Francois Ozon ha un debole per l’ambiguità. Le vicende di apparente benessere borghese di famiglie altrettanto rispettabili pare una calamita per lo sceneggiatore/regista francese che già nell’ultimo Dans La Maison (Nella casa) , aveva dato luogo a un tormentato rapporto tra professore e discente, il competente Germain e il timido Rapha.
Nel suo ultimo film, nelle sale dal 19 marzo, apprezzato in un cinema centrale che presentava una sala quasi nelle viscere della terra, l’Elettra dell’Apollo della Galleria de Cristoforis a due passi dal Duomo, l’atmosfera è pesante, satura di inquietudine e al termine, quando rivediamo la luce del sole nel tiepido pomeriggio primaverile, quel fabbisogno di trasparenza che noi spettatori, almeno io questa la mia sensazione, abbiamo ricercato nell’ora e quaranta di proiezione, trova giustificazione in quattro passi per chiarire alcune scene che di primo acchito alla visione del film possiamo aver trascurato.
Una nuova amicaè il titolo di una commedia, un misto di melò e dramma che stordisce sin dalla prima scena: la scena di apertura che mostra sulle note di una marcia nuziale, il volto cereo e rigido della morte. La morte che si fa bella, si traveste da sposa in una bara bianca lentamente riposta nei meandri della terra, ha il volto di Laury, una giovane donna amante della vita purtroppo consumata pochi mesi dopo il matrimonio e la nascita della piccola Lucy, da un male incurabile che l’ha portata in breve alla tomba. Claire, sua amica del cuore, che ha condiviso con Laury una relazione molto profonda di amicizia sin dall’infanzia, di condivisione di momenti magici e indimenticabili (il primo bacio, le prime avventure amorose, le prime delusioni) e anche dolorosi, è affranta e sconvolta. La sua “Laury” con la quale aveva suggellato un patto profondo di sangue e inciso un cuore nel bosco come simbolo di un’amicizia che mai sarebbe morta, oramai non è che un barlume che illumina le sue giornate senza senso fatte di profonda prostrazione a cui nemmeno il marito, rampante giovane affarista,sembra porre rimedio.
Claire, lentigginosa e rossa, piccola e minuta, oscuramente attratta dal fantasma di una donna che non esiste più, promette al funerale dell’amica di proteggere, consolare l’affranto marito David e prendersi in parte cura della piccola Lucy. Ma ciò che potrebbe sembrare un avvicinamento e la nascita di un triangolo (lei consola il vedovo per rimanere quanto più possibile vicina e percepire ancora l’essenza dell’amica morta) nasconde un torbido segreto che allo spettatore è mostrato subito, senza fronzoli, quindici minuti dopo l’inizio: David ha sempre mostrato un desiderio innato per i vestiti femminili tanto da provare il desiderio di travestirsi da donna, vagare con vestiti da donna in casa e ora, alla morte della moglie, allattare la piccola figlia indossando gli abiti che furono di Laury. Sconvolta e quasi eccitata da quell’idea che le rimembra in qualche modo il fantasma della donna amata, vagheggiata e da cui è stata fugacemente strappata a causa di una malattia maledetta, Claire inizierà quello che è un gioco inquietante con David, assecondando le sue “perversioni”, stando al gioco, accompagnandolo in abiti femminili a fare shopping e spingendosi sempre oltre, in una spirale di segreti e non detti (al marito,alla famiglia, ai genitori di David) dalle conseguenze imprevedibili.
Ed è su questo che il film di Ozon si impernia: il regista, sfruttando la maschera di cera di Romain Duras, assai abile nel ricoprire il ruolo di transgender incofessato, studia i comportamenti di una coppia apparentemente “normale”, ne infonde uno sguardo impietoso e sprezzante nei confronti dei “diversi” che la società non sempre guarda con affetto (l’episodio dello shopping e dell’albergo sono esemplari in tal senso), senza spiegare le ragioni che hanno condotto un uomo a essere attratto per qualcosa che la natura non gli ha concesso ma analizzando, oggettivamente, i turbamenti della vera protagonista, Claire (Anaïs Demoustier), prima quasi inorridita dal comportamento del vedovo e,via via che il tempo avanza e le affinità sono più complici, più fugacemente attratta da quei codici meno consueti da quella comunicazione sempre più compiuta con la distorta immagine dello spettro di Laury.
Ma se il candore di Laury dai biondi capelli sparisce subito dopo dieci minuti come la società e le ellissi di un flash-back travolgente che con immagini di abile cinema rendono il senso di un’affezione forte, la sottile linea del sogno-gioco saffico- immagini carica di non detto il film di Ozon cui va merito di aver creato una sceneggiatura evanescente (in senso buono) non priva di alcune scene grottesche come quella della ceretta del novello trans Virginie (nome non scelto a caso).
Tuttavia, tale caratteristica se da un lato fa sorridere superficialmente, dall’altro lascia trasparire la crisi di identità di un uomo che si rivela donna e di una donna, fiera e ambiziosa sicura del suo status, attratta dalle donne. O meglio, da una sola: la mai dimenticata Laury il cui fantasma non potrà che eccitare con un potenziale erotico terribile l’animo dell’incerta Claire.
Ozon trionfa con l’artificio, col barocchismo, stordisce e talune volte fa inorridire lo spettatore con scene scioccanti dove non conta l’amore tra persone dello stesso stesso o tra uomini travestiti da donne e donne, quanto l’emozione di un sogno trabordante sulle note della canzone di Nicole Croisille. Un sogno che diventerà presto realtà grazie alla rottura di un bozzolo di inquietudine e la decisa affermazione della natura di noi stessi. Forse troppo oscura perchè possiamo conoscerla comprenderla, forse perchè anticonvenzionale ma il regista nel finale,almeno ci rincuora, ci lascia sperare che, malgrado tutto, il sole brilla su tutti noi.
[+] lascia un commento a eugenio »
[ - ] lascia un commento a eugenio »
|