st7no
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lunedì 9 ottobre 2017
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allacciate le cinture
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Un lavoro perfetto dall' inizio alla fine. Un sussegguirsi continuo di emozioni e di sentimenti. Un emozionante racconto reale di una guerra assurda in tutto per tutto, cancro profondo di una mentalità che nonn potrà mai essere cambiata. Cambiano le armi, le persone, cambiano gli scenari di guerra, ma non cambierà mai la condizione per cui qualcuno debba prevericare qualcun altro. Tutto il resto, e' un C. Eastwood, sempre piu' magnifico!!!!
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valterchiappa
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mercoledì 20 settembre 2017
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un'eroe americano
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È noto che Sergio Leone, parlando, con la arguzia che gli era solita, del Clint Eastwood attore, ebbe a dire: “a quell’epoca aveva solo due espressioni: con il cappello e senza cappello”. Questa povertà di mezzi espressivi, sublimata secondo gli estimatori del vecchio Ispettore Callaghan in sobrietà e rigore, è diventata la cifra stilistica della sua opera.
Per questo “American sniper” è “il film” di Clint Eastwood. Qui si parla di guerra, signori. Quella del terzo millennio, ipertecnologica quanto si vuole, ma ancora fatta di uomini, di macerie, di rumore assordante, di sangue che spruzza sempre rosso.
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È noto che Sergio Leone, parlando, con la arguzia che gli era solita, del Clint Eastwood attore, ebbe a dire: “a quell’epoca aveva solo due espressioni: con il cappello e senza cappello”. Questa povertà di mezzi espressivi, sublimata secondo gli estimatori del vecchio Ispettore Callaghan in sobrietà e rigore, è diventata la cifra stilistica della sua opera.
Per questo “American sniper” è “il film” di Clint Eastwood. Qui si parla di guerra, signori. Quella del terzo millennio, ipertecnologica quanto si vuole, ma ancora fatta di uomini, di macerie, di rumore assordante, di sangue che spruzza sempre rosso. È la guerra, disumana, assurda, folle come sempre, altro che videogame.
Ed è parlando di guerra che la basilare sintassi di Eastwood trova la sua massima espressività. Niente mezze tinte: ci sono i buoni (gli americani, ovviamente) ed i cattivi; ci sono valori forti, chiari, incontestabili: Dio, Patria, Famiglia. Non c’è da argomentare: il cattivo lo è indiscutibilmente, i suoi atti sono bestiali (e lo sono senz’altro), ucciderlo è un tragico dovere, anche quando ha le sembianze di una donna o di un bambino: l’american sniper è pronto a rispondere davanti al Creatore di ciascuna delle sue 160 vittime.
La storia è quella di Chris Kyle, il cecchino più infallibile della recente storia militare americana e della sua tragica parabola umana. Educato ad essere il “cane da pastore” che salva le pecore dai lupi, forgiato sulle selle dei cavalli da rodeo, addestrato ad essere una macchina da guerra, un moderno Achille armato del suo fucile e della sue Fede incrollabile, si immerge nell’inferno iracheno fino a diventarne parte inseparabile (i nemici lo chiamano il “Diavolo” di Ramadi), fino a non saperne più uscire fuori.
Così come il suo eroe, anche Eastwood, con la sua macchina da presa, è a suo agio sul campo di battaglia. Le scene di guerra sono perfette e fanno di “American sniper” uno dei capolavori del genere: nude nello squallore delle città diroccate e deserte, assordanti dello stridore dei cingoli, del crepitio degli spari, del tonfo dei boati, esasperate nella tensione continua e portata allo spasimo; fra le altre, memorabile per drammaticità e suggestione la battaglia nella tempesta di sabbia.
Il vecchio cowboy non rinuncia però a strumenti narrativi che gli sono noti o cari: anche nell’inferno di Ramadi la guerra può diventare un duello da “Mezzogiorno di fuoco” tra il nostro sniper “buono” e l’implacabile cecchino cattivo, sfida a due da risolvere con un colpo impossibile di cui seguire, rallentata, la traiettoria.L’occhio di Eastwood è fotografico: non giudica, mostra al pubblico. Il dito sul grilletto, tremante prima di far fuoco su un bambino, la crudeltà dei torturatori, il dolore, le urla, il sangue. Con altrettanta onestà racconta la guerra che continua al di fuori dei campi di battaglia: il disgusto delle amputazioni, le protesi, il dramma delle famiglie e soprattutto la lotta contro il PTSD, il disturbo post traumatico da stress, il nemico silenzioso e letale come un guerrigliero khmer, diffusosi come una pandemia negli States già dai lontani tempi del Vietnam.
Fino a che punto ha senso la gloria, si chiede una madre davanti alla bara del figlio, e questo forse è il senso del film. Ma non c’è condanna: la fede di Eastwood è salda come quella del suo soldato. Gli americani restano i buoni, i “cani da pastore” del mondo, e il suo cecchino, uccisore di 160 nemici, fra cui donne e bambini, è un eroe da celebrare con dispiego di bandiere (pietosamente fra l’altro vengono taciute pagine oscure della vera vicenda di Kyle, macchiatosi di un duplice omicidio e salvato dai suoi gloriosi trascorsi bellici). Tutto il male viene dichiarato, è vero, ma appare solo una dolorosa necessità.
Dio sa quanto siamo lontani da questa visione e dall’imperialismo americano. Però non possiamo non riconoscere a Clint Eastwood l’onestà cristallina e la convinta fede nei suoi valori. Ma soprattutto, dopo questo film, non elevarlo nell’empireo dei grandi registi e dei grandi narratori del nostro tempo.
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vepra81
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lunedì 3 aprile 2017
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troppe parole poca azione
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Un film dove tutti sparano ma poi poco succede. Più parole che pallottole. Trama del film un pò banale. Un Segal che si siede e aspetta tranquillo. Pensavo di vivere più l'azione del film ma spesso mi sono annoiato. Trama da rivedere e rimpolpare con qualche emozione in più.
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annalisarco
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domenica 19 marzo 2017
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infallibile eastwood
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Un Clint Eastwood la cui regia raggiunge livelli molto alti in questo film che racconta la storia di ChrisKyle, cecchino dell’esercito americano realmente esistito e già noto prima di questa pellicola per la sua mira impeccabile.
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Un Clint Eastwood la cui regia raggiunge livelli molto alti in questo film che racconta la storia di ChrisKyle, cecchino dell’esercito americano realmente esistito e già noto prima di questa pellicola per la sua mira impeccabile. Non è facile raccontare una storia che sia un mix tra dramma, guerra, biografia, con un tema delicato come quello della morte. Perché seppur eroico, Kyle è un assassino, un militare con il compito di uccidere a sangue freddo qualunque nemico si appresti a insidiare l’esercito americano. Non ci sono cattivi e buoni, non ci sono eroi, non ci sono azioni moralmente giuste e sbagliate, c’è solo la realtà crudele e insensata della guerra. Bradley Cooper è semplicemente fantastico, riesce soltanto attraverso il suo sguardo a catapultarci nel suo stato d’animo : rabbia, paura, orgoglio, fierezza, disprezzo, consapevolezza del non essere nel giusto ma neanche nel torto. Uccidere un bambino non è giusto, non può mai esserlo, e questa esperienza è il punto cruciale nella vita di Kyle, è il suo primo sparo su un bersaglio vivo, il suo primo morto sulla coscenza e di certo non è quello che si aspettava. Mesi di addestramento e di tiri al berasglio non sono minimamente comparabili al campo e niente può prepararti davvero. Quei rumori, quegli scenari, quelle urla, rimarranno sempre nella testa del cecchino che, come spesso accade, non riesce a tornare indietro se non fisicamente. Il ritorno alla vita ordinaria non potrà che essere segnato da quello a cui è venuto a conoscenza: la guerra. Si sa che nel mondo c’è anche questo, ma viverlo e tutt’altro. Sapere che la gente muore mentre noi viviamo le nostre vite, circondati giornalmente dai nostri problemi falsamente importanti, non è qualcosa che Kyle può accettare. Eppure le nostre àncore di salvezza sono sempre le persone che amiamo: Taya (Sienna Miller), la sua bellissima e coraggiosa moglie, i loro bambini. Una storia che trascina lo spettatore avanti e indietro in due realtá, una familiare e una paradossale, ma entrambe reali. Eastwood e Cooper riescono a farci entrare nella testa di Kyle, nel suo cambiamento interiore, a mostrarci quanto più grande sia il mondo là fuori e quanto inutili e allo stesso tempo importanti siano le piccolezze di ogni giorno. Tutto è relativo: la guerra, falsamente doverosa ma in realtà insensata; la quotidianità, una piccolezza apparente ma la più grande ricchezza quando la perdi; la famiglia, l’unica cosa che conta. Molte delle nostre scelte avvengono per una ragione, spesso dimenticata, e questo è ciò che ci racconta Eastwood con una breve escursione nell’infanzia di Kyle :”Ci sono tre tipi di persone: le pecore, i lupi e i cani da pastore”. Questa frase del padre di Chris pronunciata davanti ai figli piccoli, è stata l’inizio di tutto. Le pecore e i lupi non sono ammessi nella loro famiglia, non si deve aver paura nè tantomeno essere aggressivi; si deve proteggere il gregge, si deve essere il cane disposto a dare la sua vita per gli altri, bandito l’egoismo. E questo è quello che Chris vuole, difendere anche con la vita il proprio paese. Una fedeltà ai valori con cui è cresciuto che però non rendono meno grave il togliere delle vite, e Chris lo sa bene. Non si considera un eroe, non è fiero di quello che fa, l’unica cosa che lo spinge a continuare è il sapere che, in quelle circostanze, lui è il cane da pastore. Una fotografia spenta e adatta alla storia, sequenze alternate da un ritmo veloce per la quotidianità famigliare e lento per il racconto sul campo. Quelle ore su un tetto a scrutare invisibile le persone dentro ad un mirino, senza poter fare distinzione tra loro perché in quel momento sono semplicemente possibili bersagli. Chi c’era dietro a quella figura? Era un padre di famiglia? Una madre? Ormai è solo un corpo morto, perché è questo il destino riservato a chi, anche per un momento, ha scelto di togliere delle vite all’esercito americano. Ma quell’apparentemente semplice gesto del dito di Kyle è il responsabile della fine di una vita e dell’inizio di un tormento interiore, sempre. Orgoglio, giustizia, orrore, consapevolezza; tutto è mischiato, tutto scorre lento e veloce, paradossale e reale. American Sniper non si schiera, non ha la presunzione di dire ciò che gli americani fanno sia giusto, si limita a raccontare una storia e lo fa nel modo migliore.
Altre recensioni su:
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greatsteven
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giovedì 16 marzo 2017
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un film onesto sull'odierna guerra al terrorismo.
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AMERICAN SNIPER (USA, 2015) diretto da CLINT EASTWOOD. Interpretato da BRADLEY COOPER, SIENNA MILLER, JAKE MCDORMAN, LUKE GRIMES, NAVID NEAHBAN, KEIR O'DONNELL
Chris Kyle fa il cowboy nei rodei del Texas, e viene addestrato fin da bambino dal padre a sparare alla cacciagione.
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AMERICAN SNIPER (USA, 2015) diretto da CLINT EASTWOOD. Interpretato da BRADLEY COOPER, SIENNA MILLER, JAKE MCDORMAN, LUKE GRIMES, NAVID NEAHBAN, KEIR O'DONNELL
Chris Kyle fa il cowboy nei rodei del Texas, e viene addestrato fin da bambino dal padre a sparare alla cacciagione. Quando assiste per televisione all’attentato alle Torri Gemelle dell’11/09/2001 e si rende conto dell’avanzata della minaccia terroristica, decide di arruolarsi nei Seals. Prima di partire per l’Iraq, si sposa con Taya, lasciandola incinta. Raggiunto il Medio Oriente, gli viene affidato il delicato e pericolosissimo compito di proteggere i marines dai terroristi islamici e dai kamikaze umani. Chris prende molto sul serio la sua missione difensiva nei confronti dei commilitoni, lavorando con impegno e abnegazione, ma quando poi rimpatria e riabbraccia la moglie che nel frattempo ha partorito il loro figlio, sentirà che quella cosa da cui non riesce a liberarsi né a smarcarsi col pensiero è proprio la guerra, che lo ha sia attratto come una droga sia contagiato nel profondo dell’anima. Di recente Eastwood si concentra su episodi della storia statunitense recente (basti pensare all’ultimo, ottimo Sully, una spanna sopra American Sniper) e li racconta non con un taglio documentaristico, ma mettendo sempre al centro la storia e i personaggi che la popolano, descrivendo queste vicende con un tono decisamente cinematografico. Anche troppo, perfino. E questo è il difetto di questo war movie (invenzione mia, N.d.A.), che concentra un’eccessiva attenzione alla psicologia del protagonista, mettendo in secondo piano i moventi patriottici dell’esercito americano nei confronti della lotta contro il terrorismo di Al-Qaeda, nel senso che il nazionalismo (e anche un po’ razzismo) di Chris Kyle (un B. Cooper in stato di grazia, che ci regala un’interpretazione intensa e coi fiocchi) è molto personale e addirittura autoreferenziale: parte sì dal presupposto di proteggere il suo Paese, ma poi finisce per muoversi su binari egocentrici, dimenticando il valore di un’azione che viene fatta per il bene di un’intera nazione. Altro handicap del film è la storia d’amore che comunque riveste un peso fondamentale, malgrado la prevalenza della guerra come elemento centrale: la love story fra Chris e Taya (S. Miller non in formissima, ma pur sempre funzionale) viene costruita troppo in fretta, senza l’inserimento di un "dietro le quinte" sufficiente a spiegare come nasce la passione fra un cecchino Seal e una donna che necessita di affetto, coniugale e materno insieme. Gli aspetti positivi, invece, oltre alle già sopracitate prove di recitazione di ottima qualità, riguardano l’eccellente gestione dei momenti di violenza, alternati a quelli di tranquillità: il montaggio, in questo senso, aiuta parecchio ad equilibrare l’azione, consegnando agli spettatori i minuti di suspense di quando Kyle mira una donna e suo figlio mentre cercano di far esplodere una granata senza che nessuno li veda, e altresì la lunga sequenza della tempesta di sabbia, in cui i soldati si muovono nel tentativo disperato, ma coronato da successo, di portare a compimento la loro cruciale missione militare. Non è un film antibellicista, anzi, spiattella un nazionalismo un po’ sfegatato, riconducibile al pensiero intimamente repubblicano del regista, ma non si schiera tuttavia a favore della guerra, ritraendola piuttosto come un veicolo per edificare e ottenere la pace. L’indice contro la barbarie autodistruttiva dei fondamentalisti mediorientali è comunque puntato con fermezza. Non è fra i migliori dell’ultimo Eastwood, e rivela un’insolita vena di stanchezza, e avrebbe potuto essere valorizzato meglio se avesse prediletto un taglio meno narrativo, pur conservando comunque una cornice adatta alla settima arte, e adottato piuttosto un metodo storico-sociologico nel dipingere il ritratto mostruoso e inquietante dell’imbarbarimento che dilania il Medio Oriente dall’epoca dell’11 settembre. Cooper candidato all’Oscar, ma gli fu preferito Eddie Redmayne per La teoria del tutto. Peccato. Ma non si può negare che Clint rimanga sempre un narratore di prima categoria, che tiene in grande considerazione la storia e utilizza un’altra Storia (con la S maiuscola), del Paese in cui è nato e al quale è legato da un sentimento viscerale, per restituire dignità a individui quasi sconosciuti, ma che hanno comunque compiuto imprese eroiche e meriterebbero pertanto una fama superiore. Lui, da quando si è consacrato come cineasta anche dietro la macchina da presa, cerca di agire affinché questo avvenga.
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samanta
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mercoledì 15 marzo 2017
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un eroe comune
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Quando era uscito American Sniper l'avevo visto al cinema, pochi giorni fa l'ho rivisto in TV e non posso che confermare l'impressione positiva che ne ebbi allora.
E' il solito film di Clint Eastwood intendendo come "solito" non un film banale, ma sempre uno spettacolo di qualità. Clint ci ha abituati ormai a sfornare film che pur nella varietà dei giudizi si collocano sempre su valori medio alti, sono film solidi semplici strutturati per appassionare lo spettatore e nello stesso tempo narrare una storia umana che coivolge lo spettatore.. Diceva il grande Hitchcock che tre sono i requisiti di un buon filme "la storia, la storia e poi la storia .
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Quando era uscito American Sniper l'avevo visto al cinema, pochi giorni fa l'ho rivisto in TV e non posso che confermare l'impressione positiva che ne ebbi allora.
E' il solito film di Clint Eastwood intendendo come "solito" non un film banale, ma sempre uno spettacolo di qualità. Clint ci ha abituati ormai a sfornare film che pur nella varietà dei giudizi si collocano sempre su valori medio alti, sono film solidi semplici strutturati per appassionare lo spettatore e nello stesso tempo narrare una storia umana che coivolge lo spettatore.. Diceva il grande Hitchcock che tre sono i requisiti di un buon filme "la storia, la storia e poi la storia ...". Direi che Clint ha assimilato la lezione del buon "Hitch" , i suoi non solo sono buoni films che raccontano buone storie ma, a mio giudizio, spesso sono dei capolavori cito ad esempio: Gli spietati, Un mondo perfetto,I ponti di Madison Country, Fino a prova contraria, Mistic River, Lettere da Ivo Jima, Flags our fathers, Changelling, Gran Torino, Hereafter. Clint affronta temi delicati come l'eutanasia, la vita nell'al di là, l'integrazione razziale con forza e nello stesso tempo semplicità. Fa specie che abbia ottenuto solo due Oscar per la migliore regia (Gli spietati e Million Dollar Baby) e nessun Oscar come migliore attore (basti pensare che l'interpetazione magistrale di Gran Torino non venne neanche ritenuta degna della nomination) o come Miglior Film, per AmeRican Sniper in patria ebbe un tale successo (solo in USA incassò 350 milioni di dollari) che lo stesso Politically Correct di HollYwood non potè fare a meno di nominarlo ovviamente non premiandolo con l'Oscar.
American Sniper e cioè un "cecchino" americano come molti film di Clint è tratto da una storia vera e dal libro autobiografico scritto da Chris Kyle. Il personaggio interpretato da Bradley Cooper è un cowboy fin da piccolo abituato ad usare il fucile per la caccia che si arruola neel Navy Seal (Corpo speciale della marina), si sposa con Taya interpreta nel fim da Sienna Miller e da cui ha due figli. Dopo l'11 settembre chiede di andare in Irak a combattere con una semplice motivazione: voglio difendere il mio paese. In Irak farà 4 turni di combattimento per circa 3 anni complessivi. Viene utilizzato come cecchino per proteggere le operazioni dei propri commilitoni. Uccide 160 nemici riconosciutigli dai superiori (in realtà 255). Viene ferito tre volte e gli vengono conferite 10 decorazioni e diventa una leggenda, gli avversari metteranno una taglia di decine di migliaia di dollari sulla sua testa.e lo chiameranno il "diavolo". Nel 2009 chiede il congedo e ritorna in patria, ma come molti il ritorno alla vita normale gli crea parecchi problemi psicologici, finché il medico che lo cura capisce il motivo della sua angoscia: è tormentato dal ricordo dei commilitoni morti che non riuscì a salvare, allora gli suggerisce di aiutare a salvare i tanti commilitoni che sono negli ospedali traumatizzati per le ferite riportate e hanno bisogno di un aiuto. Chris si dedica a questa missione che gli permette di riacquistare la serenità anche nei rapporti familiari. Nel 2013 un commilitone traumatizzato con problemi psichici lo uccide. Nel finale del film vengono proiettati alucne scene degli imponenti funerali che gli vennero resi.
Il film è ben costruito la figura del cecchino è una figura semplice che ama la patria che però si pone problemi di coscienza ad esempio quando deve sparare a donne o bambini che stanno per lanciare bombe contro i soldati, che fa il suo dovere senza enfasi e vanagloria ma che ha il suo unico scopo di salvare più vite possibili dei soldati americani e che non prova certo piacere a uccidere. Si pone certo tanti problemi anche in famiglia ma cerca di affrontarli con coraggio senza spavalderia. Clint ha diretto il film con tocco lievo lasciando parlare e le immagini o il volto del protagonista. Gli attori sia Cooper che Sienna Miller e gli altri comprimari recitano senza una sbavatura ma con discrezione direi. Sia la fotografia che il sonoro sono eccellenti. Insomma un film con una bella storia da 5 stelle.
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gustibus
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lunedì 13 marzo 2017
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bellissimo film di un superbo clint!
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Dal titolo poteva sembrare il solito FILM di guerra sui cecchini.Questo stupendo film fa brillare gli occhi da quanto puo'sprigionare la schifezza della guerra nell'immaginario di ognuno di noi.Eastwood qui e'da oscar!..criss Kyle non E'UN eroe..ha solo la capacita'di sparare con precisione millimetrica a distanze enormi...nel film fino a 1900metri..per il resto e'umano come noi..ha un cuore per gli altri...insomma gli antieroi cari al regista che li descrive sempre come fossero personaggi in una poesia.Opera magistrale da vedere e rivedere.EASTWOOD dovrebbe aggirarsi sugli 87anni ma lo annovero tra i migliori 5registi al mondo viventi...forse il nostro grande "sergio leone" dicendo che sapeva solo fumare il sigaro si.
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Dal titolo poteva sembrare il solito FILM di guerra sui cecchini.Questo stupendo film fa brillare gli occhi da quanto puo'sprigionare la schifezza della guerra nell'immaginario di ognuno di noi.Eastwood qui e'da oscar!..criss Kyle non E'UN eroe..ha solo la capacita'di sparare con precisione millimetrica a distanze enormi...nel film fino a 1900metri..per il resto e'umano come noi..ha un cuore per gli altri...insomma gli antieroi cari al regista che li descrive sempre come fossero personaggi in una poesia.Opera magistrale da vedere e rivedere.EASTWOOD dovrebbe aggirarsi sugli 87anni ma lo annovero tra i migliori 5registi al mondo viventi...forse il nostro grande "sergio leone" dicendo che sapeva solo fumare il sigaro si..sbaglio'!.succede anche ai maestri.
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laurence316
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martedì 1 novembre 2016
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polpettone propagandistico retorico e patriottardo
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Eastwood, con questo suo nuovo film, rinnega le vette raggiunte con film quali Lettere da Iwo Jima, prestandosi ad un'operazione di pura propaganda filo-americana, intrisa di ipocrisia, retorica e grossolano patriottismo. La sceneggiatura è inconsistente e, come l'autobiografia da cui è tratta, riduce il conflitto iracheno ad uno sparatutto "buoni contro cattivi" in cui viene favolisticamente raccontato che tutto è o bianco o nero, privo di sfumature.
American Sniper è un film in cui si tralascia consapevolmente e colpevolmente il contesto storico, un film che rappresenta gli iracheni come dei mostri sanguinari, bestiali e selvaggi, mentre gli americani sono il simbolo della libertà, e si sacrificano eroicamente per il bene dell'intera umanità.
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Eastwood, con questo suo nuovo film, rinnega le vette raggiunte con film quali Lettere da Iwo Jima, prestandosi ad un'operazione di pura propaganda filo-americana, intrisa di ipocrisia, retorica e grossolano patriottismo. La sceneggiatura è inconsistente e, come l'autobiografia da cui è tratta, riduce il conflitto iracheno ad uno sparatutto "buoni contro cattivi" in cui viene favolisticamente raccontato che tutto è o bianco o nero, privo di sfumature.
American Sniper è un film in cui si tralascia consapevolmente e colpevolmente il contesto storico, un film che rappresenta gli iracheni come dei mostri sanguinari, bestiali e selvaggi, mentre gli americani sono il simbolo della libertà, e si sacrificano eroicamente per il bene dell'intera umanità. Distorce la realtà in favore del suo messaggio patriottico e militarista, semplicistico, retorico e ignorante. E "che il protagonista sia in buona fede è un'aggravante che denuncia, peraltro involontariamente, il devastante vuoto culturale e intellettuale in cui si alligna l'intervento militare americano in Medio Oriente" (Morandini).
La perizia tecnica dell'Eastwood regista è innegabile, ma l'ideologia che dovrebbe sorreggere il film in realtà lo affossa. Ottimi, comunque, la recitazione del protagonista Cooper e i contributi tecnici, dalla fotografia di Stern al montaggio di Cox e Roach alle scenografie di Cardenas e Murakami.
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mercoledì 14 settembre 2016
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orgoglio americano
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Una delle tante storie che i soldati hanno da raccontare. protagonista incredibile, ma piove sul bagnato! da film del genere capiamo quanto gli americani siano orgogliosi...ma allo stesso tempo matti per la guerra
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