Black Sea

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Un film di Kevin Macdonald. Con Konstantin Khabenskiy, Michael Smiley, Sergey Puskepalis, David Threlfall, Tobias Menzies.
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Titolo originale Black Sea. Avventura, Ratings: Kids+13, durata 115 min. - Gran Bretagna 2015. - Notorious Pictures uscita giovedì 16 aprile 2015. MYMONETRO Black Sea * * 1/2 - - valutazione media: 2,83 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
   
   
   

Missione impossibile negli abissi del Mar Nero. Valutazione 4 stelle su cinque

di ashtray_bliss


Feedback: 29534 | altri commenti e recensioni di ashtray_bliss
domenica 19 aprile 2015

Kevin McDonald in tutti gli anni del suo operato cinematografico ha dato prova di essere un regista sapiente e abile nel destreggiarsi in diversi generi che spaziano dall'avventura storica ed anti-epica (The Eagle), al dramma sociale e di denuncia (Last King of Scotland) . Anche con questo lungometraggio si riafferma un regista disinvolto che sa destreggiarsi con una sceneggiatura semplice creando un prodotto valido e degno di nota che si discosta dal solito thriller usuale, osando di più e inoltrandosi nel genere del dramma psicologico, dell'avventura vera e propria e ovviamente, anche se non marcatamente, in quello del dramma sociale. 
 
Ci riesce anche grazie alla scelta impeccabile del cast, e su tutti, di Jude Law che qui veste un ruolo maturo, ruvido, contradditorio ma pur sempre umano che riesce ad essere la vera colonna portante del film, il centro gravitazionale della pellicola e quella figura attorno alla quale si affidano in toto i co-protagonisti. Cosi, grazie a una ricetta semplice e dal sapore retrò ne esce un film decisamente interessante, sostenuto da un ritmo incalzante, colpi di scena e le giuste dosi di dramma sociale e psicologico. Difatti, sin dalle prime scene all'interno del sottomarino si capisce che uno degli obiettivi di McDonald era rendere omaggio ai film di una volta. Laddove non esistevano effetti speciali sensazionali, o l'ausilio di una tecnologia all'avanguardia. Le epoche in qui i film, per essere definiti 'buoni' dovevano puntare il tutto sulla maestria del regista, sulla bravura degli interpreti e su una solida trama e altrettanto valida sceneggiatura. Gli echi e richiami  d'un cinema di altritempi ci sono tutti, e funzionano in modo organico anche qui, riuscendo ad evocare sforzi registici passati e memorabili pur rimanendo sempre un prodotto distinto e non un mero 'copia-incolla' che ricicla idee già sfruttate in passato. Sapendo dare, in tal modo, una boccata d'aria fresca a un genere divenuto quasi definitivamente obsoleto per il grande schermo, quello dei sommergibili, come d'altronde obsoleti sono diventati i mezzi stessi.

La trama, dunque, ci catapulta all'interno di un vecchio e arruginito sottomarino di fattura sovietica, uno di quei mezzi ormai in disuso, malfunzionanti e fatiscenti, in cui vi troviamo un improbabile gruppo di uomini inglesi e russi che sono lì con un'unico scopo: quello di ritrovare un sottomarino risalente alla Seconda Mondiale, carico d'oro, che doveva servire a corrompere il Fuhrer da parte dei sovietici Staliniani. La missione, è il caso di dirlo, non andò in porto e il sommergibile col suo carico di lingotti giacciono da qualche parte nel fondale marino del Mar Nero, in acque territoriali contese tra Russia, Georgia e Turchia. A questo punto è necessario fare un salto indietro e spiegare le motivazioni che spingono Robinson (J. Law) e gli altri compagni di viaggio ad intraprendere una missione clandestina eccessivamente rischiosa e piena di insidie che avrebbe potuto mettere in serio pericolo le loro stesse vite. La motivazione è direttamente legata al contesto sociale attuale, tanto esterno quanto intrinseco al film stesso, ovvero la galoppante crisi economica. In questo frangente, tutta la squadra con qui lavora il capitano Robinson, addetto al ritrovamento e recupero di sommergibili, viene  licenziata in tronco e senza troppe motivazioni al riguardo. Uno della squadra però propone un piano audace quanto avventato; quello di ritrovare il carico d'oro del sommergibile russo e impossessarsene, riscattandosi parzialmente dal torto subito per mano della loro Società, AGORA, che li ha licenziati.
E a questo punto emergono in superficie tutte le reali tematiche del film che come detto prima deragliano più volte in più spazi e generi diversi, rendendo Black Sea, un pot-purri funzionante di argomenti, spunti, riflessioni e idee che non si sottraggono alla critica sociale, principale vena del cinema contemporaneo

La squadra in poco tempo si compone e partono per la missione nel Mar Nero. Il capo è ovviamente il comandante Robinson e attorno a lui si stringono esperti sommozzatori e operai che sanno come far funzionare il sottomarino. Il gruppo è veramente eterogeneo tanto per età ed esperienze quanto per origine etnica; metà del personale infatti è russo, l'altra metà è inglese e spesso le due squadre non si comprendono, non padroneggiando bene (o affatto) la lingua reciproca e dovendo riccorere più volte al linguaggio del corpo, ai gesti e agli sguardi per coordinarsi efficacemente. Ecco dunque che il regista ci mette di fronte ad una delle barriere sociali più impervie, la quale spesso tendiamo a ignorare o sottovalutare; L'incomunicabilità, l'incapacità linguistica e l'altrettanta assenza d'un linguaggio comune, una 'lingua franca' che permetta la normale interazione/mediazione linguistica. Quindi ci pone davanti gli ostacoli che derivano da questa incomunicabilità tecnica e funzionale. In primis l'incomprensione reciproca. Poi si susseguono a ruota la sfiducia, i sospetti e le ombre che ognuna delle squadre inizia a nutrire nei confonti dell'altra. In extremis, soppraggiunge l'avidità acciecante e il pregiudizio misto a odio razziale. Elementi esplosivi che minano l'esito della missione e mettono a repentaglio la vita di tutti.

Così, quello spazio angusto e asfissiante nonchè naturalmente claustrofobico che è il sottomarino diventa abilmente, in un secondo piano di interpretazione, una metafora ed una allegoria sul microcosmo sociale e di come i rapporti umani, anche quando è essenziale, vitale che si basino sulla reciprocità, la fiducia, il rispetto e la cooperazione mutino velocemente e logorino radicalmente i legami tra i membri di questa micrografia sociale. A questo punto però il sottomarino assume anche un'altra -simbolica- dimensione, strumentale nel sostenere i passi narrativi della pellicola, diventando sinonimo di ineluttabilità. Una gabbia, tanto fisica quanto mentale, che 'intrappola' in modo definitivo i protagonisti e li trasforma in vittime di loro stessi e delle loro psicosi e paranoie che li spingono sempre di più fuori da ogni (auto)controllofacendo emergere la parte umana più oscura e brutale che si ripercuote sul resto dell'equipaggio. La divisone, la disgregazione e il caos prendono pian piano il sopravvento e condannano definitivamente la missione al fallimento totale e dall'esito drammatico e inevitabile.

Black Sea, è un prodotto riuscito proprio perchè mescola in modo intelligente tanti elementi diversi tra loro, mescolandoli a tematiche sociali attuali e sempre più presenti nella nostra quotidianità. Si parte da un thriller al quale non mancano gli ingredienti di base; la suspence, il mistero, i colpi di scena, la tensione avvolti in un involucro che sconfina tra il dramma psicologico e quello sociale. Infatti vi troviamo la figura del carismatico Jude Law, nelle vesti d'un padre e marito disperato, con un divorzio alle spalle e un lavoro che non gli permette di passere molto tempo col proprio pargolo. A ciò viene aggiunta la natura precaria del suo mestiere, e il licenziamento rappresenta la goccia che fà trabbocare il vaso. Successivamente, tutti i personaggi secondari che gravitano attorno alla figura di Law sono specchi di una società divisa e malfunzionante sia dal punto di vista sociale che lavorativo; sono degli scarti della società, dei relitti di cui si preferisce disfarsene. Specialmente la parte russa che rappresenta benissimo la mancata integrazione di questa fetta di persone, che ''zoppicano'' e faticano in un luogo tanto lontano quanto diverso dal loro paese natio, pur di guadagnarsi del pane da vivere. E questa mal-integrazione si manifesta in modo enfatico e particolare, come incomprensibilità e barriera linguistica prima, e come pregiudizi e sfiducia poi.
 
Oltre a ciò, il film punta anche sul dramma esistenziale e psicologico, ponendoci difronte a persone come il capitano Robinson che sta ancora metabolizzando la sua separazione e i suoi sensi di colpa ed impotenza derivati dal fatto che non può essere il padre di cui suo figlio avrebbe bisogno, sia per la sua ridotta capacità economica, sia per il fatto che il suo lavoro richiede un notevole distacco. Uno dei motivi principali che spronano l'uomo a intraprendere questa missione clandestina è senz'altro la prospettiva di arrichirsi e poter assicurare alla sua famiglia un futuro migliore. A capovolgere e mandare in aria la missione, saranno l'egoismo, l'avarizia e la prevaricazione che iniziano a manifestarsi in ognuno dei componenti del gruppo, non appena si ritroveranno nelle profondità marine, e sprofonderanno negli abissi più oscuri e tetri dell'animo umano, cancellando ogni forma di umanità ed empatia, trasformando quella prigione sottomarina in un luogo di battaglia, fisica e mentale. 
 
Di particolare rilevanza nel film c'è anche il rapporto che si instaura tra Robinson e il giovanissimo Tobin, un rapporto che si contrappone al resto delle dinamiche ostili che si vengono a creare nel gruppo. Infatti, il rapporto paterno e solidale che si crea tra il giovane inesperto e il capitano rappresentano probabilmente l'unica ancora di umanità e speranza che riesce a resistere senza soccomebere nelle profondità marine. Uno spiraglio di luce, una prospettiva di speranza che mette in evidenza, secondo il messaggio principale della pellicola, come solo i rapporti genitoriali siano veramente resistenti, autentici e indissolubili. ''L'unica cosa che conta veramente'' come ammette lo stesso Robinson a Tobin pochi minuti prima della conclusione del film.
 
Il finale, simbolicamente catartico e redentivo, è in piena sintonia con tutto il resto della trama, ristabilendo in qualche modo il senso di giustizia che i protagonisti avevano completamente smarrito. In particolare, gli ultimi istanti di vita del capitano sono anche i più importanti e rivelatori, quelli che gli restituiscono la bussola morale che aveva sopresso nei minuti precedenti, quelli che lo mettono di fronte alla crudele realtà dei fatti; a volte per ritrovare se stessi si finisce per perdersi totalmente, perdendo di fatto anche i legami e gli affetti che contano di più, quelli famigliari. Egli stesso come i suoi compagni di viaggio, si era arreso alle debolezze umane che corrompono l'animo e lo spirito, divenendo una vittima di se stesso; una pedina incapace di lottare per ciò che è giusto, acciecata e corrotta dalla brama di denaro e ricchezza, gli strumenti del potere.

Un potere che lo avrebbero elevato dalla sua posizione di semplice operaio, di uomo che lavora nelle oscure profondità abissali mantenendo in vita un mestiere in rapido declino. Ecco allora la seconda critica sociale. Quella che contrappone 'lui' e tutti quelli che rappresenta (la classe operaia) contro 'loro', ovvero gli opressori, i detentori del potere e della richezza, quelli che si permettono di scaricarlo e cacciarlo dal lavoro che ama senza motivazioni valide, se non quelle dettate dalla crescente pressione economica. Ma talvolta la voglia di riscattarsi mista ad un senso di vendetta procura i risultati opposti da quelli desiderati.
''Tu sei peggio di loro'', così lo accusa Morozov nelle sequenze finali, ristabilendo l'equilibrio morale.
 
Lungometraggio altamente riuscito, il Mar Nero di McDonald, che sfoggia una scenegiatura classica elaborata in modo originale e innovativo toccando diverse tematiche attuali. Regia sobria, solida e sapiente che non ricorre quasi mai agli effetti speciali che qui sono quasi completamente assenti, ma si concentra nel creare un ibrido funzionale tra avventura, thriller e dramma con l'uso di espedienti rituali quali la suspence, tensione, colpi di scena. Squisitamente convincente Jude Law in un ruolo finalmente maturo, complesso, ruvido e pregnante che riesce finalmente a far emergere tutto il talento recitativo di questo affascinante british man. Molto riuscita e verosimile anche l'interpretazione della controparte russa, che recita rigorosamente in lingua madre, donando enfasi e verosimiglianza alla trama. Suggestive e poderose le riprese all'esterno del sommergibile, dove l'uomo è in totale balia della forza della natura, oscura, profonda e silente come le profondità nelle quali si muovono i protagonisti. Buona la fotografia e l'uso della colonna sonora.
 
Un film che difficilmente deluderà le aspettative. Fortemente consigliato. 4/5 metitatissimi.

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muttley72 venerdì 8 maggio 2015
manca un revisore della trama che segnali le idiozie
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Dopo una analisi così meticolosa del film che tu hai fatto......mi pare ti siano sfuggite le numerosissime ed imperdonabili incongruenze ed illogicità della trama ("sceneggiatura") che tu lodi. Pare strano che nel budget di un film (che debba svolgersi negli "abissi") non si trovino 2.000-3.000,00 Euro da dare a uno che se ne intenda di tali cose e che eviti che la sceneggiatura sia piena di baggianate (sia tecniche che logiche), segnalandole a chi di dovere. Idea discreta (...la storia) rovinata però dal pressappochismo...

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