zarar
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domenica 10 maggio 2015
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la forza maggiore dell'istinto di sopravvivenza
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In un’atmosfera alla Bergman di ‘Scene da un matrimonio’, il regista svedese Ruben Östlund mette in scena un tema psicologicamente forte: quale frattura può generare in una coppia lo scoprire che il tuo partner amato, il tuo eroe, bello, biondo, forte e protettivo, è una creatura che di fronte ad un pericolo che sembra mortale, afferra – nota bene - il telefonino, e scappa, lasciandosi dietro te e i vostri bambini? E poi, intimamente umiliato, ferito dagli sguardi pieni di interrogativi tuoi e dei vostri figli, cerca di rimuovere, rifiuta di riconoscere una vigliaccheria per cui si odia, poi è costretto a prenderne atto come tu esigi, e allora ti sembra sempre più estraneo, alieno, finché – sull’orlo di una spaccatura insanabile – qualcosa succede che lasciamo scoprire allo spettatore? E’ il caso di Tomas e Ebba, che in una stazione sciistica delle Alpi francesi, mentre mangiano tranquilli con i due figli sulla terrazza panoramica di un ristorante che affaccia su una grandiosa cerchia di montagne innevate, vengono investiti dal pulviscolo di neve generato da una valanga controllata che di fatto si risolve in nulla, ma in quell’attimo ha tutto l’aspetto di una massa che ti travolgerà inesorabilmente.
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In un’atmosfera alla Bergman di ‘Scene da un matrimonio’, il regista svedese Ruben Östlund mette in scena un tema psicologicamente forte: quale frattura può generare in una coppia lo scoprire che il tuo partner amato, il tuo eroe, bello, biondo, forte e protettivo, è una creatura che di fronte ad un pericolo che sembra mortale, afferra – nota bene - il telefonino, e scappa, lasciandosi dietro te e i vostri bambini? E poi, intimamente umiliato, ferito dagli sguardi pieni di interrogativi tuoi e dei vostri figli, cerca di rimuovere, rifiuta di riconoscere una vigliaccheria per cui si odia, poi è costretto a prenderne atto come tu esigi, e allora ti sembra sempre più estraneo, alieno, finché – sull’orlo di una spaccatura insanabile – qualcosa succede che lasciamo scoprire allo spettatore? E’ il caso di Tomas e Ebba, che in una stazione sciistica delle Alpi francesi, mentre mangiano tranquilli con i due figli sulla terrazza panoramica di un ristorante che affaccia su una grandiosa cerchia di montagne innevate, vengono investiti dal pulviscolo di neve generato da una valanga controllata che di fatto si risolve in nulla, ma in quell’attimo ha tutto l’aspetto di una massa che ti travolgerà inesorabilmente. Tomas scappa, Ebba resta, per afferrare e coprire in un abbraccio convulso i bimbi, e mentre la valanga materiale si dissolve, un’altra valanga tutta interiore travolge i due protagonisti e li accompagna nei giorni di vacanza che restano in un gorgo pericoloso di emozioni e conflitti. Il film ha molti elementi di qualità, primo fra tutti l’atmosfera: il regista riesce a materializzare nel paesaggio la radicalità di un conflitto che mette a nudo i personaggi senza pietà e li costringe in tunnel apparentemente senza uscita. E allora da una parte una ‘montagna incantata’ sospesa nel tempo e nello spazio, freddamente ostile nella sua luce accecante e nei suoi nitidi profili notturni percorsi dagli spari ritmati dei cannoni da neve e dall’avanzare inquietante di gatti delle nevi che sembrano carri armati, dove persino un innocente gioco di bimbi, il disco telecomandato, introduce un tocco violento da guerre stellari… Dall’altra parte i lunghi corridoi claustrofobici che percorri al ritorno dai campi di sci, la struttura del residence che ricorda un carcere, con le camere (celle) che si affacciano su lunghi corridoi aperti a più piani… Il secondo elemento interessante è il tono: sicuramente drammatico, ma percorso da una vena un po’ surreale, un po’ sarcastica, un po’ comica, sottolineata da un commento sonoro incalzante, che non spezza la tensione, ma la umanizza, togliendole l’astrattezza di un’analisi psicoanalitica a freddo: si veda l’ironia sotterranea del contrasto tra dialogo ‘civile, corretto e comprensivo’, un must, e lo sbranamento reciproco che c’è sotto; l’occhio impassibile dell’inserviente dell’aspirapolvere; il delizioso intermezzo della cena con gli amici chiamati loro malgrado ad essere spettatori dello scontro tra Abba e Thomas, dove un perfetto Kristofer Hivju (Mats) si arrabatta per inventare un’improbabilissima soluzione pacificante … Un elemento meno positivo non irrilevante? I due attori principali, in particolare Kuhnke (Tomas), con la sua espressione un po’ fissa, un po’ intontita, non sono niente di speciale, molto meno sottili, molto meno complessi ed espressivi dell’atmosfera in cui sono immersi e di quanto il tema meriterebbe. Tre stelle e mezzo [dateci il mezzo punto!].
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mercoledì 20 maggio 2015
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istinto di sopravvivenza in tutti e contro tutti
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....la scena finale, del rientro in autobus sui tornanti delle montagne innevate e a strapiombo gli uni sugli altri, mi ha colpito perchè mi ha fatto provare la stessa sensazione di pericolo che avevo già provato inizialmente con la " valanga ", dove il Padre si mette in salvo incurante della sua famiglia.
Questa scena finale suscita nello spettatore la stessa ansia di pericolo e di paura di quella iniziale; Questa volta, però, è la madre, angosciata dal senso di imminente pericolo, che si precipita al volante e costringe l'autista a fermare l'autobus dal quale Lei scende precipitosamente in strada, incurante dei figli che nel frattempo erano rimasti seduti al loro posto in fondo al pulman.
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....la scena finale, del rientro in autobus sui tornanti delle montagne innevate e a strapiombo gli uni sugli altri, mi ha colpito perchè mi ha fatto provare la stessa sensazione di pericolo che avevo già provato inizialmente con la " valanga ", dove il Padre si mette in salvo incurante della sua famiglia.
Questa scena finale suscita nello spettatore la stessa ansia di pericolo e di paura di quella iniziale; Questa volta, però, è la madre, angosciata dal senso di imminente pericolo, che si precipita al volante e costringe l'autista a fermare l'autobus dal quale Lei scende precipitosamente in strada, incurante dei figli che nel frattempo erano rimasti seduti al loro posto in fondo al pulman.
In quell'attimo ho avuto l'impressione che anche lei abbia fatto prevalere il proprio istinto di sopravvivenza rispetto a quello altruistico della protezione dei figli.
Come se in questa scena, in maniera forse un pò troppo frettolosa e poco evidente, si volesse evidenziare, al di sopra di ogni personalismo, il principio della prepotente istintualità, contro ogni altro principio culturale e morale.
Tanto ciò sembra vero che, nel film, quando non si pone la circostanza di un pericolo cosi immediato da richiedere un'altrettanto immediata reazione di sopravvivenza, c'è anche spazio per comportamenti altruistici, come quello del marito che, in una delle uscite sciistiche sui sentieri innevati e nebulosi, torna indietro sul percorso per soccorrere la moglie. Ecco in quella scena, per come è costruita, lo spettatore è portato ad essere più indulgente nei confronti del marito, rispetto all'ignavia mostrata invece nella scena iniziale della "valanga": insomma non è poi cosi codardo, almeno fin quando non sente sul collo il " respiro della morte ".
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enrico danelli
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lunedì 25 maggio 2015
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ansiogena apoteosi del nucleo famigliare
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Prendi un po' del disagio claustrofobico di Shining e una dose delle urbane conversazioni di Carnage; attingi a piene mani all'epica del matrimonio di Eyes Wide Shut. Ottieni questo ottimo film svedese che nella scena finale (autobus sui tornanti di montagna) dispiega tutta la sua morale sorprendentemente molto più latina che scandinava: nella famiglia tutto si ricompone e chi si prende certe libertà corre rischi imprevedibili. Infatti la Famiglia (padre madre e due figli piccoli sono realmente un tutt'uno nel corso del film tranne che nell'episodio della valanga) incappa in un imprevedibile inconveniente (la valanga appunto) che sembra minare alla radice i suoi principi fondanti generando sospetti sull'intimo disinteresse del padre per gli altri membri.
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Prendi un po' del disagio claustrofobico di Shining e una dose delle urbane conversazioni di Carnage; attingi a piene mani all'epica del matrimonio di Eyes Wide Shut. Ottieni questo ottimo film svedese che nella scena finale (autobus sui tornanti di montagna) dispiega tutta la sua morale sorprendentemente molto più latina che scandinava: nella famiglia tutto si ricompone e chi si prende certe libertà corre rischi imprevedibili. Infatti la Famiglia (padre madre e due figli piccoli sono realmente un tutt'uno nel corso del film tranne che nell'episodio della valanga) incappa in un imprevedibile inconveniente (la valanga appunto) che sembra minare alla radice i suoi principi fondanti generando sospetti sull'intimo disinteresse del padre per gli altri membri. Tuttavia dopo un percorso interiore non facile si propone al padre la possibilità di riscattarsi e di salvare la madre dispersa nelle nebbie e nella neve dimostrando così il suo attaccamento al nucleo famigliare. L'ultimo episodio di questa vacanza veramente sfortunata per la Famiglia corrobora ancora di più il significato del film: la Famiglia esce da una situazione potenzialmente pericolosa (sceglie di fare la faticosa strada a piedi invece che affidarsi ad un autobus guidato da un maldestro autista) mentre l'unica a rimanere sul veicolo (e correrne i conseguenti rischi) non a caso è l'amica "libertina" che vuole conciliare famiglia e relazioni extraconiugali a piacimento. L'uso della camera fissa in misura volutamente eccessivo a mo' di documentario sugli insetti e le ambientazioni visive e sonore interne (albergo) ed esterne (montagne) quasi sempre angoscianti e ansiogene concorrono al coinvolgimento pressochè totale dello spettatore che rimane forse un po' più che deluso dalla mancanza della tragedia finale, ma sicuramente molto rinfrancato dalla ritrovata normalità famigliare.
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laloli
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domenica 17 maggio 2015
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un'occasione mancata
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Il film aveva tutto per essere un bel film, la fotografia, la trama; ed effettivamente - pur se non i ritmi lentissimi di una certa cinematografia svedese - lo è per buona parte della sua durata. Ma poi si perde, inspiegabilmente, nel nulla. Oddio, concludere bene un film (come un libro) è difficile. Figurarsi quando tutto ti faceva sperare un finale all'altezza.
p.s. Il padre che scappa ricordandosi del cellulare è oggettivamente troppo troppo forzato. Una metafora? Allora persino ridicola.
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vanessa zarastro
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sabato 23 maggio 2015
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quando i turisti scendono dall'autobus, si accorgo
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Nella località sciistica di Les Arcs nelle Alpi francesi, una famiglia apparentemente perfetta di marito e moglie Ebba e Tomas giovani, sani e forti, con la figlia Vera e il figlio Harry biondi ed educati, vive delle vacanze di neve a dir poco tormentate.Non sarà certo un caso che il quarantenne regista svedese Ruben Östlund abbia iniziato la sua attività come regista di video sciistici ancor prima di iscriversi alla scuola cinematografica di Göteborg.
Con un design scandinavo minimalista il regista narra il dramma di Tomas, un uomo che non si sente all’altezza della situazione di fronte a un evento inaspettato, abituato a essere il forte e coraggioso solving problems.
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Nella località sciistica di Les Arcs nelle Alpi francesi, una famiglia apparentemente perfetta di marito e moglie Ebba e Tomas giovani, sani e forti, con la figlia Vera e il figlio Harry biondi ed educati, vive delle vacanze di neve a dir poco tormentate.Non sarà certo un caso che il quarantenne regista svedese Ruben Östlund abbia iniziato la sua attività come regista di video sciistici ancor prima di iscriversi alla scuola cinematografica di Göteborg.
Con un design scandinavo minimalista il regista narra il dramma di Tomas, un uomo che non si sente all’altezza della situazione di fronte a un evento inaspettato, abituato a essere il forte e coraggioso solving problems. Nel residence alpino tutto in legno, al numero 413, la famigliola trascorre le vacanze invernali indossando pigiami pastello che passano dal celestino al verdino - colori tipici degli arredi danesi o scandinavi – e si lavano i denti tutti insieme con lo spazzolino elettrico nel bagno in grés porcellanato grigio.Il regista scandisce la narrazione giorno per giorno, sul filo di un ritmo che ammalia e tiene incollati. Con immagini bellissime sottolineate dalla musica degli archi di Vivaldi alternata a silenzi profondi Östlund riesce a trsmettere l’angoscia della paura, della crisi e della messa in discussione delle proprie certezze. Il film è in linea con un certo intimismo bergmaniano, peccato che nel finale tutto si annacqua, la coppia si ricuce e si salva quindi la famiglia. Girato tra i tornanti di Passo dello Stelvio, i turisti scesi dall'autobus si accorgono di avere esagerato le loro sensazioni e, nel momento in cui le debolezze diventano un po’ di tutti e nella fattispecie in entrambi i coniugi, la sua vigliaccheria è perdonata…anzi viene proprio giustificata.Infatti, le domande di fondo sono proprio: Come reagiscono gli esseri umani in situazioni improvvise come una catastrofe? Chi è eroe e chi vigliacco?
In tutto il film c’è una suspence da tragedia che incombe nella scena i due amici vanno a sciare fuori pista nella neve fresca o anche quando la famiglia va da sola a sciare in una nebbia fittissima e a, turno, sembrano perdersi. Ma la tragedia non arriva mai.
Ruben Östlundutilizza spesso la camera fissa e e offre allo spettatore sequenze di grande impatto visivo, come la scena toccantedella valanga. Bella e suggestiva anche la scena del “branco” inneggiante alla virilità.
Vincitore del Premio della Giuria nella sezione Un certain regard al 67mo Festival di Cannes del 2014 , “Forza Maggiore” è stato selezionato per rappresentare la Svezia nella categoria Miglior film straniero agli Oscar del 2015.
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nanni
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giovedì 18 giugno 2015
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forza maggiore
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In un ambiente di montagna estremo ma addomesticato, la presunzione del controllo totale dispiega tutta la sua geometrica potenza previdenziale e rassicurante del
vivere occidentale.
L’azzeramento del rischio è , però, solo una illusione alla quale sembra, purtroppo, ci siamo totalmente abituati.
La costruzione di uno stile di vita intorno alla visione eslusivamente previdenziale sembra la nostra forza mentre è anche il nostro limite e potrebbe essere fatale.
Coccolata da quell’ illusione una perfetta famigliola del nord Europa durante una vacanza di sci verrà, invece, imprevedibilmente travolta parzialmente da una valanga.
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In un ambiente di montagna estremo ma addomesticato, la presunzione del controllo totale dispiega tutta la sua geometrica potenza previdenziale e rassicurante del
vivere occidentale.
L’azzeramento del rischio è , però, solo una illusione alla quale sembra, purtroppo, ci siamo totalmente abituati.
La costruzione di uno stile di vita intorno alla visione eslusivamente previdenziale sembra la nostra forza mentre è anche il nostro limite e potrebbe essere fatale.
Coccolata da quell’ illusione una perfetta famigliola del nord Europa durante una vacanza di sci verrà, invece, imprevedibilmente travolta parzialmente da una valanga.
Impreparati all’idea stessa della presenza del rischio risulteranno smarriti da tutti i punti di vista.
Quel fatto aprirà uno squarcio, in tutti i sensi, su quella percezione sbagliata e sarà una resa dei conti personale e un'occasione di riflessione e di ripensamento sociale.
Il film di Ruben Ostlund è perfetto, necessario e da non perdere.
Ciao Nanni
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angelo umana
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domenica 17 maggio 2015
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i danni psicologici di una mancata valanga
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Guardo spesso il mondo nella sua fragilità, come in un secondo può sparire una città, sono “solo” le parole di una canzone di Anna Oxa. In Forza Maggiore parrebbe dover sparire sotto una valanga l’hotel sulle Alpi francesi dove una giovane famiglia svedese si accinge a passare la sua settimana bianca. Tanto meritata soprattutto per il papà che ha lavorato molto ultimamente, unica munifica fonte di reddito, questi pochi giorni sanno di “riposo del guerriero”. Sapendo in anticipo lo spettatore che una valanga arriverà, sembra stucchevole il quadretto iniziale che è di una normale settimana sugli sci: le foto ricordo, prepararsi alla partenza con gli sci e scarponi (questo è Battisti) del primo giorno, le tute forse nuove, gli approcci con altri ospiti dell’albergo, i bambini costantemente sorvegliati dal papà che si dedica amorevolmente a loro.
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Guardo spesso il mondo nella sua fragilità, come in un secondo può sparire una città, sono “solo” le parole di una canzone di Anna Oxa. In Forza Maggiore parrebbe dover sparire sotto una valanga l’hotel sulle Alpi francesi dove una giovane famiglia svedese si accinge a passare la sua settimana bianca. Tanto meritata soprattutto per il papà che ha lavorato molto ultimamente, unica munifica fonte di reddito, questi pochi giorni sanno di “riposo del guerriero”. Sapendo in anticipo lo spettatore che una valanga arriverà, sembra stucchevole il quadretto iniziale che è di una normale settimana sugli sci: le foto ricordo, prepararsi alla partenza con gli sci e scarponi (questo è Battisti) del primo giorno, le tute forse nuove, gli approcci con altri ospiti dell’albergo, i bambini costantemente sorvegliati dal papà che si dedica amorevolmente a loro.
La fragilità emerge nella coppia, dopo che la valanga non ha avuto l’esito disastroso che si poteva temere, del resto era una valanga controllata, di quelle che scoppi come di bombe provocano (ma quei rumori sono inquietanti, come le bombe di Torneranno i prati). Papà Tomas lo dice quando sono seduti per il pranzo sulla terrazza dell’hotel e osservano la valanga venire giù, è tutto sotto controllo. A ogni buon conto fugge via come altri, raccogliendo in fretta le sue cose, resta solo mamma Ebba a proteggere i due bambini che chiamano “papà, papà!”. Passata quella abbondante spolverata di neve resta il “giudizio” sul comportamento dell’amorevole papà, eroe nel lavoro ma codardo nella difesa della famiglia, non risponde insomma al ruolo che la moglie gli assegna e che è scritto anche nel pressbook del film: commedia d’osservazione sul ruolo del maschio nella moderna vita familiare. Impegnativo.
La vacanza diventa inquietante per il “processo” familiare che la moglie porta avanti, anche con improvvisati amici, una resa dei conti di cui è testimone un maturo cameriere che li osserva silenzioso, pare avere il ruolo della coscienza, quella giudicante. Un thriller psicologico, altro che commedia, ricorda un altro film più soddisfacente, Il Sospetto, anch’esso di latitudini scandinave. Si concluderà solo col pianto a dirotto di Tomas, eroe nudo e punito che piange davanti ai suoi bambini. Forse soddisfatta o forse no, la giustizialista Ebba si mostra incredula: Non stai piangendo sul serio, vero?. Fosse stata più buona e comprensiva, lei (o il regista) avrebbe parlato di quel comportamento solo con lui, magari lo avrebbe aiutato invece di distruggerlo: a ciò potrebbe servire una vacanza, tra altre cose, rinfrescarsi le idee e riflettere privatamente sui comportamenti.
Per sovrammercato la vicenda viene fornita di un percorso purificatore per il “guerriero” macchiatosi di quella bassezza egoistica, attraverso un’escursione di sci -alpinismo con l’amico che lo invita a confidarsi e a urlare a squarciagola, forse i pesi interiori si liberano con le urla (?), e attraverso un incontro improvviso e inspiegabile con giovani mezzi nudi che bevono birra in quantità e urlano a distesa, paiono dei blackblocs in vacanza. Ma la purificazione non è finita: il capofamiglia dimostrerà di aver capito la lezione e sarà capace di condurre la famigliola al sicuro in una discesa sugli sci con nebbia fitta. Nessun altro turista si è avventurato sulle piste quel giorno, ma bisognava dare l’occasione all’eroe di mostrare la sua vera stoffa, riabilitarlo! L’inquietudine non finisce qui, o non finisce il desiderio del filmmaker di origliare nascostamente sulle reazioni umane, a ciò sono serviti i 118 minuti del film: un autista inesperto guida il grosso pullman che dovrebbe portare la famigliola e altri sciatori all’aeroporto per il rientro a casa, lungo tornanti pericolosi che neanche lo Stelvio, e neanche a ciò si può rimanere freddi. Fermate il film, voglio scendere!
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[+] dacca luglio 2016
(di angelo umana)
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dromex
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domenica 31 maggio 2015
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il dubbio dell'imprevisto
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Tomas, Ebba e i loro due figli Vera e Harry si recano sulle alpi francesi per godersi una vacanza sulla neve tutti assieme.
Durante il pranzo su una terrazza con un fantastico panorama sulle montagne essi assistono alla formazione di una valanga che, sebbene lontana, sembra velocemente destinata a travolgerli (la valanga non avrà alla fine conseguenze letali).
La probabile e temuta traiettoria della valanga sul ristorante scatena tuttavia anche gli istinti di Tomas e Ebba quando sembra che non sia più possibile salvarsi: Tomas fugge (prendendo guanti e cellulare) mentre Ebba resta al suo posto a proteggere i figli. E' questo il cuore del film: Ebba dopo l'evento della valanga non si fida più del marito perché non ha pensato minimamente a proteggere la famiglia, i figli si chiudono ai genitori non più così uniti e felici.
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Tomas, Ebba e i loro due figli Vera e Harry si recano sulle alpi francesi per godersi una vacanza sulla neve tutti assieme.
Durante il pranzo su una terrazza con un fantastico panorama sulle montagne essi assistono alla formazione di una valanga che, sebbene lontana, sembra velocemente destinata a travolgerli (la valanga non avrà alla fine conseguenze letali).
La probabile e temuta traiettoria della valanga sul ristorante scatena tuttavia anche gli istinti di Tomas e Ebba quando sembra che non sia più possibile salvarsi: Tomas fugge (prendendo guanti e cellulare) mentre Ebba resta al suo posto a proteggere i figli. E' questo il cuore del film: Ebba dopo l'evento della valanga non si fida più del marito perché non ha pensato minimamente a proteggere la famiglia, i figli si chiudono ai genitori non più così uniti e felici. La valanga non li ha travolti ma ha smosso gli equilibri familiari evidentemente labili.
Ostlund con questo film vuole farci riflettere (in mezzo a panorami mozzafiato) su chi siamo realmente. Il film ci fa domandare: come ci comporteremmo in situazioni dove solo i nostri istinti comandano alla ragione e hanno il sopravvento?
Questo è ciò che il film vuole trasmettere ma il problema non è il tema ma è il modo di trasmetterlo: eccessiva lentezza, troppi silenzi e una staticità che fa stancare lo spettatore già dopo la prima metà.
Verso la fine del film la famiglia sembra tornare a riappacificarsi e per farlo decide di andare a sciare in presenza di una nebbia fortissima, scena che sembra dire "ora resteremo uniti e nessuno ci fermerà più!" ma scena secondo me anche inutile e irreale perché nessuno si recherebbe a sciare in condizioni simili mettendo invece a rischio l'incolumità di tutti!
In conclusione il film vuole scavare nelle nostre menti e farci riflettere ma il regista Ostlung avrebbe potuto farlo meglio e in maniera più avvincente.
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rambaldomelandri
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domenica 18 ottobre 2015
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un regista allo specchio
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L'idea di partenza era ottima: un padre che, al momento del pericolo, scopre che preferisce mettere in salvo se stsso e il suo smartphone, e non la sua famiglia. Il tutto ambientato in uno scenario da favola nelle Alpi francesi, e al centro della scena la de-costruzione di una famiglia che scopre non essere quella che credeva.
Lo sviluppo della storia tuttavia tradisce le aspettative iniziali.
Da un punto di vista formale l'abuso di inquadrature fisse, l'eccesso di Vivaldi, il biancore accecante declinato in varie sfumature ed eccessi, la recitazione piatta del protagonista, prendono il sopravvento sulla storia. L'esercizio di stile sopravanza il fluire del racconto, le strizzate d'occhio a registi ben più dirompenti ed eversivi (per tutti il Bunuel del "Fascino discreto della borghesia", cui strizza d'occhio l'altrimenti incomprensibile scena finale) attestano il possesso di basi teoriche senza che l'anima dlela storia ne possa trarre benefici visibili.
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L'idea di partenza era ottima: un padre che, al momento del pericolo, scopre che preferisce mettere in salvo se stsso e il suo smartphone, e non la sua famiglia. Il tutto ambientato in uno scenario da favola nelle Alpi francesi, e al centro della scena la de-costruzione di una famiglia che scopre non essere quella che credeva.
Lo sviluppo della storia tuttavia tradisce le aspettative iniziali.
Da un punto di vista formale l'abuso di inquadrature fisse, l'eccesso di Vivaldi, il biancore accecante declinato in varie sfumature ed eccessi, la recitazione piatta del protagonista, prendono il sopravvento sulla storia. L'esercizio di stile sopravanza il fluire del racconto, le strizzate d'occhio a registi ben più dirompenti ed eversivi (per tutti il Bunuel del "Fascino discreto della borghesia", cui strizza d'occhio l'altrimenti incomprensibile scena finale) attestano il possesso di basi teoriche senza che l'anima dlela storia ne possa trarre benefici visibili.
Il drone-disco volante con cui gioca il bambino, l'albergo straniante e sempre vuoto, l'inserviente silenzioso e affacciato sulla vita della coppia, le nottate in cui i cannoni sparano neve su pendii già abbondantemente innevati, tutto sempre fluire in un discorso solo e semplicemente accademico, dove dimostrare chi si è conta di più di raccontare una storia.
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no_data
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martedì 27 ottobre 2015
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promuove la libera interpretazione
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Un film che sapientemente lascia intendere ad ognuno ciò che vuole intendere e si trasforma sotto l'occhio della spettatore. Apparentemente il marito si redime nella scena del soccorso alla moglie sulla pista ma nell'invisibilità del paesaggio si celano motivazioni non dichiarate. Lei sembra aver perso gli sci, ma di certo non si è fatta male, perchè altrimenti non si volterebbe e tornerebbe, in salita, a cercare gli sci stornando la sua attenzione, di nuovo, dalla famigliola riunita.
E la stessa ambiguità la si ritrova nella scena finale, dove lei potrebbe essere vista sia come una maniaca malata d'ansia, sia nuovamente come colei che prende in mano la situazione richiando il tutto per tutto anche il ludibrio pur di salvare i figli indifesi (dal padre).
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Un film che sapientemente lascia intendere ad ognuno ciò che vuole intendere e si trasforma sotto l'occhio della spettatore. Apparentemente il marito si redime nella scena del soccorso alla moglie sulla pista ma nell'invisibilità del paesaggio si celano motivazioni non dichiarate. Lei sembra aver perso gli sci, ma di certo non si è fatta male, perchè altrimenti non si volterebbe e tornerebbe, in salita, a cercare gli sci stornando la sua attenzione, di nuovo, dalla famigliola riunita.
E la stessa ambiguità la si ritrova nella scena finale, dove lei potrebbe essere vista sia come una maniaca malata d'ansia, sia nuovamente come colei che prende in mano la situazione richiando il tutto per tutto anche il ludibrio pur di salvare i figli indifesi (dal padre)...
L'apparenza (della ri-unione e guarigione dallo shock e dallo smembramento) non regge, e si frantuma ad una lettura più stratificata dei segnali simbolici che parlano di una alienazione profonda.
La stessa alienazione che proviamo di fronte alla natura quando improvvisamente ci "tradisce" travolgendoci nella sua furia selvaggia?
Di certo, al di sopra dei rapporti umani segnati da una connaturata fragilità sembra ergersi la forza e la maestosità della montagna, osservatrice imperitura delle contrastanti vicende umane.
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