roberto messori
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domenica 1 febbraio 2015
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american sniper o il cugino di rambo?
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Non mi stupisce che un film come American sniper faccia discutere, al punto di scomodare la First Lady che lo ha elogiato per come presenta i reduci: se fosse stato diretto da un regista di serie B ed avesse avuto il titolo "Il cugino di Rambo" non sarebbe neppure stato preso in considerazione dalla critica, ma porta la firma di Clint Eastwood, un supereroe Usa e questo lo sottopone non solo all'attenzione di tutti, ma soprattutto porta tutti, o quasi tutti, a cercare nell'uovo il pelo di una critica positiva. Io non sono tra questi. Per me il film rasenta il vergognoso in quanto a patriottismo (è l'epiteto con quale in Usa si identifica il nazionalismo) e militarismo. Nell'omonima autobiografia di Chris Kyle, dalla quale è stato estratto, non esiste una contrapposizione tra due cecchini, questa "idea" sembra presa pari pari dal film "Il nemico è alle porte", imperniato sul confronto tra un cecchino russo ed uno nazista a Stalingrado.
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Non mi stupisce che un film come American sniper faccia discutere, al punto di scomodare la First Lady che lo ha elogiato per come presenta i reduci: se fosse stato diretto da un regista di serie B ed avesse avuto il titolo "Il cugino di Rambo" non sarebbe neppure stato preso in considerazione dalla critica, ma porta la firma di Clint Eastwood, un supereroe Usa e questo lo sottopone non solo all'attenzione di tutti, ma soprattutto porta tutti, o quasi tutti, a cercare nell'uovo il pelo di una critica positiva. Io non sono tra questi. Per me il film rasenta il vergognoso in quanto a patriottismo (è l'epiteto con quale in Usa si identifica il nazionalismo) e militarismo. Nell'omonima autobiografia di Chris Kyle, dalla quale è stato estratto, non esiste una contrapposizione tra due cecchini, questa "idea" sembra presa pari pari dal film "Il nemico è alle porte", imperniato sul confronto tra un cecchino russo ed uno nazista a Stalingrado. Forse Clint Eastwood ha recuperato, dai tempi di Sergio Leone, il vizio di plagiare idee altrui. Poi le storie sono espresse con malizia demagogica, tutt'altro che originale, come la donna (la madre?) che, al centro delle strada e proprio di fronte alla colonna Usa che avanza, consegna una granata al bimbo, che sarà ucciso dal nostro eroe, e pure la madre che recupera la granata. Un film simile lo vedo bene in armonia con quello che viene definito dai pensatori Usa il "neocoservatorismo", vale a dire la pulsione statunitense, una volta caduto l'impero sovietico, di diventare i veri padroni del mondo. Uno dei meccanismi è quello di abbattere i regimi che circondano Israele, la vera testa di ponte Usa in Medi Oriente, ed a tal fine sono state scatenate guerre ingiuste, come l'invasione dell'Iraq, la distruzione in Libia del potere di Gheddafi, e per poco non è successo lo stesso in Siria, dopo il gioco sporco dei gas proibiti che Obama attribuiva al regime siriano. In questo contesto politico, purtroppo difficilmente contestabile, vedo molto bene inserito American sniper, un film che umanizza, coinvolgendone la famiglia, il soldato Usa che difende i propri cari dai terribili Jiadisti. Chissà, forse Clint Eastwood ha voluto controbattere un'opera come Green Zone, simile come svolgimento e ambientazione, ma che tratta l'intervento Usa in Iraq da un ben diverso punto di vista. È vero, Green Zone gioca la carta di una denuncia politica, mentre American sniper lascia la politica, l'etica e la filosofia fuori dalla porta, ma è quest'opera che è stata prescelta dal nostro Supereroe, denudata da ogni morale che avrebbe potuto darle un senso.
Ma qualcuno s'è mai chiesto perché tanti islamici siano andati così fuori di testa?
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(di giuliog02)
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francesco maraghini
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martedì 3 febbraio 2015
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attenti al cane pastore
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Una guerra che pur essendo crudele e dolorosa nelle sue conseguenze è moralmente giusta, questo il messaggio che emerge dall’ultimo film di Clint Eastwood, American Sniper, sulla guerra in Iraq.
Già nelle prime scene, che ci riportano all’infanzia di Chris Kyle, il protagonista del film, Eastwood chiarisce subito i tratti essenziali del personaggio. Siamo dalle parti della National Rifle Association (la scena di caccia con il padre), dell’America rurale tutta bibbia e fucile, di una religione protestante in cui la distinzione tra il Bene ed il Male è netta e come dice il padre al mondo si può essere solo o pecore o lupi o cani pastore, ed i suoi figli dovranno seguire chiaramente le orme di questi ultimi.
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Una guerra che pur essendo crudele e dolorosa nelle sue conseguenze è moralmente giusta, questo il messaggio che emerge dall’ultimo film di Clint Eastwood, American Sniper, sulla guerra in Iraq.
Già nelle prime scene, che ci riportano all’infanzia di Chris Kyle, il protagonista del film, Eastwood chiarisce subito i tratti essenziali del personaggio. Siamo dalle parti della National Rifle Association (la scena di caccia con il padre), dell’America rurale tutta bibbia e fucile, di una religione protestante in cui la distinzione tra il Bene ed il Male è netta e come dice il padre al mondo si può essere solo o pecore o lupi o cani pastore, ed i suoi figli dovranno seguire chiaramente le orme di questi ultimi.
E proprio per essere il cane pastore del suo paese, colpito dagli attentati terroristici, Chris diventerà cecchino delle truppe speciali Navy Seals ed in 4 turni passerà 1000 giorni in Iraq a proteggere dall’alto di un tetto con la sua mira infallibile i marines che a terra, in un contesto di guerriglia urbana, affrontano i ribelli iracheni; “maschi in età militare” vengono definiti dalle truppe USA a riprova che ogni civile è un sospetto.
Coerente con la sua formazione Chris non ha dubbi su tutti i bersagli che colpisce, tanto che a chi gli chiede se ha qualche rimorso può rispondere che è pronto a rendere conto a Dio di ogni pallottola sparata e che il suo unico rimorso è per i commilitoni che non è riuscito a salvare.
E qui il film omette tutto quello che è invece stato parte integrante dalle cronache:i danni collaterali, leggasi morti innocenti, causati dai bombardamenti aerei, i civili freddati ai check-point da militari nervosi od uccisi a sangue freddo da soldati in cerca di vendetta per la morte dei loro commilitoni, aspetti ampiamente illustrati in altri film sulla guerra irachena da Redacted di Brian De Palma a Nella valle di Elah di Paul Haggis.
Nella sua lunga permanenza in Iraq Chris trova un degno avversario nel cecchino iracheno Mustafà, atleta olimpico di tiro a segno, che Eastwood sembra quasi ammirare per la sua indubbia capacità militare, ma a cui non da mai la parola per cui non sapremo mai il suo pensiero.
Anche qui siamo molto lontani da quello che il regista era riuscito a fare con il suo doppio film sulla battaglia di Iwo Jima, La bandiera dei nostri padri e Lettere da Iwo Jima: dare voce al nemico giapponese ricostruendo la sua versione dei fatti; ma probabilmente gli Stati Uniti non sono ancora pronti ad ascoltare le ragioni dei nemici iracheni.
E questo è un vero peccato se solo pensiamo al modo magistrale in cui Jean Jacques Annaud aveva mostrato la rivalità tra il cecchino russo e quello tedesco, sullo sfondo della battaglia di Stalingrado, nel film Il nemico alle porte.
E proprio lo scontro finale con Mustafa porterà Chris e i suoi compagni arroccati sul tetto di un edifico nel cuore di Sadr City, in una scena che ci riporta ai mille assedi della cinematografia americana da Fort Apache a Fort Alamo, fino ai marines assediati nella Mogadiscio di Black Hawk Down di Ridley Scott, ed è, a mio giudizio, una delle più irrealistiche di tutto il film.
Dove invece Eastwood non si tira indietro nel mostrarci la crudeltà della guerra è nella descrizione che essa ha progressivamente sulla mente di Chris, che vediamo ad ogni periodo di congedo passato a casa sempre più alienato e vittima dei sintomi dello stress post traumatico. E proprio la scelta di aiutare i reduci vittime come lui lo porterà alla morte.
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vanessatalanta
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martedì 17 febbraio 2015
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un uomo tormentato
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I Film di Eastwood sono caratterizzati secondo me da un'esemplare asciuttezza di toni e prese di posizione. Il film tratta soprattutto dell'uomo Kyle, del suo bisogno di mettersi "al servizio" della sua terra dopo l'11 settembre, un bisogno incoercibile al punto da fargli rischiare gli affetti e la vita, da fargli affrontare non più giovane e superare una selezione quasi disumana come quella dei navy seals. Un uomo tormentato, che non accetta di star solo al sicuro sui tetti a sparare ma vuole mettersi in gioco al 100%, un uomo dilaniato tra sofferenza per quel che fa e un senso del dovere che non gli permette di "sgarrare" mai, una granitica convinzione di aver fatto fino in fondo ciò che doveva, ma che tuttavia non riesce a cancellare la sua umanità.
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I Film di Eastwood sono caratterizzati secondo me da un'esemplare asciuttezza di toni e prese di posizione. Il film tratta soprattutto dell'uomo Kyle, del suo bisogno di mettersi "al servizio" della sua terra dopo l'11 settembre, un bisogno incoercibile al punto da fargli rischiare gli affetti e la vita, da fargli affrontare non più giovane e superare una selezione quasi disumana come quella dei navy seals. Un uomo tormentato, che non accetta di star solo al sicuro sui tetti a sparare ma vuole mettersi in gioco al 100%, un uomo dilaniato tra sofferenza per quel che fa e un senso del dovere che non gli permette di "sgarrare" mai, una granitica convinzione di aver fatto fino in fondo ciò che doveva, ma che tuttavia non riesce a cancellare la sua umanità. Il regista riesce secondo me a mantenere un certo equilibrio morale: condanna silenziosamente chi manda bambini e donne a farsi uccidere e fa capire perché chi li manda lo fa, il dilemma terribile di chi deve scegliere tra uccidere un ragazzino o salvare molti suoi compagni, che non riesce a sottrarsi all'orrore, malgrado le sue profonde convinzioni e il suo addestramento. E ancor più ci induce a soffermarci sull'umanità che Kyle è riuscito a mantenere viva in sé, la sua scelta di aiutare gli altri reduci, invece di adagiarsi in una tiepida pozza di lacrime di autocommiserazione o rimorso, proprio la determinazione e la generosità che alla fine pagherà con la vita. Bradley Cooper riesce con estrema misura e sobrietà di gesti ed espressioni a dar vita ad un personaggio controverso, che mi è difficile decidere se degno di disprezzo o rispetto. Un essere umano insomma.
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il cinefilo
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giovedì 26 febbraio 2015
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uno dei più grandi film americani di tutti i tempi
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Clint Eastwood ha centrato il bersaglio ancora una volta: American Sniper, ispirato alla biografia di Chris Kyle, consacra il vecchio regista come una pietra miliare nell'olimpo delle vecchie glorie di Hollywood.
L'indimenticabile interpretazione di Bradley Cooper lascerà un segno indelebile nella memoria cinematografica moderna tanto è profondo il "magnetismo psicologico" irradiato dal suo ruolo...fin da bambino il padre ha insegnato lui il senso dell'onore e della famiglia, e da adulto è pronto trapiantare questi principi nella propria anima, corteggiando, in un locale, la donna destinata a diventare sua moglie e madre dei suoi figli.
La guerra in Iraq infonde in Chris la determinazione necessaria nel costruire il sogno americano: quel sogno che il regista insegue da una vita intera e che prende forma per bocca del suo protagonista, ma è un conflitto destinato anche a scavare un solco nella sua vita e nella sua coscienza più tragico di qualunque altro.
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Clint Eastwood ha centrato il bersaglio ancora una volta: American Sniper, ispirato alla biografia di Chris Kyle, consacra il vecchio regista come una pietra miliare nell'olimpo delle vecchie glorie di Hollywood.
L'indimenticabile interpretazione di Bradley Cooper lascerà un segno indelebile nella memoria cinematografica moderna tanto è profondo il "magnetismo psicologico" irradiato dal suo ruolo...fin da bambino il padre ha insegnato lui il senso dell'onore e della famiglia, e da adulto è pronto trapiantare questi principi nella propria anima, corteggiando, in un locale, la donna destinata a diventare sua moglie e madre dei suoi figli.
La guerra in Iraq infonde in Chris la determinazione necessaria nel costruire il sogno americano: quel sogno che il regista insegue da una vita intera e che prende forma per bocca del suo protagonista, ma è un conflitto destinato anche a scavare un solco nella sua vita e nella sua coscienza più tragico di qualunque altro.
Bradley si immerge nel suo ruolo con impegno febbricitante, surclassando qualsiasi altra interpretazione maschile portata sugli schermi nell'ultimo decennio e oltrepassando addirittura la bravura delle più vecchie glorie americane, da Humphrey Bogart a Cary Grant: da questo momento Bradley Cooper si merita un posto d'onore al fianco dei più grandi mentre l'intramontabile Clint sarà da considerare uno dei massimi cineasti della storia del cinema.
Se quando viene sparato un proiettile se ne va via anche un pezzo dell'anima di colui che preme il grilletto allora l'eroe di questo film è fatalmente destinato alla distruzione...ma cosa rende un uomo un VERO uomo? la risposta di Eastwood non si trova nei fucili e nelle bombe bensì nella capacità di assumersi le proprie responsabilità e, in questo, il film riesce anche in un impresa finora ritenuta impossibile ovvero inaugurare un nuovo filone del genere di guerra al cinema, nuovo e libero da ogni stereotipo della categoria...non sembrava possibile, non dopo che Stanley Kubrick e F.F.Coppola erano riusciti a stampare nella memoria collettiva titoli come Full Metal Jacket e Apocalypse Now, ma Clint Eastwood c'è riuscito: onore e gloria, non resta che chinare il capo al suo genio.
Questo film meraviglioso ha incassato oltre 320 milioni di dollari, osannato in tutto il mondo per la sua perfezione e palesandoci una realtà oggettiva e cioè che, da adesso in avanti, chiunque vorrà cimentarsi in questo filone dovrà fare i conti con il capolavoro di Eastwood.
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ultimoboyscout
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sabato 7 marzo 2015
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one shot one kill.
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Clint Eastwood torna a parlare di temi di guerra portando sul grande schermo la storia di Chris Kyle, il cecchino più letale e infallibile che l'America ricordi. Chris Kyle ovvero "The Legend", i suoi numeri dicono 166 morti accertati, 255 probabili, gli iracheni lo avevano ribattezzato "Il diavolo di Ramadi" e messo sulla sua testa una taglia da 180mila dollari. Nativo di Odessa in Texas, Kyle si era arruolato nei SEALS ma dopo ben 4 turni in Iraq, nel 2009, aveva lasciato la marina per tornare a casa ed aprire un centro di addestramento per militari e forze dell'ordine, preoccupandosi anche di assistere i reduci affetti da PTSD, la sindrome da stress postraumatico.
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Clint Eastwood torna a parlare di temi di guerra portando sul grande schermo la storia di Chris Kyle, il cecchino più letale e infallibile che l'America ricordi. Chris Kyle ovvero "The Legend", i suoi numeri dicono 166 morti accertati, 255 probabili, gli iracheni lo avevano ribattezzato "Il diavolo di Ramadi" e messo sulla sua testa una taglia da 180mila dollari. Nativo di Odessa in Texas, Kyle si era arruolato nei SEALS ma dopo ben 4 turni in Iraq, nel 2009, aveva lasciato la marina per tornare a casa ed aprire un centro di addestramento per militari e forze dell'ordine, preoccupandosi anche di assistere i reduci affetti da PTSD, la sindrome da stress postraumatico. Venne ucciso nel Febbraio del 2013 nel suo poligono di tiro da uno di quei veterani, ma negli States era già una star assoluta, complice la sua autobiografia, best seller assoluto. Eastwood ha un modo tutto suo di vedere la guerra e quindi di filmarla, lo sguardo è assolutamente personale e magnificamente discreto e fa di Kyle un discendente diretto dell'Ispettore Callahan e di tutti i pistoleri e gli stranieri senza nome che hanno animato la filmografia del vecchio regista. Evoca rare volte l'America rurale e austera che ha cresciuto il suo protagonista, fucile, Bibbia e cene di famiglia sono i tre capisaldi della formazione di Kyle, un soldato schivo e semplice come lo è l'occhio di Eastwood, assenziale, asciutto, antispettacolare, privo di retorica e apparentemente privo di sentimenti. Il film è costruito direttamente sulle osservazioni della guerra e delle azioni di guerra di Kyle, intervallate dallo scollamento della realtà intima e famigliare che si racconta nei suoi brevi rientri a casa, è un film sul mestiere della guerra sul genere di "The hurt locker" ma molto meno stilizzato e più brutale e realistico, compreso il bellissimo e tesissimo scontro finale. E poi Eastwood è geniale nel mettere in risalto il fattore delle scelte e del "rapporto" che si crea tra il cecchino e chi sta dall'altra parte del fucile. Dietro ad ogni suo occhio nel mirino c'è una scelta, sparare o meno, poco importa che l'inquadrato sia una donna o un bambino, ogni scelta pesa moltisimo e non ha nulla a che vedere con moralità o politica, con giusto o sbagliato e nemmeno con l'eroismo. Film sentitissimo e potente, chiaro il punto di vista del regista che però non realizza un prodotto ideologico ma tratteggia un ritratto inquietante e bellissimo del suo protagonista, inquadrando con tormento estenuante e snervante l'attimo precedente in cui Kyle decide per il si o per il no, un film disurbante e destabilizzante, un war western in cui Falluja si trasforma nella città di frontiera presente in ogni buon western interpretato (o diretto) dal buon Clint. Bradley Cooper è eccellente nel riuscire a spingere il pubblico dalla parte del cecchino, ad empatizzare con le sue scelte e col suo compito, mostruoso e alienante, quello di distinguere e valutare in meno di un attimo. Normalmente Eastwood e i suoi film vengono regolarmente ignorati agli Oscar, stavolta un premio, sulle (ben) sei candidature gli è stato assegnato, quello per il miglior sonoro, non certo uno di quelli più "altisonanti", ma un Oscar è pur sempre un Oscar.
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floyd80
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lunedì 22 giugno 2015
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non ne riesci più a fare a meno?
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Una pellicola divisa tra un film di guerra e un film drammatico.
Tra la voglia di non scombussolare troppo con effetti shock ma portando lo spettatore all'interno dell'inferno dell'Iraq quasi con leggerezza.
Ottima regia senza fronzoli particolari a servizio della storia, che ha dell'incredibile e che è tratta da una storia vera. Bravi gli attori, secondo me non eccelsi, ma bravi.
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Una pellicola divisa tra un film di guerra e un film drammatico.
Tra la voglia di non scombussolare troppo con effetti shock ma portando lo spettatore all'interno dell'inferno dell'Iraq quasi con leggerezza.
Ottima regia senza fronzoli particolari a servizio della storia, che ha dell'incredibile e che è tratta da una storia vera. Bravi gli attori, secondo me non eccelsi, ma bravi.
Insomma una pellicola che gioca sull'animo più nascosto di quello umano, l'animale, la belva, una visione se si vuole andare a vedere quasi pessimista. Una volta assaggiato il sangue, la violenza non se ne riesce più a fare a meno? Ne vogliamo sempre di più?
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stefano capasso
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lunedì 13 luglio 2015
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l'attaccamento che annienta
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Chris è un giovane texano che passa il tempo tra rodei e tiro al bersaglio. Un cow boy della provincia che trova il suo motivo di vita quado gli Stati Uniti subiscono l’attacco alle torri gemelle. Decide di entrare nell’esercito per difendere la patria e dopo aver sposato Taya parte per il primo turno di guerra in Iraq. La sua straordinaria abilità di cecchino fa di lui ben presto una leggenda. Cosi per dieci anni Chris si divide tra gli scenari di guerra dell’Iraq dove può mettersi al servizio degli altri e della patria e i periodi di riposo a casa dove il ricordo delle battaglie non gli permette più di vivere serenamente con la famiglia. Quando qualche suo commilitoni muore comincia a capire che è tempo di smettere con la guerra, e il ritorno alla vita normale non sarà affatto semplice.
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Chris è un giovane texano che passa il tempo tra rodei e tiro al bersaglio. Un cow boy della provincia che trova il suo motivo di vita quado gli Stati Uniti subiscono l’attacco alle torri gemelle. Decide di entrare nell’esercito per difendere la patria e dopo aver sposato Taya parte per il primo turno di guerra in Iraq. La sua straordinaria abilità di cecchino fa di lui ben presto una leggenda. Cosi per dieci anni Chris si divide tra gli scenari di guerra dell’Iraq dove può mettersi al servizio degli altri e della patria e i periodi di riposo a casa dove il ricordo delle battaglie non gli permette più di vivere serenamente con la famiglia. Quando qualche suo commilitoni muore comincia a capire che è tempo di smettere con la guerra, e il ritorno alla vita normale non sarà affatto semplice.
Una storia vera questa raccontata in questo film di Clint Eastwood, avvincente e che suscita emozioni e interrogativi. L’idea del racconto almeno per una buona parte è quella di una rappresentazione distaccata, come il protagonista appostato sui tetti vede e uccide i suoi bersagli a centinaia di metri di distanza. La distanza rende il compito quasi un videogioco, non si è sul territorio. Ma quando decide di entrare in prima linea allora la guerra si manifesta in tutto il suo orrore confermando che non esiste una guerra “pulita”.
Il tema che accompagna il racconto delle atrocità dei combattimento è quello del conflitto tra Chris e la moglie, che sembrano avere scopi diversi. Lui combatte per gli Stati Uniti e lei per il loro matrimonio e non riescono più trovare per diversi anni il senso della loro unione.
L’epilogo del film mi ha fatto pensare all’attaccamento. Il protagonista pur avendo il suo compito in Iraq che gli permetteva di svolgere al meglio il suo “ruolo” di salvatore, di colui che aiuta chi è in difficoltà, non riesce a crearsi un altro compito nella vita. Ormai reduce, rimanen attaccato all’unico ruolo che conosce e finisce per esserne annientato
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matrixlele
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lunedì 24 agosto 2015
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bello ma non autobiografico
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Se dovessi dare una definizione originale ai film di Clint, la prima parola che mi viene in mente è : dei film potenti.
Maestria nelle inquadrature la giusta tensione, il giusto dramma interiore del protagonista. Ogni film di Eastwood lascia il segno nel bene e nel male.
Nel bene perché si parla dell'eccellenza nella direzione cinematografica e nel dare i giusti tempi al film,le giuste luci e un mirabile fotografia, nel male perché la biografia del protagonista è stata ammorbidita a piene mani. Il finale toglie quella ventata di conservatorismo repubblicano per cui Eastwood ha sempre simpatizzato ma messo in discussione in quasi ogni suo film. In cui ti viene da dire: "ma tutto questo alla fine,che senso ha avuto"? ma resta comunque il fatto che il protagonista nella sua autobiografia non ha rimesso in discussione assolutamente niente di cio che ha fatto,anzi dichiarando di trarre gusto da ciò che faceva.
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Se dovessi dare una definizione originale ai film di Clint, la prima parola che mi viene in mente è : dei film potenti.
Maestria nelle inquadrature la giusta tensione, il giusto dramma interiore del protagonista. Ogni film di Eastwood lascia il segno nel bene e nel male.
Nel bene perché si parla dell'eccellenza nella direzione cinematografica e nel dare i giusti tempi al film,le giuste luci e un mirabile fotografia, nel male perché la biografia del protagonista è stata ammorbidita a piene mani. Il finale toglie quella ventata di conservatorismo repubblicano per cui Eastwood ha sempre simpatizzato ma messo in discussione in quasi ogni suo film. In cui ti viene da dire: "ma tutto questo alla fine,che senso ha avuto"? ma resta comunque il fatto che il protagonista nella sua autobiografia non ha rimesso in discussione assolutamente niente di cio che ha fatto,anzi dichiarando di trarre gusto da ciò che faceva. Questo Clint per onestà intellettuale avrebbe dovuto "dirlo". O forse non l'ha volutamente sottolineato perché non lo condivideva, ma facendo così ha dato al protagonista,un bravissimo Brad Cooper un'immagine molto più umana di quella emersa dal suo libro. Mitizzzandolo forse più di quello che meritava.
Comunque sia come dicevo all'inizio un film bello,potente, basta non prenderlo per vero.
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mauro
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mercoledì 26 agosto 2015
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al cuore ramon
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Se vuoi uccidere un uomo devi sparargli al cuore! Clint è un cecchino delle emozioni e se vuoi avere successo devi far provare emozioni, creare l'aspettativa e la tensione dell'evento poi mantenerla con la velocità di un fulmine, Clint è tutta la vita che fa questo e lo sa fare, non importa di quale colore siano queste emozioni, la verità è tutta qui. Analizziamo il fim, cosa ci racconta in più dei telegiornali, dei dossier sui reduci ormai innumerevoli? Non è vero che si tratti di un film di denuncia della guerra, dei suoi effetti ecc... perchè in tal senso sarebbe stato inutile ce ne sono tanti ormai. Questo film è il reportage della vita di un uomo e basta.
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Se vuoi uccidere un uomo devi sparargli al cuore! Clint è un cecchino delle emozioni e se vuoi avere successo devi far provare emozioni, creare l'aspettativa e la tensione dell'evento poi mantenerla con la velocità di un fulmine, Clint è tutta la vita che fa questo e lo sa fare, non importa di quale colore siano queste emozioni, la verità è tutta qui. Analizziamo il fim, cosa ci racconta in più dei telegiornali, dei dossier sui reduci ormai innumerevoli? Non è vero che si tratti di un film di denuncia della guerra, dei suoi effetti ecc... perchè in tal senso sarebbe stato inutile ce ne sono tanti ormai. Questo film è il reportage della vita di un uomo e basta. Lo sappiamo tutti che in guerra muoiono innocenti, che la stessa sia un atto criminale e non basti l'autorizzazione umana per giustificare l'uccisione di altri individui. Qual'è allora il meccanismo psicologico messo in atto per ottenere il successo? Perchè che ci crediate o no le grandi produzioni americane non fanno film con l'obbiettivo primario d'istruire, o condannare, ma di guadagnare e tutto viene pianificato, soprattutto l'impatto sullo spettatore. Il meccanismo è in parte quello descritto all'inizio della recensione e la seconda parte fa leva sul fatto che anche l'estrema efferatezza dei gesti più crudeli si svolga in una safety box, lo spettatore lo sa e qualcuno s'illude di aver capito cosa sia la guerra, cosa voglia dire uccidere un uomo, essere feriti in battaglia e tutto il resto, mangiando il suo secchiello di pop corn al sicuro nella sala accogliente a 1km da casa. Non è vero niente, quello che manca a questo genere di film è proprio la possibilità di raccontare tutto ciò, perchè va oltre all'immaginazione di una persona cresciuta al riparo da certe situazioni, vuoi sapere cos'è la guerra? Guardati i reportage fotografici e video, quelli veri, se ce la fai. Ciò che rimane è proprio il racconto personale di un individuo attraverso le sue memorie, riadattate ed alla fine è solo cinema. E' la solita ipocrisia di una parte del mondo occidentale che a chiacchiere odia la guerra, si scandalizza per le atrocità compiute in nome di questo o quell'altro motivo, poi però non fa tante storie e non le interessa, o non vuol vedere da dove derivino la propria sicurezza e benessere e la verità è che il Kyle di turno che ci copre le spalle ad un certo punto deve saper anche morire senza far tanto rumore, per non impegnare troppo la nostra coscienza. Tolto che sono sicuro un sacco di persone siano andate al cinema col solo scopo di vedere la vita di un cecchino perchè in qualsiasi contesto il killer attira sempre! Belle le emozioni ma bisogna anche imaprare a ragionarci sopra, altrimenti si rimane fregati dall'apparenza. Sono film strani questi, di cui mi fido poco, temo che una gran parte miri solo ai soldi sfruttando ancora una volta le storie ed il dramma di gente che forse non andrebbero ridotte alla finzione del cinema.
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andrea alesci
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giovedì 27 agosto 2015
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il riflesso della guerra dentro un mirino
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La prospettiva di un cecchino che non c’è più: il mezzo con cui Clint Eastwood ci mostra la ferita aperta della guerra in Iraq. È lo sguardo di Chris Kyle (Bradley Cooper), Navy Seal della Marina degli Stati Uniti con patente da infallibile sniper (tiratore scelto), capace in sei anni di servizio di uccidere 160 bersagli, 160 vite umane che ad ogni nuova ricarica del fucile lo avvincono in una letale morsa psicologica.
Il vecchio Clint non prende posizione ma lascia a noi decidere che cosa è stato bene o male in quel conflitto in Medioriente: semplicemente ci mette accanto alla storia di Chris Kyle, cresciuto in Texas con un padre che vedeva il mondo tripartito: le indifese pecore; i lupi, che azzannano le pecore; i cani-pastore che difendono le pecore dai lupi.
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La prospettiva di un cecchino che non c’è più: il mezzo con cui Clint Eastwood ci mostra la ferita aperta della guerra in Iraq. È lo sguardo di Chris Kyle (Bradley Cooper), Navy Seal della Marina degli Stati Uniti con patente da infallibile sniper (tiratore scelto), capace in sei anni di servizio di uccidere 160 bersagli, 160 vite umane che ad ogni nuova ricarica del fucile lo avvincono in una letale morsa psicologica.
Il vecchio Clint non prende posizione ma lascia a noi decidere che cosa è stato bene o male in quel conflitto in Medioriente: semplicemente ci mette accanto alla storia di Chris Kyle, cresciuto in Texas con un padre che vedeva il mondo tripartito: le indifese pecore; i lupi, che azzannano le pecore; i cani-pastore che difendono le pecore dai lupi. Quel cane-pastore che il piccolo Chris dimostra d’essere già da bambino, quando difende il fratello Jeff dal pestaggio di un bullo.
Ed è proprio un bambino – pronto a gettare una granata addosso ai marines – che finirà nel mirino di Chris Kyle, e sarà il congegno perché noi conosciamo il suo passato: la decisione di trasformare la sua vita da cavalcatore-di-rodeo in servitore della patria con l’arruolamento nel 1999, sospinto dagli attentati alle ambasciate Usa in Tanzania e Kenya del 1998; l’amore e il matrimonio con la fascinosa Taya (Sienna Miller); l’attesa di diventare padre di un bimbo. In venti minuti tutto scorre sospeso nell’aria come il tragitto di un proiettile che da lontano fende l’aria. Quel proiettile che in un attimo ucciderà il bambino-con-la-granata, quel proiettile che per il soldato Chris Kyle sarà il principio di un futuro da “Leggenda”. E la condanna a convivere con gli spettri delle vite spezzate.
Fra macerie di abitazioni assistiamo alle brutture di un conflitto nel quale nessuno è al sicuro, nemmeno gli iracheni, che pagano le confidenze ai soldati americani con le torture del “Macellaio” (Mido Hamada), spietato assassino al servizio di Al Zarqawi e capo del cecchino Mustafa (Sammy Sheikh), il quale combatte a distanza una battaglia personale contro Chris. Questa è la storia vera di un giovane americano entrato nell’esercito del proprio Paese per difenderlo dalle minacce del terrorismo, ma poi incapace di tornare a vivere la propria vita lontano dalla guerra, intrappolato dentro quel mirino da puntare su nemici che si aggirano nelle vie distrutte dalle bombe, sopra i tetti di città decrepite. Un uomo derubato di quell’umanità che tanti troppi veterani faticano a recuperare una volta in patria.
Eppure Chris torna (illeso) negli Stati Uniti, dopo aver colpito il suo ultimo bersaglio, quel Mustafa che aveva seminato morti attraverso la precisa lente di un altro fucile da cecchino. Chris Kyle torna dalla moglie e dai figli, torna per riuscire a guarire dalle conseguenze di una guerra che Clint Eastwood ci ha mostrato con spietata lucidità al ritmo di caricatori che si scaricano su corpi di uomini. Torna a casa dopo aver ucciso 160 persone, torna e cerca di guarire dai fantasmi dell’Iraq (nel 2009 lascerà la Marina); ma nel 2013 proprio un veterano che stava aiutando a dimenticare quei traumi post-bellici lo uccide all’età di soli 38 anni.
Uccide un uomo, che Eastwood ci ha fatto conoscere fra le tracce di carri armati e blindati, fra pallottole che incidono la carne, granate che esplodono, incursioni nelle case di Falluja, Ramadi, Sadr City. Lì dove c’è la storia umana di Chris Kyle, universale paradigma per le conseguenze di una guerra che sta a noi giudicare.
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