La corte

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Le passanti Valutazione 3 stelle su cinque

di Alex62


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sabato 8 ottobre 2016

Che splendido film! Una piccolo e umile canto alla Bellezza, la bellezza che rende la vita meno amara, che ci rende meno tetra addirittura la morte prossima ventura.
Non possiamo sapere la verità: essa non è alla nostra portata; qualsiasi tentativo di svelarla: letteralmente di togliere ogni velo e poterla osservare in tutta la sua nudità, ci è precluso. La verità, forse grazie a Dio, non è sotto il nostro dominio. Ma…quel baluginio scintillante, istantaneo che possiamo cogliere nella bellezza, quella che ci viene offerta di rado, quella di una donna principalmente, quella che infine chiamiamo charme ed è sempre più rara, in questo universo volgare e violento, lì, in quell'istante perfetto scopriamo che averci privato della verità non è il capriccio arbitrario di Dèi privi di scrupoli verso i miseri mortali. Gli Dèi c'invidiano anzi, proprio per quella intensità, della quale essi sono ETERNAMENTE privi, l'intensità di quegli sparuti momenti di Bellezza che ci vengono elargiti. Loro vivono senza fine, quindi il loro benessere è estensivo, mentre noi abbiamo di fronte ogni istante il gelido destino che ci attende, quel fato che ad ogni istante può coglierci e farci scomparire, per sempre. Ma propio la coscienza del fatto che quesgli sparuti istanti di Bellezza possono finire un istante dopo, li rende per noi d'inestimabile valore: è questo che gli Dèi c'invidiano.

Questo regista, Christian Vincent, ce lo sa raccontare con una umiltà ed una sapienza molto rare nel cinema di oggi. Ci convice a lasciarci avvincere e convincere da una vicenda giudiziaria che si rivela, ma solo alla fine, niente altro che una semplice “scenografia”! Il dramma era altrove e noi ci lasciamo estraniare grazie all'arte di due splendidi attori e una ressa di comprimari memorabili. I protagonisti sono: Fabrice Luchini e Sidse Babett Knudsen. La seconda, splendida 47enne attrice danese la vedremo spesso quest'anno, dopo il César vinto proprio per l'interpretazione come protagonista femminile nel film La Corte. Il primo, figlio di genitori entrambi umbri, l'avevamo visto primeggiare, di recente, in due film strambi: Molière in bicicletta e Gemma Bovery. In entrambi il nostro era infelicemente innamorato di donne irraggiungibili. Ed entrambi i film alludevano a o sbeffeggiavano grandi classici della letteratura. Anche in questa pellicola c'è un'astuto rincorrersi di colte citazioni, però sempre mimetizzate e mai fatte calare dall'alto, come sul volgo incolto e plebeo. Insomma senza alcuna saccenza.
Ma la citazione che svela il tema del racconto riguarda una stupenda canzone di Brassens, Le passanti. Le parole sono dello sfortunato poeta Antoine Pol.
“…se la vita è andata male, / si pensa con un po' di rimpianto / a tutte quelle felicità intraviste, / ai baci che non si osò prendere, / ai cuori che forse vi attendono, / agli occhi mai più rivisti…”.
Ci sono due vite andate male alle spalle dei due protagonisti, che si ritrovano i volti segnati da alcune rughe espressive, solchi che però non sono riusciti a nascondere una vitalità ancora incuriosità e sensuale. Inoltre c'è l'amarezza del rimpianto per non aver saputo o voluto cogliere quella grande occasione di riscatto che forse viene offerta una volta sola, chissà, forse mai più…come si trattasse di una sentezza di condanna che può spezzare un'esistenza intera. C'è un desiderio di donarsi che non ha trovato il luogo perfetto, che vuol dire l'essere umano unico al mondo con il quale condividere tutto di sé. L'imputato del processo in corso invece l'ha trovato ed è disposto a sacrificare la sua libertà pur di salvarlo: di tratta della moglie.
Il giudice Racine invece si è convinto che si è lasciato sfuggire, come acqua che scorre fra le mani, la compagna perfetta e non vuole arrendersi, nonostante l'età, le convenienze e la timidezza…Il momento culminante si consuma sulla scala del bistrot che conduce al piano superiore, appartato, dove si svolgono gl'incontri tra i due protagonisti.
Lì il giudice decide: sceglie di andare fino in fondo nella sfida esistenziale più importante.
E dunque il finale del film contraddice meravigliosamente il finale della canzone:
“Allora, nelle sere di stanchezza / mentre si popola la propria solitudine / di fantasmi del ricordo / si piangono le labbra assenti / di tutte quelle passanti / che non si è saputo trattenere”.
Proprio per sfuggire alla solitudine popolata di fantasmi, anticamera di una morte solitaria.
E invece il giudice timido, che è stato sempre guidato da un'etica severa ma limpida, che ha imparato, dopo tante battaglie e sconfitte che lui non possiede la verità e che la verità continuerà a nascondersi, per quanto la si persegua, infine sceglie: trattiene la sua splendida passante…e lei si lascia trattenere.
Lei sceglie di continuare a posare il suo sguardo su di lui…

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