più convenzionale, ma resta la potenza di una storia che non cerca empatia, e di uno sguardo che indaga lo straniamento di una società incapace di ripartire dal rapporto tra individui. Esattamente questo è il punto di (ri)partenza di The Lobster, primo titolo di Lanthimos a essere (finalmente) distribuito in Italia.

Colin Farrell, insolitamente convincente, arriva insieme ad altri nell'hotel dell'ultima spiaggia. Se qui non trova l'anima gemella dopo 45 giorni sarà trasformato in animale. Può scegliere, e lui vorrebbe essere un'aragosta, nonostante la presumibile perplessità del fratello che ha già le sembianze di un cane. Segue fuga nei boschi con gruppo di resistenti, e soprattutto con Léa Seydoux.
Un film dall'anima divisa in due: la prima, più grottesca e contemplativa, rinchiusa nell'albergo; la seconda più dinamica e en plein air, paradossalmente la più faticosa e meno controllata (il fatto che le regole dei resistenti siano inversamente proporzionali a quelle della società distopica orwelliana rende tutto il racconto programmatico). Tuttavia resta innegabile il talento del regista, capace di creare una suspense interiore e intellettuale solo riprendendo questi uomini e queste donne senza qualità, sorta di revenants in un mondo anaffettivo. La scelta di lavorare a questo giro per una produzione internazionale ha anche un altro risvolto, come se rispetto alla Grecia e al resto dell'Europa si assistesse in chiave allegorica all'espansione del dominio della crisi.

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