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Il figlio di Saul, l'orrore sullo sfondo

Il film di László Nemes Gran premio speciale della Giuria a Cannes e candidato all'Oscar come miglior film straniero e la sua particolare rappresentazione della Shoah.
di Roy Menarini

Il figlio di Saul

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Géza Röhrig (56 anni) 11 maggio 1967, Budapest (Ungheria) - Toro. Interpreta Saul Ausländer nel film di László Nemes Il figlio di Saul.
lunedì 25 gennaio 2016 - Focus

Annientare una vita umana è annientarne il corpo. Il mostruoso problema tecnico di Birkenau era costituito dal disfarsi dei corpi umani. Prima ucciderli (con camere a gas, ma anche per fucilazione o con un colpo alla testa facendoli poi cadere in una fossa comune), quindi - se il corpo era ancora integro - ridurlo in cenere attraverso un forno crematorio, poi trasportare le ceneri sulla spiaggia e infine, faticosamente, gettare queste ultime nelle acque del fiume Vistola.
Il problema morale, ben più innocuo per fortuna, del cinema dedicato alla Shoah è sempre stato quello di rappresentare l'orrore. Non è il caso di ripercorrerne il dibattito, che ha travolto anche il nostro Benigni per la sua scelta di applicare formule di commedia drammatica al suo La vita è bella o Steven Spielberg, da taluni accusato di spettacolarizzare la tragedia ebraica in Schindler's List. Lo storico dell'arte e filosofo Georges Didi-Huberman, nel suo capitale saggio "Le immagini malgrado tutto", si è chiesto in termini analitici fino a che punto si può giungere nel mostrare e studiare le immagini più orribili. Tra di esse, egli cita e studia un gruppo di fotografie scattate ad Auschwitz, sopravvissute grazie ad alcuni membri dei Sonderkommando che riuscirono, nel luglio del 1944, a salvare pochi fotogrammi.

Il problema morale del cinema dedicato alla Shoah è sempre stato quello di rappresentare l'orrore.
Roy Menarini

Ebbene il regista ungherese László Nemes non solo ha realizzato un film che propone una risposta sul "come rappresentare l'orrore" (attraverso la scelta di racchiuderlo negli angoli sfocati del campo o nel fuoricampo) ma ha citato direttamente il volume di Didi-Huberman e i famigerati scatti, mostrandoci in che momento probabilmente furono realizzati.Tutto ciò può apparire particolarmente accademico e cerebrale, eppure Il figlio di Saul opera una prassi totalmente opposta, scaraventandoci fin nelle viscere della fucina degli orrori del complesso di sterminio collocato a pochi chilometri da Cracovia, nella Polonia occupata dai nazisti - quella stessa Polonia che oggi vede riaffacciarsi i fantasmi del fascismo. Il ricorso alla camera a mano e ai piani-sequenza, l'evocazione attraverso una "parte per il tutto" dei delitti indicibili che vi si perpetravano (quasi insopportabile il saliscendi dei lamenti e delle grida emesse dalle vittime nelle camere a gas), la determinazione a rimanere per gran parte del tempo attaccato al volto robotico e inespressivo del protagonista sopraffatto, sono altrettante scelte che dimostrano un partito preso della messa in scena - per dirla con una categoria da vecchia cinefilia.


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