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La risata congelata

Forza maggiore e la crisi delle aspettative.
di Roy Menarini


sabato 9 maggio 2015 - Approfondimenti

La voce popolare afferma che da un granello si può scatenare una valanga. In Forza maggiore di Ruben Ostlund accade esattamente il contrario: un sommovimento di neve pauroso e apparentemente letale si rivela un atomo di polvere che finisce nell'ingranaggio della famiglia - due genitori e due figli - che sta passando una settimana di vacanza sulle Alpi.
Già questa inversione metaforica, resa letterale dagli avvenimenti che aprono il film, la dice lunga sull'intelligenza narrativa dell'opera, che mette in crisi le aspettative degli spettatori tanto quanto quelle dei personaggi - in particolare quello della moglie, che si vede sottratte tutte le certezze sulla solidità del marito e della propria famiglia. Forza maggiore è tutto così, attraversato da correnti invisibili, da elementi discordanti, da contraddizioni umane che sono già annunciate dallo stile. Il ricorso massiccio alla camera fissa, dove gran parte della tensione viene costruita internamente all'inquadratura, richiama di solito un cinema rigoroso, ponderato, da dramma piscologico, e invece Ostlund lavora più come Tati che come Bergman. Si ride con preoccupazione, persino con rispetto, accorgendosi (via via che il racconto procede) della vera natura di Forza maggiore: la commedia.
I protagonisti si fanno mettere in crisi da una sciocchezza, e cominciano a dissolversi come coppia (prima ancora che come famiglia) nel serrato confronto con se stessi e con persone diverse da loro. Queste ultime funzionano come i personaggi minori nelle commedie americane classiche, magari di Howard Hawks: hanno un carattere e un'anima tali da reggere la sottotrama con brillantezza e personalità, e aiutano i protagonisti (e gli spettatori) a capire meglio che cosa sta succedendo. Che di contraddizioni felici si nutra Forza maggiore lo dimostra anche la sequenza più intensa del film, dove il capofamiglia - ormai spogliato del suo ruolo patriarcale di protettore ed eroe - decide di lasciarsi andare tutto in una volta, mostrando le proprie debolezze. Eppure, finisce con l'esagerare. Il suo pianto sempre più disperato - invece che costituire il punto topico di un dramma da camera - diventa il più esilarante degli stratagemmi comici. L'imbarazzo e la deformazione, sia pure nella gabbia geometrica della macchina da presa e dell'hotel-alveare dove tutto si svolge, prendono il sopravvento. Lo stesso vale - in un finale che non va raccontato - per l'autista del pullman alla conclusione. Una cosa abbastanza preoccupante e minacciosa si rivela di umorismo irresistibile.
Forza maggiore ha dalla sua tutte le qualità di chi sa costruire un film senza dover sottostare alle griglie d'attesa, tanto più visto che nel cinema d'autore, nel cinema del reale, e anche nel cinema sociale, la comicità sembra nemica della riflessione, del dramma o dell'analisi politica. Ostlund sulla famiglia borghese dice più e meglio di tante parabole laiche e ricattatorie, proprio perché insinua, distanzia e spiazza. Non ama i suoi personaggi, ma nemmeno li detesta. Sembra quasi che ci chieda di rispecchiarci, perché noi spettatori d'élite pensiamo di valere più degli altri, e invece - al primo pericolo - fuggiremmo dalla sala a gambe levate lasciandoci alle spalle un cumulo di rovine fumanti.

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