Splendida affabulazione. Fiction di gran classe, voglio dire, che si avvale di scenari d'epoca sapientemente costruiti. Prendetelo così - come ho fatto io e tant'altri - Il Ponte delle Spie. Spensieratamente, altrimenti non vi salvate dall'essere assaliti da sospetti di tendenziosità e di mistificazione che di solito gravano su Spielberg storico (se, poi, s'impicciano i Coen...).
Stavolta abbiamo pure la riprovazione, una specie di scherno sprezzante, riservato a tutti.
Ai Comunisti. Bizantini e commedianti, i migliori. In genere, tetri e brutali, ti comunicano l'angoscia che si provava nel cadere nelle loro mani. Memorabile l'episodio di quando, appena entrato in una spettrale Berlino Est, l'avvocato Donovan viene spogliato del bel cappotto ad opera di emaciati giovinastri: spieghereste meglio l'economia socialista?
E ce n'è per gli Americani. Una chicca di perfidia: quel militare, venuto sul Ponte a riconoscere il pilota U2, pletorico, sulla faccia animalesca il rictus di una falsa cordialità: allusione? simbolo? Per il resto, cinismo ed ipocrisia ai piani alti. Il probo e leale Donovan è visto come mosca bianca, un Forrest Gump cresciuto, appena infurbito dal mestiere. Della gente comune vengono mostrati esemplari di individui immaturi, manovrati dai media, inclini al linciaggio, forcaioli isterici quando in preda a paure come il terrore dei rossi o l'idea di perdere a loro favore il monopolio della bomba atomica che permetteva agli USA di spadroneggiare nel mondo senza tante remore. Ecco, vorrei aggiungere una pregiudiziale che mi è servita per tentare di decifrare l'attitudine di Spielberg verso le spie atomiche. I segreti del nucleare furono un dono di scienziati venuti appositamente nella Terra della Libertà per realizzare l'ordigno salvo, poi, provare rimorsi quando ne scoprirono l'orrenda efficacia e non sugli auspicati obiettivi; altri scienziati, poi, pensarono bene di adoperarsi affinchè anche la Patria dei Lavoratori ne venisse a conoscenza sicchè oggi, grazie ad altri volenterosi, possiamo dire che sono patrimonio anche di un piccolo popolo.
Messa così, si può capire come, nonostante le movenze del racconto e la superba performance di Tom Hanks, il protagonista non è l'avvocato buono. Fulcro della vicenda è Abel, la spia. Il detenuto Abel, freddo, impassibile, sfuggente; lo frequenti e lo scopri intelligente, ironico, sensibile, un artista. Spielberg ci affeziona a lui. Per ammantarlo di simpatia ci fa temere per la sua sorte quando viene consegnato ai suoi. Una piccola forzatura (non la sola). Ad Abel, in patria, non andò male; anzi, si guadagnò un francobollo celebrativo come Sorge la spia, pardon, "l'agente segreto più grande del Novecento".
Mi domando quanti riconoscimenti potrebbero ambire quegli scagnozzi della CIA, dipinti come squallidi figuri, qualche ceffo di tagliagole, preoccupati di scansare gli sgambetti dei colleghi. Abel, invece, (e son tutte cose dette nel film) è altrimenti motivato, è un combattente. E non una semplice spia per amor di patria. Una benemerita spia atomica, trafugando i segreti degli yankee contribuì all'equilibrio del terrore.
A parte il discorso su Abel, v'è nel film un fugace accenno ai Rosenberg, "Julius and Ethel" come titola la ballata che Bob Dylan dedicò loro. Non cantarono, proprio come Abel. Stoicamente si accomodarono sulla sedia senza fare una piega o ...un nome. Serietà e coraggio: ecco cosa ammira Spielberg in questi individui. Libero da propensioni ideologiche (figuriamoci... con la sua intelligenza) mostra di voler credere almeno in questi valori. E sembra condividerne con Abel una certa nostalgia tanto che la loro sintesi gliela fa dire due volte: essere tutto d'un pezzo.
Come si dice in russo? e in ucraino?
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