lunedì 18 gennaio 2016 - Incontri
È diventata un'icona del cinema americano, nonostante abbia conservato ben salda la sua italianità, e ormai fa parte integrante della cultura pop statunitense, che l'ha celebrata sia in quanto top model (la più "anziana" dello storico gruppo che ha dominato gli anni Ottanta, e quella con le misure meno convenzionali) sia in quanto guest star in episodi di Friends, I Simpson e Grey's Anatomy.
Da sempre Isabella Rossellini predilige il cinema indipendente e dà volentieri una mano ai registi alle prime armi (un esempio per tutti: Stanley Tucci, che l'ha voluta in Big Night e Gli imbroglioni)
Ha avuto amori celebri, dall'ex marito Martin Scorsese a Gary Oldman, ed è stata la musa, oltre che la compagna, di David Lynch, per cui ha interpretato ruoli memorabili in Velluto blu e Cuore Selvaggio. Ma ha anche lavorato con i fratelli Taviani e Saverio Costanzo, e con un bel gruppo di registi internazionali dalla visione cinematografica originale: James Gray, John Schlesinger, Robert Zemeckis, Paul Mazursky, Peter Weir, Lawrence Kasdan, Abel Ferrara, Peter Greenaway, Guy Maddin e Denis Villeneuve. Da qualche anno è anche autrice della serie di documentari dedicati al mondo degli animali, Green Porno, che dirige e interpreta travestita da chiocciola, cerbiatto o mantide religiosa.
Da sempre Isabella Rossellini predilige il cinema indipendente e dà volentieri una mano ai registi alle prime armi (un esempio per tutti: Stanley Tucci, che l'ha voluta in Big Night e Gli imbroglioni) e da poco è entrata a far parte della grande famiglia artistica di David O. Russell, il regista di The Fighter, Il lato positivo - Silver Linings Playbook e American Hustle - L'apparenza inganna. Nell'ultimo film di Russell, Joy, Rossellini interpreta la terribile Trudy, ricca vedova attaccata al denaro.
"Trudy è diventata italiana nel momento in cui David ha deciso di affidare a me quel ruolo", racconta Isabella, ancora bellissima a 63 anni, e assai divertita da questa nuova scommessa cinematografica. "Non sapevo bene chi fosse il mio personaggio, perché David ci ha dato il copione solo il giorno prima di iniziare a girare, ma quando la costumista mi ha fatto provare gli abiti di scena ho capito subito due cose: che Trudy era molto ricca, e che era una marziana rispetto alla famiglia di Joy Mangano, l'inventrice dello straccio per pavimenti protagonista del film, proveniente da un ambiente molto modesto".
CONTINUA A LEGGERE
Come l'ha avvicinata il regista?
Ero in taxi, squilla il telefono, una voce mi dice: "Sono David O Russell". E io penso: "Maddai!". David mi accenna, nel suo tipico tono concitato, che vuole girare un film sulla regina del mop, che è il nome americano dello straccio che ha inventato Joy, io capisco mob e penso: "No, non un altro mafia movie!".
È vero che Russell è sempre circondato dalla sua famiglia cinematografica?
Verissimo. Intorno a lui, oltre al cast e alla troupe, ci sono bambini, anziani, gente che arriva portando il prosciutto. I nonni materni di David vengono dalla Lucania e lui ha mantenuto quell'atteggiamento da pater familias del sud che ha anche Francis Ford Coppola. Quando abbiamo iniziato le riprese ci siamo trasferiti tutti nello stesso albergo di Boston per cinque settimane, in un mix di vita, amicizia e cinema. David vuole che ti integri completamente nella sua famiglia artistica. Dunque, durante quelle cene in albergo - cene di otto, nove ore - si leggeva, si cantava, e si immaginava insieme la vita dei personaggi di Joy.
Come ha lavorato con Robert De Niro, che interpreta suo marito nel film?
Innanzitutto non era scontato che Bob mi volesse accanto a sé: dopotutto sono la ex moglie del suo migliore amico, Scorsese avrebbe potuto "non aver piacere", come si suol dire. Anche se ci conosciamo da anni, perché è stato testimone al mio matrimonio con Martin, Bob ed io non avevamo mai lavorato insieme. Il primo giorno di riprese David ci ha letteralmente buttati l'uno nelle braccia dell'altra: per rompere il ghiaccio, ha detto lui. E visto che dovevamo ballare, abbiamo ballato, anche letteralmente.
In che modo Russell dirige gli attori?
È molto specifico, spesso ti fa vedere come vorrebbe che dicessi una certa battuta, recitandola lui stesso. Io non mi offendo, anzi, mi piace, l'ho visto fare a Fellini e anche a mio padre, Roberto Rossellini.
Quali tematiche affronta Joy?
Secondo me parla soprattutto della condizione femminile. La protagonista è una donna che fa tutto da sola e inventa la sua vita senza aspettare il principe azzurro, perché è consapevole che il principe azzurro non esiste. Jennifer Lawrence è l'attrice ideale per interpretarla perché incarna perfettamente la donna moderna che dice sempre quello che pensa, anche in tema di parità di genere: è stata lei recentemente a sollevare il problema della diseguaglianza nei compensi fra attori e attrici.
Si sente simile a Jennifer?
Io appartengo a un'altra generazione, quando ero giovane e volevo esprimere le mie opinioni sentivo di doverlo fare in modo garbato o quantomeno buffo. Con l'età mi sono accorta che quella era una pressione sociale molto forte. Oggi penso che una donna debba poter dire ciò che pensa senza bisogno di essere per forza graziosa o divertente.
Che cosa l'accomuna a Trudy, il personaggio che interpreta in Joy?
Molto poco. Trudy è la moglie potiche, quella che si veste bene per far vedere quanto è ricco il marito, che non sa vivere senza un uomo accanto perché è quello che la definisce: infatti mi sono inventata il tormentone di farle ripetere sempre l'ultima frase che dice l'uomo che la affianca. È ricca, ma possiede solo il denaro, mentre Joy possiede una visione. Trudy entra nella strampalata famiglia di Joy perché in fondo è anche lei fuori posto nel mondo.
In alcune sequenze Joy sembra una fiaba...
Sì, ma di quelle un po' dark, dove ci sono un orco, una strega e un drago da uccidere. Le famiglie sono i primi luoghi in cui affermare la propria indipendenza e forgiare la propria identità. I genitori sono i protettori ma anche gli oppressori dei loro figli, spesso li soffocano senza neanche rendersene conto.
In qualche modo la vicenda di Joy rappresenta anche il sogno americano.
Sì, perché vuole dare al pubblico, soprattutto quello femminile, il coraggio di pensare: "Posso farlo anch'io, posso realizzare ogni mio desiderio". Questo fa proprio parte della cultura americana, della loro identità. Del resto è il messaggio al centro del successo della campagna presidenziale di Obama, un afroamericano venuto dal niente. Tutti i film di David contengono una forte energia positiva, una luminosità che riflette la sua natura ottimista.
Lavorerebbe con David Lynch nella nuova serie di Twin Peaks?
Se me lo chiede, volentieri. Alla mia età però ho capito che devo scrivermi i ruoli anche da sola, altrimenti rischio di avere poca scelta.