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Fuori concorso a Locarno, nella gionata di apertura, stupisce il salernitano Massimo Coppola, autore, regista e direttore di Rolling Stone, confermando come l’approccio della regia e di attori campani, sia sempre più interessante del resto del mondo: da Sorrentino a Garrone, da Servillo a Pietro Marcello, e Guido Lombardi, solo per citarne i più noti.
Alla sua quarta opera, Coppola presenta, in 56 minuti, un’originale versione contemporanea di Romeo e Giulietta, ambientata in un Campo nomadi di Tor de’ Cenci a Roma, con o senza Shakespeare.
Mohammed è bosniaco e mussulmano e non sa leggere. Inizia così un film il cui casting per la scelta dei protagonisti, già è sorprendente e sovrappone realtà e finzione in un melange attraente. Chi non può recitare perché non sa leggere, chi non può apparire perché mussulmano, chi perché la famiglia non lo consente, chi per regole familiari, sociali, sembra che la vita abbia la meglio sul teatro.
Trovati infine Nino e Mari, i protagonisti, entrambi appartengono davvero a due famiglie che si odiano e rappresentano due innamorati contemporanei con le tensioni di sempre, acuite da sporcizia, mancanza di cultura, vite difficili a causa di precarietà, guerra e povertà.
Qui il cinema entra in soccorso, anche sociale. Originale l’idea, bravi gli attori non professionisti, messi d’accordo da un empatico Valerio Mastrandrea che, assieme al regista, mette tutti a proprio agio, spettatori compresi.
Il film è utile al Campo Nomadi, ma soprattutto a noi, per capire realtà diverse sull’immigrazione, la guerra, la diversità socio-culturale, in un momento epocale così precario, vive in una formula semplice senza troppe pretese che colpisce il segno più di tanti Kolossal.
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