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La politica degli autori: Nanni Moretti

La complessità dell'ultimo cinema del regista: radicalmente libero.
di Mauro Gervasini

In foto il regista Nanni Moretti.
Nanni Moretti (Giovanni Moretti) (70 anni) 19 agosto 1953, Brunico (Italia) - Leone. Regista del film Mia madre.

martedì 14 aprile 2015 - Approfondimenti

Autofiction. Termine orrendo che farà orrore più a lui che a noi. Ma rende il concetto. Biografia personale e dimensione politica, coscienza pubblica e intimismo. Il cinema di Nanni Moretti, dal cortometraggio d'esordio La sconfitta (1973), si muove tra suggestioni a prima vista contraddittorie; coglie lo spirito di un tempo prima devastato poi vile (la crisi di una generazione, il riflusso, la presunta fine della storia, il venire meno di una classe politica e dell'impegno individuale, la deriva culturale del berlusconismo) ed elabora l'esperienza personale. Al centro un individuo che si rispecchia nell'autore. A volte in maniera letterale, con la forma diaristica di Caro diario (1993, il titolo francese Journal intime rende ancora meglio l'idea) e Aprile (1998); altre con Nanni che "sta accanto" al personaggio Michele Apicella (Io sono un autarchico, Ecce bombo, Sogni d'oro, Bianca, Palombella rossa), ben oltre l'alter ego. Apicella, come noto, è il cognome della mamma del regista, Agata. Fino a La stanza del figlio (2001, Palma d'oro al Festival di Cannes) è possibile individuare l'evoluzione di un unico personaggio finto che poi con le sue manie, paure, indecisioni, idiosincrasie, simpatie si sintetizza in quello vero di Caro diario e Aprile. Apparentemente fa eccezione il prete di La messa è finita, ma non so. Resta, ancora oggi, il Moretti più tormentato, apocalittico e tutt'altro che integrato. Forse ha ragione Stenio Solinas: «La messa è finita è la metafora di un'Italia in cui, dai nonni ai nipoti, non si salva nessuno. E questa Italia siamo noi».
Il caimano (2006) è giustappunto il capitolo successivo. Alla dialettica tra pubblico e privato si aggiunge l'irruenza crescente dell'immaginario, che rende anche la realtà un'illusione e di questo miraggio svela l'inquietante strumentalizzazione politica. Televisione, cinema e sogno cominciano a mescolarsi a storie e rappresentazioni dalle drammaturgie più solide e studiate, alle quali contribuiscono certamente sceneggiatori importanti come Francesco Piccolo, Federica Pontremoli e Valia Santella. Da quel momento i protagonisti dei film morettiani sono due volte un regista (Jasmine Trinca in Il caimano e Margherita Buy in Mia madre) e uno psichiatra (Moretti stesso in Habemus Papam): gente che organizza e analizza ma si scopre fragile quando deve concretizzare una visione (pur con accenti diversi). Basandosi solo sulla trama, si potrebbe ritenere Mia madre, in sala da giovedì 16, come speculare a La stanza del figlio. Credo invece che vada a comporre con Il caimano e Habemus Papam (2011) una specie di trittico. Sul set "Vaticano" Moretti venne a sapere della scomparsa della mamma, insegnante di ginnasio nella realtà come nella finzione, e la reazione nervosa di John Turturro nella mensa di Mia madre («Voglio tornare alla realtà!») è la stessa che ebbe Michel Piccoli durante una ripresa notturna. Gli ultimi due film si parlano non solo implicitamente.
Un'interpretazione possibile di Habemus Papam è che dall'arrivo dello psichiatra nelle segrete stanze alla sequenza finale, sia tutto un sogno del pontefice. La fuga e lo smarrimento, il peregrinare per Roma di Melville, sono come l'"evasione" (bellocchiana, stile Buongiorno, notte) di Giulia Lazzarini dalla struttura ospedaliera di Mia madre. Solo sognata, immaginata, sperata. Sono impressioni a caldo, da prendere col beneficio del dubbio. Forse però testimoniano la complessità dell'ultimo cinema di Moretti: limpido, drammatico, divertente, radicalmente libero.

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